Testata: Il Foglio Data: 29 giugno 2024 Pagina: 1/4 Autore: Micol Flammini Titolo: «Hezbollah e il Cremlino»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/06/2024, a pag. 1/4, con il titolo "Hezbollah e il Cremlino" l'analisi di Micol Flammini.
Micol Flammini
Il 13 aprile scorso, l’Iran ha lanciato un attacco contro Israele coordinando missili da crociera, missili balistici e droni. Quando i colpi di Teheran e dei suoi alleati sono stati sferrati contro tutto il territorio dello stato ebraico, sarebbe bastato cambiare i nomi dell’aggressore e dell’aggredito per capire che l’Iran stava applicando un metodo altrui, studiato, perfezionato, incattivito altrove ma contro un paese che non ha le capacità dei sofisticati e capillari sistemi di difesa aerea di Israele e non ha una coalizione di paesi pronta ad alzarsi in volo per neutralizzare l’attacco. La notte del 13 aprile, l’Iran contro Israele ha agito come la Russia contro l’Ucraina: la Repubblica islamica non si era inventata nulla di nuovo, ha soltanto applicato il metodo che il Cremlino usa contro il territorio ucraino. L’asse che unisce Mosca e Teheran è saldo e le alleanze sono fatte di condivisione, e il metodo russo potrebbe essere ancora applicato contro Israele, però dal gruppo libanese Hezbollah.
Una guerra più vasta tra Israele e la formazione sciita è temuta non soltanto da Gerusalemme ma anche da tutti i paesi, inclusi gli Stati Uniti, che stanno dicendo ai loro cittadini di lasciare il Libano. E’ dall’8 ottobre che il gruppo finanziato dall’Iran ha aperto un fronte contro lo stato ebraico attaccando dal Libano, unendosi di fatto all’aggressione di Hamas e partecipando al tentativo iraniano di sfiancare Israele da ogni lato. Proprio come i russi dall’ottobre del 2022 hanno iniziato a prendere di mira le infrastrutture energetiche dell’Ucraina, lo stato ebraico si aspetta che Hezbollah possa fare qualcosa di simile. In Ucraina i russi colpiscono centrali elettriche e idriche per rendere invivibile il paese, cercano di avere un effetto anche sulla morale dei cittadini che temono la durezza del prossimo inverno con danni sempre più profondi, la rete elettrica israeliana è molto vulnerabile. Hezbollah non è Hamas, ha un arsenale tecnologico e avanzato, è dotato di missili di precisione che in questi mesi hanno cercato di bucare le difese israeliane. Secondo alcuni calcoli di intelligence, il gruppo libanese ha la capacità di lanciare talmente tanti missili da mettere in crisi le difese di Israele che a quel punto si troverebbero costrette a dover scegliere tra la protezione delle risorse militari e quella delle infrastrutture civili. Nel caso in cui la guerra con Hezbollah dovesse raggiungere ritmi più elevati, gli israeliani si troverebbero ad affrontare lunghe ore senza luce, ma ci sarebbero anche altri danni. E’ un paese dipendente dall’elettricità sotto molti aspetti, anche per l’approvvigionamento idrico, in quanto l’acqua potabile viene principalmente prodotta da alcuni impianti per la desalinizzazione che si trovano lungo la costa e hanno bisogno dell’elettricità per funzionare: nel caso di un attacco alla rete, oltre a trovarsi senza luce, Israele rischierebbe una carenza d’acqua potabile. Shaul Goldstein, funzionario della Noga, un’organizzazione che si occupa di elettricità, è stato il primo a sollevare il problema dicendo che dopo settantadue ore Israele diventerebbe un paese in cui è impossibile vivere. Il ministro dell’Energia Eli Cohen l’ha contraddetto, ammettendo che la rete elettrica è senza dubbio nella lista degli obiettivi del nemico, ma è protetta.
Secondo vari esperti intervistati dai media israeliani le centrali elettriche rappresentano un punto debole, il paese è un’isola energetica e in caso di interruzioni non potrebbe beneficiare dell’assistenza dei suoi vicini, come invece accade in alcune zone dell’Ucraina confinanti con i paesi occidentali. Le riserve di gasolio e carbone in Israele non sono neppure piene da poter garantire una sostituzione duratura e immediata.
La vulnerabilità della rete elettrica israeliana non è una scoperta recente, subito dopo l’attacco di Hamas il paese ha speso l’equivalente di oltre cinquecento milioni di euro per aumentare le sue riserve di energia, ma la preoccupazione era iniziata già prima: la spinta di qualche anno fa per accelerare sulle rinnovabili era vista anche come una questione di sicurezza. Il calcolo è semplice: per un nemico è molto più difficile paralizzare un paese in cui milioni di persone hanno la disponibilità di pannelli solari e accumulatori fotovoltaici e sono quindi indipendenti dalla rete.
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