Per avere uno Stato Palestinese bisogna avere il pugno di ferro con Hamas e Jihad
Testata: Il Foglio Data: 23 agosto 2003 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «La prova di forza»
Riportiamo l'articolo pubblicato in prima pagina de Il Foglio sabato 24 agosto 2003. Il governo israeliano interpreta l’appello del segretario di Stato americano Colin Powell rivolto anche a Yasser Arafat perché aiuti il premier palestinese Abu Mazen a fermare i gruppi terroristi come l’ultimo, estremo tentativo di salvare la road map. Ma come ha detto in un’intervista alla Repubblica Dennis Ross, mediatore (Bill Clinton presidente) in Medio Oriente, è sempre più evidente che Arafat ostacola il suo premier e il dialogo con Israele. Di qui, l’ultimo avviso. Ariel Sharon lo dice da anni, la Casa Bianca ne è convinta, giornali di ogni ispirazione lo scrivono, l’idea si sta diffondendo perfino nell’Europa refrattaria alle novità: Arafat è un problema, Abu Mazen la flebile speranza. Ma come ha scritto, nel suo editoriale principe, il New York Times: i leader palestinesi hanno promosso l’illusione che gruppi radicali potessero trasformarsi in pacifici partiti politici. Un’illusione, appunto. "Questa fantasia è andata in pezzi con le 20 innocenti vittime" dell’attentato a Gerusalemme. Adesso il premier non ha scelta: la linea dura contro Hamas e Jihad è l’unica opzione, per "mostrare che egli è volenteroso non solo di denunciare i terroristi, ma anche di controllarli". Shlomo Avineri, professore di Scienze politiche alla Hebrew University of Jerusalem, sul Financial Times del 21 agosto, ha descritto l’altro scenario negativo che si profila all’ombra degli scontri, reali o presunti, nella leadership palestinese: "I palestinesi sono capaci di mettere in piedi un sistema di governo che non si riveli un altro Stato fallito?".Avineri spiega che "la sovranità è il monopolio di Stato sul legittimo uso della forza. Ogni volta che questo monopolio viene con successo messo in dubbio o non esercitato, lo Stato scompare". E’ quello che è successo all’Unione sovietica, in Jugoslavia, in Libano negli anni 80 e in Liberia. Nell’accettare la road map, "il primo ministro palestinese, si è impegnato a far valere la propria autorità contro le diverse milizie… Questo non è accaduto". Ed è comprensibile la riluttanza di Abbas al confronto con i diversi gruppi armati, alcuni dei quali, come le brigate al Aqsa, rami della sua organizzazione, al Fatah: "Un tale confronto può facilmente portare a un conflitto intestino, forse anche a una guerra civile, e i palestinesi si ricordano – benché siano restii ad ammetterlo – che nella loro rivolta contro gli inglesi, nel 1936-39, furono più i palestinesi uccisi dai loro fratelli che quelli caduti nella battaglia contro i dominatori stranieri o la comunità ebraica".
L’esempio di Ben Gurion I palestinesi, però, dicono che le azioni israeliane hanno ostacolato la loro capacità di contrastare i gruppi armati. "E’ vero solo in parte – scrive Avineri – le organizzazioni paramilitari sono state tollerate dall’Autorità palestinese sin dalla sua costituzione, e le loro violente manifestazioni anti israeliane… sono state fatte passare di continuo alla televisione palestinese. Agli attentatori suicidi sono stati accordati, con il passare degli anni, funerali ufficiali e alle loro famiglie sono state passate dall’Autorità palestinese pensioni speciali; il messaggio alla popolazione è stato chiaro. Persino ora, gli apparati di sicurezza palestinesi hanno a loro disposizione 10 mila uomini armati, che potrebbero essere utilizzati per controllare parte dei focolai di militanza. Quello che manca è la volontà politica". E se altri palestinesi "dicono che le milizie armate verranno affrontate una volta raggiunta l’indipendenza. Si sbagliano. Non costruiranno mai uno Stato coerente se non monopolizzano l’uso della forza adesso. Questo è il vero test della costruzione di una nazione e della leadership. David Ben Gurion – conclude Avineri – primo premier di Israele, dovette affrontare questa sfida nel giugno 1948, appena qualche mese dopo la fondazione di Israele e nel mezzo di una guerra, nella quale Israele si trovò attaccata dai suoi vicini arabi. La sfida venne dall’organizzazione sotterranea di Menachem Begin, l’Irgun, che… portò una massiccia partita di armi nel paese per i propri membri… con la fermezza che lo contraddistingueva, Ben Gurion usò la forza per ostacolare il movimento Irgun e mise immediatamente fuori legge le sue formazioni semi indipendenti. L’esercito usò la linea dura, delle persone furono uccise a Tel Aviv, malgrado tutto prevalse l’autorità dello Stato e Israele sorse con un esercito, non due o tre. Questo garantì anche che Begin diventasse un leader di un partito parlamentare e che alla fine fosse eletto primo ministro, piuttosto che comandante di una milizia semi legale. Qualcuno consigliò a Ben Gurion di rimandare il confronto al termine della guerra… Se avesse ascoltato quel consiglio, probabilmente Israele non sarebbe riemersa dal conflitto del 1948 come una coerente democrazia… Di certo uno dei problemi è che Abbas non è Ben Gurion: come vice di Yasser Arafat è stato per anni una grigia figura della burocrazia, non un leader pubblico. La tragedia palestinese è aggravata dal fatto che per decenni Arafat non ha tollerato alcun leader alternativo o un successore… La maggior parte degli israeliani è oggi d’accordo che uno Stato palestinese, esistente a fianco a Israele… ma nessun paese potrebbe accettare che uno Stato fallito – un secondo Libano – nascesse ai suoi confini". Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.