L’esercito israeliano, un mese per battere Hamas Analisi di Micol Flammini
Testata: Il Foglio Data: 20 giugno 2024 Pagina: 1/IV Autore: Micol Flammini Titolo: «Da Rafah a Nasrallah»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 20/06/2024, a pag. 1/IV, con il titolo "Da Rafah a Nasrallah" l'analisi di Micol Flammini.
Micol Flammini
L’esercito israeliano ha scoperto venticinque tunnel che dalla Striscia di Gaza arrivano fino al confine con l’Egitto, li ha distrutti, come sta cercando di distruggere tutto il sottosuolo di Rafah, un segmento dell’area alla volta. Tsahal si è dato un mese per ripulire la città che si trova a sud della Striscia dalla presenza di Hamas, che è massiccia e rende complessa ogni manovra dei soldati.
Secondo alcuni analisti militari è tardi per arrivare a Rafah, la città avrebbe dovuto essere un obiettivo sin dall’inizio perché rimane la più facile da rifornire per il gruppo. Mentre Hamas non accetta l’accordo per il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco, a Israele non rimane altra scelta che continuare a combattere, togliere armi, uomini e tunnel al gruppo. Una squadra di giornalisti israeliani è entrata a Rafah, ha visto le macerie e si è resa conto di trovarsi davanti a uno dei territori in cui l’infrastruttura di Hamas era più capillare: “sotto ogni casa”. Nessuno ha detto se dopo Rafah finirà il conflitto a Gaza, ma l’esercito si è dato un tempo, poi sarà pronto a lasciare la zona. Non sarà la fine della minaccia di Hamas, come ha detto il portavoce dell’esercito, Daniel Hagari, “Hamas è un’idea. Chi pensa di avere il potere di farla sparire si sbaglia… fuorvia il pubblico”. E ancora: “Se il governo non trova un’alternativa, Hamas rimarrà” a Gaza. Si può sradicare Hamas come potere militare, non come ideologia, per questo l’esercito si dà i tempi militari che servono per farlo, oltre crede di non poter andare: il resto sarà una faccenda politica e diplomatica.
La Striscia non rappresenta ora una minaccia immediata per la sicurezza israeliana, lo è in potenza se dopo un eventuale accordo sarà consentito ai terroristi di rimanere al potere e di ricostruire una rete in grado di ripetere il 7 ottobre. La minaccia immediata viene dal nord, dai missili che Hezbollah lancia dal Libano ogni giorno. Ieri il capo del gruppo dei miliziani sciiti finanziati dall’Iran, Hassan Nasrallah, è comparso in video – vive in un bunker per paura dei servizi segreti israeliani e quando fa dei discorsi vengono trasmessi su degli schermi davanti a una folla istruita a fare da pubblico e ad acclamarlo come se fosse su un palco davanti ai loro occhi – ha detto che il gruppo non vuole una guerra ma se sarà inevitabile è pronto. Ha minacciato che Hezbollah è in grado di combattere senza regole – già ora non le sta rispettando visto che agisce in una zona del Libano in cui per una risoluzione dell’Onu non dovrebbero trovarsi gruppi armati irregolari – l’assenza di regole sarà accompagnata dall’assenza di limiti e non soltanto verrà preso di mira tutto il territorio israeliano – “non ci sarà posto in Israele che possa sentirsi sicuro”, ha detto – ma anche altri obiettivi nel Mediterraneo, anche Cipro: l’isola potrebbe essere considerata parte della guerra se continuerà a consentire a Israele di utilizzare alcune sue basi per esercitazioni militari. Nasrallah ha detto che Hezbollah continuerà a combattere fino a quando non ci sarà il cessate il fuoco a Gaza, ha addossato la colpa sul premier israeliano Benjamin Netanyahu se l’accordo ancora non c’è, ma il fatto che il capo di Hezbollah leghi alla Striscia il suo conflitto parallelo è una mistificazione: ognuno combatte la sua guerra, tutti contro Israele.
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