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Libero Rassegna Stampa
05.07.2024 La destra britannica ha perso perché non ha fatto la destra
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 05 luglio 2024
Pagina: 13
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «La destra britannica ha perso perché non ha fatto la destra»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 05/07/2024, a pag. 13, con il titolo "La destra britannica ha perso perché non ha fatto la destra", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Rishi Sunak addio, il leader conservatore subisce una sconfitta storica per il suo partito. Lascia solo macerie. Dopo un decennio di politiche che hanno tradito il messaggio di Margaret Thatcher, si tratta anche di una sconfitta meritata, per mancanza di coerenza.

C’è modo e modo di perdere: si può perdere malamente un’elezione oppure – ed è ben più grave – si può addirittura rischiare di perdere se stessi, di smarrire la bussola e l’identità. Intendiamoci: per molti versi è assolutamente naturale subire una sconfitta elettorale dopo un lunghissimo ciclo di governo. È quanto è accaduto ieri sera, confermando tutte le previsioni, ai conservatori britannici, che governavano il Regno Unito ininterrottamente dal 2010. In oltre 14 anni si sono succeduti cinque primi ministri dei Tories (David Cameron, Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss, Rishi Sunak), ciascuno peraltro portatore di linee politiche assai differenti, e non di rado addirittura confliggenti.
Del resto, da sempre la politica britannica è punteggiata da tremende battaglie e da episodi di cannibalismo all’interno dei partiti principali: è nota, a questo proposito, la feroce battuta secondo cui a Westminster (che non ha forma di emiciclo, ma prevede tribune contrapposte per maggioranza e opposizione) gli avversari siedono davanti al primo ministro, mentre i “nemici” gli stanno alle spalle, alludendo alla tendenza all’accoltellamento del premier da parte dello stesso partito che lo ha espresso. Tutto ciò è a maggior ragione vero in anni di accelerazioni superveloci, di trasformazioni incessanti: 14 anni sono oggi un tempo infinito. E, per qualche anno, solo il carisma fiammeggiante e il grano di follia di Boris Johnson avevano gestito (o almeno mascherato) divisioni profondissime interne ai Tories: tra pro Brexit e anti Brexit, tra liberisti thatcheriani e moderati pro intervento pubblico. Era fatale e fisiologico che prima o poi il ciclo finisse, e per questo appariva a tutti scontata la vittoria dei laburisti di Keir Starmer.
E qui cominciano i guai. Guai doppi, direi. In primo luogo, guai per la Gran Bretagna: a dispetto dell’immagine personale rassicurante che Starmer si sforza di trasmettere, la parte fiscale e quella burocratica del suo programma non promettono nulla di buono, e c’è da immaginare che presto non pochi elettori avranno motivo di pentirsi delle loro scelte. La sinistra non è mai moderata, anche quando vorrebbe far credere di esserlo.

IN CERCA DI IDENTITÀ

In secondo luogo, ci sono i guai – giganteschi, a questo punto – dei conservatori, che negli ultimi anni hanno perso l’anima e i princìpi.
Prendi Brexit. Dopo la vittoria referendaria del 2016, era preciso compito dei Tories credere in quell’esito, e quindi scommettere su un taglio di tasse e su un attacco alla burocrazia che potessero fare del Regno Unito qualcosa di ancora più distinto da Bruxelles, un hub capace di attrarre risorse e investimenti. E invece pure i conservatori, in ciò adeguandosi all’establishment culturale di sinistra, hanno vissuto Brexit in termini di danno da ridurre anziché come un’opportunità. E l’occasione è stata largamente sciupata.
Prendi ancora le tasse. Liz Truss, la premier arrivata a Downing Street prima dell’ultimo inquilino Rishi Sunak, aveva vinto il leadership contest (cioè le primarie interne) esattamente su un programma di taglio thatcheriano della pressione fiscale. Ora si può discutere in eterno sul motivo per cui quell’operazione non sia riuscita (errori suoi e del suo ministro dell’Economia, reazione eccessiva dei mercati, ostilità interne ed esterne al partito): ma è un fatto che il progetto sia miseramente naufragato. Che devono pensare gli elettori di un partito capace di liquidare una sua leader proprio sul punto decisivo sul quale aveva vinto le primarie?
E prendi infine l’immigrazione. Pure lì, nonostante tanti impegni, l’insuccesso è ormai sotto gli occhi di tutti, con dati inquietanti relativi all’immigrazione illegale e pure – ciò che sgomenta anche di più – rispetto all’immigrazione legale. In altre parole, quelli che erano stati pensati come paletti normativi rigidi per evitare che – pur nella legalità – i numeri dei nuovi arrivati diventassero soverchianti sono stati travolti dalla realtà.
A tutto questo vanno sommati l’islamizzazione crescente della società britannica e le derive inaccettabili delle manifestazioni pro Palestina, al punto che Robin Simcox, il consulente del Ministero degli Interni per il contrasto all’estremismo, ha esplicitamente descritto Londra come una sorta di “no-go zone” per gli ebrei, cioè un’area ad elevatissimo pericolo di integralismo («Gli atti di estremismo sono stati normalizzati», ha denunciato Simcox).
Certo, è un peccato che una simile rovinosa sconfitta sia precipitata sulle spalle di Sunak, percepito un po’ da tutti come persona seria e competente. Per inciso, mentre andiamo in stampa, non possiamo nemmeno sapere (e sarebbe un evento più unico che raro) se il primo ministro uscente sia stato sconfitto o no nel suo stesso collegio parlamentare di provenienza, risultando in questo caso clamorosamente estromesso dal Parlamento.

RISCHI PER RISHI

Non solo. Quando alla fine dello spoglio si conoscerà il computo finale dei collegi (in Uk vige il maggioritario secco), potrebbero perfino accadere altri due eventi letali per i Tories, una specie di doppio sfregio sulla loro lapide politica. Per un verso, il rischio (che però gli exit poll parrebbero escludere) che siano i Liberaldemocratici a conquistare la posizione di secondo partito, il che – anche televisivamente, ad esempio in occasione del question time parlamentare – priverebbe i conservatori della possibilità di sfidare ad armi pari i laburisti, diventando un’opposizione più marginale. Per altro verso, un’eventuale elezione (sarebbe la prima volta a Westminster) di Nigel Farage, sul cui ritorno alla guida della formazione “Reform Uk” qui su Libero abbiamo scritto per primi. Se la sua voce fosse in Parlamento, sarebbe lui a sfidare i Tories da destra, rivendicando le battaglie anti-tasse, pro-Brexit e anti-immigrazione.
Morale. Ci riflettano i conservatori in tutto il mondo, e pure in Italia: se – per un complesso di circostanze e per errori propri – un partito si allontana progressivamente dalle ragioni e dai sentimenti dei suoi elettori, e se lo fa proprio sui temi decisivi (tasse, immigrazione, sicurezza), è ben difficile che prima o poi il conto non arrivi.

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