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Shalom Rassegna Stampa
15.07.2024 Deif: chi è il numero due di Hamas e cosa potrebbe significare la sua eliminazione per Israele
Analisi di Ugo Volli

Testata: Shalom
Data: 15 luglio 2024
Pagina: 1
Autore: Ugo Volli
Titolo: «Deif: chi è il numero due di Hamas e cosa potrebbe significare la sua eliminazione per Israele»

Riprendiamo da SHALOM online l'analisi di Ugo Volli dal titolo "Deif: chi è il numero due di Hamas e cosa potrebbe significare la sua eliminazione per Israele".

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Ugo Volli
Deif: chi è il numero due di Hamas e cosa potrebbe significare la sua  eliminazione per Israele - Shalom
Anche se non vi è certezza assolulta le forze di difesa israeliane potrebbero aver eliminato uno degli artefici del 7 ottobre, Mohammad Deif, un risultato strategico di grande portata per l'esercito israeliano

L’eliminazione del capo terrorista

Con quattro bombe di grande potenza, lanciate con straordinaria precisione da un aereo su una costruzione in una zona boscosa della città di Khan Yunis, nella striscia di Gaza meridionale, Israele ha inferto ieri mattina un colpo molto importante a Hamas. Anche se “non ve n’è ancora la certezza assoluta”, come ha ammonito il primo ministro Netanyahu in una conferenza stampa tenuta subito dopo la fine del sabato, le forze armate israeliane ritengono di aver eliminato il numero due di Hamas a Gaza Mohammed Deif e il suo vice, oltre che comandante delle truppe terroriste di Khan Younis, Rafa Salama, con la loro scorta di parecchie decine di terroristi.

Chi è Deif

Nato a Khan Yunis una sessantina d’anni fa, Mohammad Deif per l’anagrafe si chiamava Mohammed Al Mizri, cioè “l’egiziano”: un nome non raro, che la dice lunga sulla provenienza dei “palestinesi”; bisogna ricordare che anche Arafat era in realtà nato in Egitto e non a Gerusalemme come pretendeva. Membro del gruppo dagli anni Novanta del secolo scorso, Deif fu fra i promotori del terrorismo suicida della cosiddetta seconda intifada; dal 2002 divenne il capo assoluto dell’apparato militare di Hamas, le “Brigate Ezzedin al-Qassam”. In questo ruolo aveva organizzato e diretto l’armamento del gruppo, la costruzione dei tunnel e dei missili, il contrabbando dei materiali, gli assalti continuamente portati contro i civili israeliani. In particolare è stato il primo responsabile della strage del 7 ottobre. Dal 2015 fa parte della lista dei più pericolosi terroristi compilata dal Dipartimento di Stato americano. Spesso se ne parla come di un imprendibile, perché è sfuggito, pare a sette tentativi di eliminazione da parte israeliana. In un’azione del 2014 oltre che un occhio e forse una gamba, perse tutta la famiglia, mentre il più recente tentativo conosciuto di eliminarlo risale alla penultima operazione a Gaza nel 2021. Nonostante questi colpi, Deif ha continuato a comandare da solo le truppe di Hamas e le ha portate al livello di pericolosità che si è visto il 7 ottobre e nella guerra successiva.

Le conseguenze

Tutto ciò ne ha fatto una potenza dentro a Hamas e un mito per i suoi sostenitori, ancor più di colui che teoricamente è il suo capo, cioè Yahya Sinwar, che pure viene da Khan Yunis ed è più o meno suo coetaneo. Se davvero è stato eliminato, questo è un colpo durissimo per l’organizzazione e per il morale di Hamas. Non solo per la perdita di un capo dotato di grande autorità, che grazie al suo prestigio e all’esperienza accumulata poteva organizzare la tattica di guerriglia dei terroristi, reclutarne di nuovi ed eventualmente riorganizzare le bande di Hamas dopo il cessate il fuoco di cui tutti parlano. Ma anche perché evidentemente la sua esecuzione è frutto di una soffiata di alto livello, che mostra come nell’organizzazione terrorista si inizino a vedere crepe importanti anche sul piano della sicurezza. E poi perché evidentemente i dirigenti del terrorismo non possono più starsene nascosti nelle fortificazioni sotterranee, per sviluppare la battaglia devono esporsi, diventando vulnerabili agli attacchi israeliani. Sembra proprio che il lungo lavoro di questi mesi possa portare al collasso dell’organizzazione terrorista a Gaza e aprire una nuova pagina nella guerra di difesa (che, ricordiamolo, non si svolge solo a Gaza ma anche al Nord e sugli altri fronti aperti per decisione dell’Iran).

Le trattative

Anche se l’Egitto si è affrettato ad ammonire Israele a non compiere azioni che possano danneggiare le trattative in corso per uno scambio fra gli ostaggi e i terroristi condannati e imprigionati in Israele, è chiaro che ha ragione Netanyahu a spiegare, come ha fatto nella conferenza stampa, che la sola speranza di vincere la resistenza di Hamas e di arrivare a un accordo sostenibile, è la pressione militare che renda urgente per i terroristi trovare una via di fuga. Da questo punto di vista l’azione di oggi è importantissima, perché toglie ai capi terroristi l’illusione dell’impunità, mostra loro che il tempo lavora contro di loro e insomma rende urgente un possibile compromesso. Nella conferenza stampa Netanyahu ha anche accennato al contenuto delle trattative, assicurando tutti che la liberazione dei rapiti è il suo primo pensiero e il compito prioritario delle forze armate. Ma ha anche spiegato che rispetto allo schema concordato con gli americani, che comunque contiene molte concessioni, i negoziatori di Hamas avevano chiesto 28 ulteriori modifiche e che la sicurezza di Israele richiede di non andare oltre al testo concordato.

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redazione@shalom.it

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