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Gli Stati Uniti di Biden stanno rompendo l’alleanza storica con Israele? Se Hamas e Hezbollah potessero votare alle presidenziali USA di novembre, non avrebbero dubbi: Joe Biden sarebbe il loro candidato Se, per pura ipotesi, i terroristi di Hamas e di Hezbollah potessero accedere al voto presidenziale del prossimo novembre negli Stati Uniti, Biden vincerebbe certamente le elezioni. Nella storia dei rapporti tra gli Stati Uniti e Israele, mai ci si è trovati di fronte ad un’evidenza sconcertante come quella attuale. Nelle guerre di Israele contro i suoi assalitori, che ne volevano la distruzione al fine di islamizzare completamente il Medio Oriente, eliminando il male costituito dalla presenza degli ebrei in terra araba, mai gli Stati Uniti avevano assunto una posizione così esplicitamente contraria a Israele. Nel 1948, furono le armi sovietiche, passate a Israele attraverso la Cecoslovacchia, a permettere di respingere l’assalto degli eserciti di cinque Stati arabi; nel 1967, l’Amministrazione Johnson assistette dall’esterno alla vittoria esemplare di Israele; nel 1973, la Guerra dello Yom Kippur vide gli Stati Uniti fornire un modesto, ma indispensabile quantitativo di armi in un momento difficile per lo Stato ebraico, in particolare per respingere i siriani – che godevano delle armi fornite dall’Unione Sovietica – sulle alture del Golan. In quest’ultimo caso, un ponte aereo americano fornì le armi a Israele come risposta a Mosca; fu Henry Kissinger, sempre contrario a sostenere militarmente Israele, a convincere Nixon a fare questo passo in funzione antisovietica. In altre circostanze di minore entità bellica Israele si è difeso da solo infliggendo sconfitte ai suoi nemici e, in questo modo, ponendosi contro di loro come un Paese forte, unito, deciso a sopravvivere e svilupparsi a dispetto delle ridicole vanterie arabe. La diffusione dell’accusa di genocidio, che nel caso di Gaza è privo di qualsiasi evidenza sul campo, ha avuto una grande diffusione tra l’opinione pubblica internazionale, anche se gli Stati Uniti si sono mossi per condannarla insieme ai Paesi occidentali, a differenza di quelli del mondo islamico e del Terzo Mondo. Tuttavia, come si è detto, l’accusa di genocidio ha scavalcato il rigetto dei governi occidentali, penetrando nell’ambito delle valutazioni, quasi sempre prive di fondamento conoscitivo adeguato, dell’opinione pubblica internazionale. È forse questo l’aspetto più preoccupante per il governo di Netanyahu. Ma l’opposizione persistente da parte americana verso l’azione di Israele nella Striscia di Gaza non fa altro che consolidare l’accusa di genocidio rivolta all’azione militare di Israele per annientare il gruppo terroristico di Hamas, eliminazione che di per sé dovrebbe guadagnare a Israele una valutazione positiva, ma che, invece – estrema antinomia – va a scapito di un Paese che lotta per la propria sopravvivenza. Se Biden avesse condannato le stragi del 7 ottobre immediatamente e con parole dure e inequivocabili, se avesse confermato che l’obiettivo di Israele di distruggere Hamas era lo stesso obiettivo degli Stati Uniti, probabilmente Israele non si sarebbe trovato così solo e alla mercé del giudizio, veramente antisemita, proveniente da molti Paesi del mondo.
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