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Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 09/07/2024, a pag. 1/4, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo: “Nove mesi a Gaza”.
A maggio Israele ha diffuso uno straziante filmato che mostra il rapimento di cinque soldatesse israeliane il 7 ottobre dalla base di Nahal Oz a opera di terroristi palestinesi. Il video era stato ripreso dalle bodycamere indossate dagli stessi terroristi di Hamas durante il massacro da loro perpetrato quel giorno in Israele contro civili e militari israeliani. Nel video diffuso da Israele si vedono Liri Albag, Karina Ariev, Agam Berger, Daniella Gilboa e Naama Levy. “Siete belle sioniste”, dice loro uno dei terroristi. E un altro: “Ecco, queste sono le ragazze che possono rimanere incinte”. Dalla testimonianza di Amit Soussana, la prima donna israeliana liberata a fornire un racconto diretto delle atrocità sessuali commesse da Hamas anche nei tunnel di Gaza, sappiamo che le donne rapite sono state vittime di stupro. Soussana racconta che il suo carceriere, “Muhammad”, le chiedeva costantemente del ciclo mestruale, se si era lavata e quando sarebbe finito. Una mattina, Muhammad le slacciò la catena alla caviglia in modo che potesse lavarsi nella vasca da bagno. Poi è tornato con una pistola. “Mi ha puntato la pistola alla fronte. Poi mi ha costretto a commettere un atto sessuale”. Ora, dopo i nove mesi di sequestro, Israele si prepara alla terribile possibilità delle gravidanze, con dodici donne in età fertile ancora tenute prigioniere da Hamas. Un nuovo documento che esamina la letteratura medica evidenzia i problemi di natura fisica, psicologica e sociale che potrebbero sorgere nel caso in cui una delle donne in ostaggio violentate rimanesse incinta. Pubblicato nell’ultimo numero dell’Harefuah Journal dall’Associazione medica israeliana, l’articolo è stato scritto da Leah Shelef del Sapir College e dallo psichiatra Gil Salzman dell’ospedale di Geha. Un esame della letteratura di guerra indica che la probabilità di una gravidanza derivante da uno stupro in cattività può arrivare fino al venti per cento dei casi. Paradossalmente, la “legge sullo stupro” dell’Isis proibisce la violenza sulle donne incinte. Tuttavia, secondo l’orribile ideologia dell’organizzazione omicida emulata da Hamas, mettere incinta una donna converte essenzialmente lei e i suoi figli all’islam, e di questo quella donna dovrebbe essere grata per tutta la vita. Alcune donne sopravvissute alle razzie dell’Isis hanno riferito di aver ricevuto la pillola anticoncezionale o la pillola del giorno dopo in cattività. “Non sono sicura che mia figlia non sia incinta” dice la madre di Doron Steinbrecher, Simona. “Chi è tornato da Gaza ha detto apertamente che ( i terroristi) vanno nelle docce con le ragazze, che le violentano. Non è una paura, queste cose si fanno. La cosa peggiore che può succedere è che ci siano donne incinte con bambini di Hamas in pancia. Non parlo più della brutalità nei confronti sia delle donne che degli uomini, del comportamento nei loro confronti, della mancanza di cibo e acqua, della mancanza di sonno, il che è terribile”. Anche Ashley Waxman Bakshi, la cugina di Agam Berger, 19 anni, ha detto: “Potete capire la nostra preoccupazione per ogni minuto che passa quando le nostre ragazze sono nelle mani di questi mostri. E se fossero incinte? E se venissero usate come schiave del sesso? Abbiamo visto in video due amiche di Agam, Danielle e Karina, anche loro di 19 anni. Oltre alla gioia di vedere il segno della vita, non abbiamo potuto fare a meno di notare che una di loro era gonfia in viso. E i primi pensieri inimmaginabili che avevamo in mente riguardavano la gravidanza”. Intanto sugli ostaggi israeliani tutto tace in quel pezzo d’occidente che per anni ha insistito, nei documenti accademici, sulle magliette e persino sulle tazze da caffè, che quando si combatte l’oppressione, “il silenzio è consenso” e “il silenzio è violenza”. Ieri la sorella di una degli ostaggi, Liri Albag, Shai, ha ricevuto un messaggio audio in cui i terroristi hanno detto a Liri: “Ti sposerai qui a Gaza”. Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@ilfoglio.it |
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