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israele.net Rassegna Stampa
30.06.2024 Il piano di Biden potrebbe funzionare, ma deve fare i conti con chi ha sempre alimentato il conflitto
Analisi di Mark Lavie

Testata: israele.net
Data: 30 giugno 2024
Pagina: 1
Autore: Mark Lavie
Titolo: «Il piano di Biden potrebbe funzionare, ma deve fare i conti con chi ha sempre alimentato il conflitto»

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Mark Lavie, dal titolo "Il piano di Biden potrebbe funzionare, ma deve fare i conti con chi ha sempre alimentato il conflitto", tradotto da Jerusalem Post.

Mark Lavie
La mappa della Palestina che cancella Israele. Non solo Hamas, ma anche Fatah mira a questo obiettivo. Nessun palestinese vuole coesistere con uno Stato ebraico. Lo vogliono distruggere. Per questo ogni piano di pace basato sulla teoria dei "due Stati" è destinato a fallire.

Su un altro pianeta, il piano illustrato dal presidente americano Joe Biden per porre fine alla guerra a Gaza verrebbe accolto da tutti con favore. Offre a entrambe le parti la maggior parte di ciò che vogliono: ferma lo spargimento di sangue, libera tutti gli ostaggi israeliani in cambio di detenuti palestinesi, promuove piani di ricostruzione e riporta gli sfollati di Gaza alle loro case.

E’ stato presentato mentre Israele porta avanti la sua operazione militare nella città di Rafah, al confine meridionale di Gaza, facendo saltare i tunnel del contrabbando che alimenta il terrorismo ed eliminando terroristi di Hamas, ma pagando un prezzo molto alto in termini di perdite sia tra i non combattenti palestinesi che tra i suoi stessi soldati.

Hamas, nel frattempo, ha la sua dirigenza locale bloccata nel sottosuolo, perde terroristi, armi e razzi, promuove la distruzione del suo stesso territorio e sta lentamente ma costantemente alienandosi il sostegno che aveva tra la sua gente (perlomeno nella striscia di Gaza)

Quindi, su un altro pianeta il piano di Biden in tre fasi – per lo più un piano israeliano – rappresenterebbe una conclusione accettabile per la guerra durata già otto mesi. Gran parte dell’opinione pubblica israeliana vuole che la guerra finisca e che gli ostaggi tornino a casa, anche se ciò significa rinunciare all’obiettivo irraggiungibile della “distruzione totale di Hamas” formulato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Ma su questo pianeta non funzionerà così com’è attualmente formulato.

Netanyahu è intrappolato – volente o nolente – in una situazione politica nella quale accettare qualsiasi compromesso per fermare la guerra significa la fine del suo lungo regno in carica, poiché è vincolato a una fazione estremista della sua coalizione di governo che taccia come “infantile” se non peggio) qualunque piano come questo.

E poi l’attuazione del piano Biden, sebbene non venga detto esplicitamente, dipende dal negoziato con Hamas e dall’ottenere il suo consenso.

Si tratta della stessa Hamas che lo scorso 7 ottobre ha mandato oltre confine migliaia di terroristi assetati di sangue a uccidere, violentare e bruciare più di 1.200 israeliani e a sequestrarne 240.

E’ la stessa Hamas che sistematicamente inventa “fatti” e li propina all’adorante macchina mediatica straniera, costringendo persino le tutt’altro che ostili Nazioni Unite ad ammettere che quasi un terzo del bilancio delle vittime fornito dal “Ministero della salute” di Hamas era basato su rapporti generici e, nella migliore delle ipotesi, su congetture. Il che, ovviamente, non ha impedito ai media di ripetere a pappagallo le cifre e le affermazioni di Hamas, limitandosi a notare da qualche parte in fondo all’articolo che “i dati non possono essere confermati in modo indipendente”. Bella scappatoia.

Si tratta di quella Hamas che ha il genocidio nel suo statuto, quella che rifiuta il concetto stesso di uno stato ebraico in qualunque parte del Medio Oriente, quella che indottrina i suoi figli ad aspirare al “martirio” purché portino con sé degli ebrei nella morte.

Si tratta di quella Hamas. Anche senza dimenticare che il curriculum di Israele è tutt’altro che immacolato, negoziare con Hamas su un piano di parità con Israele è qualcosa di osceno. Ma la macchina della propaganda araba, attingendo alle fonti storiche del pregiudizio antisionista e dell’antisemita, è riuscita a deturpare la reputazione di Israele attribuendogli i crimini che Hamas non solo perpetra nei confronti degli ebrei, ma di cui si vanta con orgoglio e che caldeggia esplicitamente nel suo statuto e nella sua pubblicistica.

Poi c’è il problema del “giorno dopo”. È interessante notare che nel piano presentato da Biden non si fa menzione di negoziati sulla sacra formula della “soluzione a due stati”. In altre parole, si riporta sostanzialmente la situazione a quella che era prima del pogrom di Hamas del 7 ottobre.

Significa forse che l’Occidente si sta finalmente rendendo conto che, almeno per molti lunghi anni, il sogno utopico di uno stato palestinese che conviva pacificamente accanto a Israele è defunto? Probabilmente no, ma è vero che da anni la formula della “soluzione a due stati” non è altro che un mantra da intonare a intervalli per poi accantonarlo.

Questo perché non è solo Hamas che rifiuta l’idea di uno stato palestinese accanto allo stato ebraico d’Israele. Lo fanno anche i pragmatici governanti palestinesi della Cisgiordania. Sono loro che hanno rifiutato non una, ma almeno due volte – nel 2000 e nel 2008 – concrete e realistiche proposte israeliane, con le mappe e tutto il resto, volte a creare uno stato palestinese equivalente a tutta la Cisgiordania e la striscia di Gaza (con un corridoio attraverso Israele per collegarle) più parti di Gerusalemme.

Nessuna scusa – del tipo “gli israeliani non sono stati abbastanza garbati” o “gli americani non erano abbastanza decisi” – può giustificare questi rifiuti che hanno fatto arretrare di decenni il processo di pace in Medio Oriente e hanno creato il terreno per una lunga serie di scontri armati e, ora, questa guerra a Gaza.

I palestinesi avrebbero potuto avere il loro stato già da una ventina d’anni se avessero accettato una di quelle proposte, anche se non corrispondevano esattamente in tutto e per tutto a ciò che chiedevano: come fece Israele nel 1947, quando accettò l’offerta dell’Onu (rifiutata dagli arabi) di due stati separati per arabi ed ebrei di Palestina. E invece, abbiamo conflitti e sofferenze senza fine.

Anche così, non tutto è perduto. Il piano Biden potrebbe aprire la strada a una nuova era: ma solo a patto che gli Stati Uniti e i paesi arabi moderati siano pronti a mettersi in gioco e che Israele modifichi la sua politica o la sua leadership, o entrambe.

È un errore fondamentale considerare il conflitto come una questione a due, che coinvolge solo Israele e Hamas. Altri attori attivi includono Iran e Qatar.

Oltre a sponsorizzare Hamas, l’Iran sostiene una funesta escalation al confine tra Israele e Libano che può sfociare in una guerra più ampia.

Il Qatar ha finanziato per anni (con la sprovveduta cooperazione di Israele) l’acquisizione di armi e lo scavo di tunnel da parte di Hamas. E il Qatar fornisce una comoda base di appoggio ai capi di Hamas che hanno lasciato o sono fuggiti da Gaza.

Fare i conti con Iran e Qatar è un elemento cruciale per garantire che il piano Biden, se attuato, non porti semplicemente a un’altra guerra nel giro di un anno o due.

Ciò richiede una coalizione attiva tra gli Stati Uniti e le nazioni arabe moderate affinché si assumano la gestione della composizione post-bellica a Gaza, anche se palestinesi e Israele si dovessero opporre.

I palestinesi, soprattutto Hamas, si opporranno sicuramente. Ciò potrebbe portare a nuovi lanci di razzi contro Israele. Anche l’Iran non accetterà passivamente la situazione, il che si tradurrà in ulteriori attacchi dal Libano e forse in una ripresa del massiccio attacco aereo contro Israele di alcune settimane fa. La coalizione dovrebbe essere pronta a rispondere a tutto questo.

Israele, d’altro canto, dovrebbe accettare il coinvolgimento attivo dei paesi arabi che potrebbero diventare suoi alleati. L’attuale leadership potrebbe non essere in grado di farlo, ma Israele ha una forma di governo democratica che prevede elezioni effettive, a differenza dei palestinesi che l’ultima volta hanno votato nel 2006, o dell’Iran dove l’opposizione al regime degli ayatollah viene ferocemente repressa e le elezioni non hanno alcun vero significato.

Dunque Israele potrebbe benissimo prendere questo treno.

Se il piano Biden si traducesse in un’ampia coalizione di forze votate a pacificare il fronte israelo-palestinese facendo seriamente i conti con quelli che finora l’hanno alimentato, allora c’è una possibilità che possa fare davvero la differenza.

Su questo pianeta.

(Da: Jerusalem Post, 19.6.24)

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