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Libero Rassegna Stampa
21.08.2003 La Coca Cola arriva in Palestina
e Arafat ci guadagna (ai danni del suo popolo)

Testata: Libero
Data: 21 agosto 2003
Pagina: 1
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Sospetti su Arafat, il guerrigliero che fa miliardi con le azioni Coca Cola»
Riportiamo l'articolo di Dimitri Buffa pubblicato su Libero giovedì 21 agosto 2003.
Opportunismo e ambiguità rappresentano la sua principale strategia. Anche adesso, dopo che l'ennesimo kamikaze islamico-palestinese ha seminato morte in Israele. Da una parte, Yasser Arafat si barcamena per cercare di limitare l'azione del premier palestinese Abu Mazen, poichè potrebbe oscurare la stella.
Dall'altra, non fa mancare sostegno - anche economico - alle formazioni terroristiche, quelle che le autorità palestinesi dovrebbero in teoria combattere. Utilizzando parte dei soldi (l'altra finisce sui suoi conti personali) provenienti dalle organizzazioni internazionali (destinati in realtà al popolo palestinese) e dai suoi maneggi affaristici.
Il paradosso è che fra le entrate del "rais", sostanziose sono quelle che derivano dal suo business con la Coca-Cola. Proprio il colosso americano tanto odiato dai no-global planetari, così amici della causa palestinese. Il marchio Coca-Cola in Palestina e in buona parte del Medio Oriente viene distribuito dalla National Beverage Company, di cui è proprietario Arafat al 30% attraverso il paravento dell'Anp. Altri uomini d'affari palestinesi ne detengono più del 50% e il resto è di proprietà dell'azienda madre. Arafat inoltre è il concessionario dell'imbottigliamento in loco e possiederebbe un buon 0,5% dell'azionario globale del marchio di Atlanta.
Ma, in questo senso, da ottobre 2002 c'é un prodotto, la "Mecca cola" che sta dando molti grattacapi ad Arafat proprio nel settore dei suoi interessi personali. Da una parte infatti c'é l'idea geniale di un uomo d'affari tunisino Tawfik Mathlouthi, naturalizzato in Francia, mago della comunicazione e proprietario di un'emittente radio, che lancia questo prodotto con lo slogan "Non bevete più idiota, bevete impegnato" e che promette di devolvere il 10% degli utili ai bambini palestinesi e un altro 10% alle Ong che aiutano (magari anche in maniera discutibile) la causa di quello stesso popolo.
Orbene: pare che nei paesi islamici, la flessione delle vendite di Coca-Cola
sia stata pesante e l'azienda starebbe pensando a nuove tattiche di marketing . Tutte basate sull'"islamic correct". In Pakistan esiste il "Programma Hajj volontario", con cui un dipendente per ognuno degli otto impianti, estratto a sorte, può andare in pellegrinaggio alla Mecca a spese dell'azienda. In Libano hanno sponsorizzato le foreste di cedro, l'albero nazionale. In Palestina la Coca Cola fornisce pasti speciali agli orfani in occasione del Ramadan. Nei Territori Palestinesi e in Libano la Coca-Cola è il secondo investitore estero. Però, con l'avvento sul mercato della Mecca Cola, proprio a partire dall'impianto di Ramallah, capitale provvisoria del futuro stato, sede del governo dell'Anp nonché quartiere generale di Arafat, sono stati bloccati investimenti e assunzioni.
Proprio un bel pasticcio per Arafat questo successo della Mecca Cola che vende bene in tutto il Medio Oriente usando la causa palestinese come abile richiamo di marketing. Lanciata a ottobre 2003, appare a novembre, mese di Ramadan: 160mila bottiglie da 1 litro e mezzo vendute in una settimana. Per non parlare dell'effetto imitazione: negli stessi mesi in Inghilterra è spuntata anche la Qibla Cola, la "cola per un gusto libero", e ancora in Francia la Muslim Up, "non come le altre, al servizio degli altri" e l'Arab Cola, la "cola del mondo arabo".
Ecco il paradosso quindi: da una parte il colosso americano, partecipato dal
capitalismo "demo pluto masso giudaico", ma anche da Arafat che é il
concessionario unico per il Medio Oriente e che già masticava amaro per le
"inopinate" campagne di boicottaggio antisemita dei no global, ma che data
la scarsa incidenza sul ricavato finale chiudeva volentieri un occhio,
dall'altra queste nuove forme di capitalismo arabo che imitano come i
giapponesi la sostanza, il logo e il marchio di Atlanta ma che promettono
bibite "politically correct" per islamici e tanti soldi per i "poveri
bambini palestinesi".
Per Yasser Arafat il problema non é da poco e nelle scorse settimane alcuni
giornali arabi hanno riportato indiscrezioni sulla sua irritazione per
questo stato di cose. Più della causa palestinese potrà il vile denaro?
Per chi come gli israeliani ben conosce il personaggio non ci sono dubbi:
alla fine Arafat brigherà per mettersi d'accordo con questi nuovi capitalisti islamici o per farli fallire.
Un uomo come Arafat che, appena iniziata la sanguinosa seconda Intifada, quella dei martiri suicidi, ha subito fatto trasferire a Parigi all'Hotel Ritz (suite da mille dollari a notte) la corpulenta moglie Suha insieme alla prole, di certo non si fermerà di fronte alla possibilità di mettersi contro i capitalisti islamici che vogliono boicottare l'America e Israele
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