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Il Foglio Rassegna Stampa
21.06.2024 La guerra di Hezbollah contro Israele
Analisi di Micol Flammini

Testata: Il Foglio
Data: 21 giugno 2024
Pagina: 1/II
Autore: Micol Flammini
Titolo: «Misurare l’orlo dell’escalation»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 21/06/2024, a pag. 1/II, con il titolo "Misurare l’orlo dell’escalation" l'analisi di Micol Flammini.

Micol Flammini
Micol Flammini

Ai lanci di razzi da parte di Hezbollah, l'IDF risponde con le eliminazioni mirate dei leader del partito terrorista sciita libanese. Faisal Ibrahim è l'ultimo della serie. L'uccisioni dei vertici serve a frenare l'escalation, perché obbliga Hezbollah a pause per riorganizzarsi.

Eliminare i componenti di un gruppo militare serve a interrompere una catena di comando che ci vogliono anni a creare. Serve a ridurre le capacità di organizzare attacchi. Serve a spuntare l’organizzazione. Ieri l’esercito israeliano, Tsahal, ha ucciso Faisal Ibrahim, comandante delle attività operative di Hezbollah nel sud del Libano, mentre viaggiava a bordo della sua auto nella città di Deir Kifa. Faisal Ibrahim era l’uomo che pianificava gli attacchi contro Israele dal distretto di Jouaiyya, addestrava uomini per i combattimenti, gestiva l’agenda di un eventuale attacco via terra contro lo stato ebraico. Agire al millimetro, eliminare gli uomini che hanno costruito e continuano a costruire il piano contro Israele è il metodo per evitare una guerra totale, oppure per ritardarla. Che lo scontro tra Israele e Hezbollah non sia “più questione di se, ma di quando” è la convinzione che ormai ha messo Israele nella condizione di elaborare un piano di reazione a Hezbollah e ha portato gli Stati Uniti ad avvertire le istituzioni libanesi sulle conseguenze che gli attacchi del gruppo armato, metà partito metà esercito, potrebbero portare a tutto il paese.

Gli americani hanno detto che una reazione israeliana in questo momento avrebbe il sostegno di Washington. L’inviato speciale per il medio oriente, Amos Hochstein, mandato dall’Amministrazione Biden in Israele e Libano, ha suggerito di rafforzare le forze regolari libanesi, per metterle in condizione di operare lungo la “linea blu” di demarcazione tra i due paesi. “E’ una situazione temporanea – dice Sarit Ze’evi, dell’Alma Center che si occupa di monitorare il fronte del nord – la soluzione è disarmare Hezbollah e su questo non ci sono proposte”. Hezbollah si gonfia, si arma, ha un filo diretto con Teheran, che lo finanzia dalla sua creazione e non ha mai smesso e gli scambi si stanno intensificando. Anche i rifornimenti di armi partono dall’Iran, attraversano Iraq e Siria ed entrano in Libano attraverso il valico di Masnaa. La strada è militarizzata, al valico ci sono lanciamissili che proteggono il passaggio delle armi.

Chiamare Hezbollah gruppo armato è improprio, ha le capacità di un esercito e lo scontro con Israele sarebbe devastante per lo stato ebraico e per il Libano. Si credeva che fosse la paura della devastazione a trattenere Hezbollah e l’Iran da uno scontro in crescita, Hezbollah è scisso nella parte militare e in quella politica, in realtà le due parti sono complementari, ma la prima era la ragione per cui il leader Hassan Nasrallah dimostrava di voler evitare uno scontro aperto: il Libano è un paese fallito che non sarebbe in grado di sostenere le conseguenze di una guerra. La volontà di Nasrallah però conta poco, chi decide se è arrivato il momento di iniziare una guerra è Teheran.

La frase “siamo sull’orlo di un’escalation” non regge più per Israele, l’orlo si estende, si fa insopportabile e la valutazione di Sarit Ze’evi è che Hezbollah ha già iniziato la sua guerra: ci sono giorni in cui è in grado di lanciare più di duecento razzi in ventiquattro ore; usa i droni per colpire esercitandosi a eludere le difese israeliane; ha costretto più di sessantamila persone a lasciare la parte nord del paese. “Dall’8 ottobre – quando sono iniziati i lanci dal Libano – è cambiata soltanto una cosa: il tempo passa e la situazione peggiora. Non si può pensare di vivere sempre sempre sull’orlo”. Tsahal ha approvato un piano contro Hezbollah, chi racconta la situazione al nord evita di dire “contro il Libano”, tutti hanno molto chiaro contro cosa stanno combattendo, come hanno chiaro che il conflitto rappresenta un contatto diretto con l’Iran. I soldati hanno avuto l’ordine di non lasciare il paese fino ad agosto, l’idea del governo di poter permettere entro il primo settembre il ritorno degli evacuati del nord sta venendo giù e sono i militari a dire che non ha senso fornire una data sapendo già che tutto potrebbe cambiare in peggio. Il quando dello scontro con Hezbollah segue due strade: gli attacchi dal Libano potrebbero fermarsi in seguito a un accordo con Hamas per il ritorno degli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza, ma finora Hamas non sta accettando. La strategia del gruppo è di lasciare che Israele si impantani nella Striscia, mentre Hezbollah tenta di trascinare Israele nella guerra e vuole che sia lo stato ebraico a fare il primo attacco che cambia le regole. L’arrivo di un accordo non dà neppure la certezza che Hezbollah smetta di essere una minaccia, la previsione rimane fosca e la valutazione militare è che ci sarà soltanto una pausa prima del grande conflitto. Nelle pause ci sono le soluzioni, ma il gruppo libanese è ben armato e organizzato, nonostante destabilizzi un paese con gravi difficoltà economiche è ricco e in grado di finanziare una guerra: il 70 per cento dell’aiuto viene da Teheran.

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