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israele.net Rassegna Stampa
18.07.2024 Cosa impedisce una soluzione a due Stati
Analisi di Clifford D. May

Testata: israele.net
Data: 18 luglio 2024
Pagina: 1
Autore: Clifford D. May
Titolo: «Cosa impedisce una soluzione a due Stati?»

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Clifford D.May tradotta da jns.org dal titolo "Cosa impedisce una soluzione a due Stati?".

Clifford D. May
L'obiettivo è "Palestina libera dal fiume al mare" come urlano nelle piazze anche tutti i pro-Pal. Quindi, è chiaro che vogliono la distruzione di Israele. Questa mappa è tratta dalla pagina Facebook di The American Muslim, sostenitori della soluzione palestinese contro lo Stato ebraico.

 

Non sono contrario alla soluzione a due stati. Non sono nemmeno contrario alla fata Trilli di Peter Pan. Solo, dubito seriamente che entrambe esistano. Se siete tra coloro che credono che un generale riconoscimento di uno stato nazionale arabo palestinese risolverebbe il conflitto israelo-palestinese, vorrei ricordarvi che è un’idea che è stata già tentata più volte, e non ha funzionato. Ad esempio, nel novembre 1947 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite raccomandò la spartizione in due stati della Palestina occidentale (la Palestina orientale era stata ceduta anni prima a quello che sarebbe diventato il Regno hashemita di Giordania): uno stato per gli arabi palestinesi, l’altro per gli ebrei palestinesi. I leader degli ebrei palestinesi accettarono la raccomandazione. I leader arabi la respinsero. Gli ebrei palestinesi sapevano perfettamente cosa avrebbe significato per loro un totale controllo arabo della Palestina. Nel 1929, gli arabi palestinesi avevano compiuto un orribile pogrom – molto simile a quello del 7 ottobre – contro gli ebrei palestinesi a Hebron e in altre località della Palestina Mandataria. Nel 1936, la cosiddetta Rivolta Araba contemplò una serie di attacchi terroristici non solo contro gli inglesi, che erano subentrati all’Impero Ottomano come governanti della Palestina, ma anche contro gli ebrei che ci vivevano. E il leader più importante degli arabi di Palestina era, a quel tempo, Hajj Amin al-Husseini, il Mufti di Gerusalemme, che aveva trascorso la seconda guerra mondiale a Berlino a sostenere Hitler. Così, una settimana dopo il ritiro degli inglesi dalla Palestina gli ebrei dichiararono il loro stato indipendente. Per tutta risposta, gli eserciti di cinque paesi arabi invasero Israele, lanciandosi in una guerra volta ad annientare il nascente stato ebraico. Contro ogni previsione, Israele sopravvisse. Gli arabi palestinesi che non avevano combattuto gli ebrei e quelli che non erano fuggiti dalle zone dei combattimenti divennero cittadini israeliani. Ciò nonostante, quello che all’epoca veniva chiamato il conflitto arabo-israeliano non cessò. Nel 1964, in un vertice al Cairo la Lega Araba creò l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (che nel suo statuto di allora si proponeva di “liberare” la terra in cui era sorto lo stato ebraico, ma all’art.24 escludeva esplicitamente qualunque rivendicazione sulle parti di terra – Cisgiordania e Gaza – finite sotto controllo di Giordana ed Egitto ndr). Tre anni dopo, i vicini arabi di Israele tentarono nuovamente di buttare a mare gli ebrei. E di nuovo fallirono. Alla fine della guerra dei sei giorni, Israele aveva preso Gaza all’Egitto e la Cisgiordania alla Giordania. La Cisgiordania, per inciso, era da tutti conosciuta con i suoi nomi storici di Giudea e Samaria prima che quelle due regioni venissero conquistate dalla Giordania con la guerra del 1948. In seguito a quella conquista, la Giordania espulse gli ebrei, distrusse le sinagoghe, profanò cimiteri e santuari ebraici. E si iniziò a usare il termine West Bank o Cisgiordania. All’indomani della guerra del 1967, la Lega Araba riunita nella capitale sudanese emise quelli che divennero noti come i “tre no di Khartoum”: no alla pace con Israele, no al negoziato con Israele, no al riconoscimento di Israele. Oggi, il conflitto più grave per Israele è quello che lo vede nel mirino del regime iraniano che finanzia, sostiene, arma e addestra Hamas, la Jihad Islamica Palestinese e gli Hezbollah che dal sud del Libano attaccano quotidianamente il nord di Israele sin dall’8 ottobre. Anche i ribelli Houthi nello Yemen e le milizie sciite in Siria e Iraq sono gregari per conto di Teheran. Da 45 anni, gli autoproclamati jihadisti iraniani giurano “Morte a Israele!” e “Morte all’America!”. Lo slogan sulla bandiera degli Houthi è: “Dio è il più grande, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria all’islam”. Potrebbe esistere un rifiuto più esplicito della soluzione a due stati? Non è invece lampante che ciò che vogliono i governanti iraniani e i loro tirapiedi è una “soluzione finale”, il termine che usavano i nazisti per indicare lo sterminio degli ebrei? I governanti iraniani ritengono che il mondo sia diviso in Dar al-Islam, i paesi governati dai musulmani, e Dar al-Harb, i paesi governati da non credenti che devono essere combattuti e conquistati. Israele è l’unica porzione di territorio dal Marocco al Pakistan non governata dai musulmani. Per un islamista, questa eccezione è intollerabile. I vari “processi di pace” hanno ignorato queste scomode verità. Gli accordi di Oslo degli anni ’90 – accordi tra Israele e Olp – istituirono l’Autorità Palestinese che governasse parti di Gaza, Giudea e Samaria. Il suo problema principale non è certo il fatto che Israele e Stati Uniti abbiano finora evitato di concederle il riconoscimento formale di stato nazionale. Hamas ha estromesso con la violenza l’Autorità Palestinese da Gaza nel 2007, due anni dopo che gli israeliani si erano ritirati da quel territorio. Da allora, quali attributi di statualità mancavano a Gaza? Enormi quantità di aiuti affluivano dalla “comunità internazionale dei donatori”. Assistenza sanitaria, istruzione e altri servizi sociali venivano garantiti dalle agenzie delle Nazioni Unite, diventate ancelle al servizio di Hamas. Queste agenzie mettevano a libro-paga membri di Hamas, svariati dei quali hanno preso parte alle atrocità del 7 ottobre. Israele forniva a Gaza elettricità e acqua e, prima del 7 ottobre, permetteva a migliaia di abitanti di Gaza di entrare in Israele per lavorare con salari più alti di quelli che avrebbero potuto ottenere a Gaza. Per decenni, gli ospedali israeliani hanno aperto le loro porte agli abitanti di Gaza bisognosi di cure. Gli organi d’informazione spesso e volentieri definivano Gaza una “prigione a cielo aperto”. Oggi sappiamo che gli abitanti di Gaza hanno sempre potuto uscire e rientrare attraverso il confine con l’Egitto. Parecchi lo hanno fatto per andare a seguire corsi di addestramento terroristico. Hamas ha edificato un’enorme e sofisticata fortificazione sotterranea. Nelle carceri generalmente non è consentito che i detenuti scavino tunnel. Nel corso degli anni, attraverso queste autostrade sotto il confine egiziano è transitato di tutto, compresa una gigantesca quantità di armi e munizioni che si è riversata nella “prigione a cielo aperto”. L’obiettivo di Hamas non è mai stata la costruzione di uno stato nazionale (palestinese). Il suo obiettivo era, ed è tuttora, quello di creare un emirato “dal fiume al mare”, da incorporare in un nuovo califfato e impero. Questo è il motivo per cui qualsiasi ipotesi di soluzione dei molteplici conflitti attualmente in corso in Medio Oriente deve iniziare con la distruzione delle capacità militari e di governo di Hamas. Ancora più difficile, ma essenziale: bisogna neutralizzare il regime neo-imperialista e apertamente genocida di Teheran che, va notato, è ora saldamente alleato con Pechino, Mosca e Pyongyang. Dopodiché, forse, si potranno fare progressi verso la creazione di uno stato palestinese indipendente con dei governanti disposti, anche se con riluttanza, a coesistere pacificamente al fianco di Israele. Per riassumere: credere fideisticamente in una soluzione a due stati non la rende un’opzione realistica, così come credere fermamente a Trilli non rende reale la fatina di Peter Pan. (Da: jns.org, 10.7.24)

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