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La Stampa Rassegna Stampa
19.06.2024 I rifugiati palestinesi: Gaza è stata distrutta da Hamas
Analisi di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 19 giugno 2024
Pagina: 15
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Gaza è stata distrutta da Hamas, la nostra fine decisa il 7 ottobre»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/06/2024, a pag. 4, con il titolo "Gaza è stata distrutta da Hamas, la nostra fine decisa il 7 ottobre", il commento di Francesca Paci.

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Francesca Paci
Finalmente un articolo che informa!
Speriamo che continuino
Hamas pensa a salvare i suoi miliziani ...
Mentre Hamas pensa a proteggere i propri miliziani nei tunnel che ha costruito sotto scuole, moschee e ospedali con le tasse dei cittadini dell'Occidente, la gente di Gaza accusa Sinwar di averli sacrificati per vincere la guerra e di aver causato la distruzione completa della Striscia

«Gaza era una prigione a cielo aperto, ma era casa mia e Hamas l'ha distrutta, Hamas ha distrutto Gaza». La videochiamata arriva da Khan Yunis, è un momento buono per telefonare. Jamal, che parla camminando tra gli scheletri dei palazzi in bianco e nero, è uno dei molti palestinesi della Striscia che insieme a Israele maledice Hamas, ma è soprattutto uno dei pochissimi disposti a dirlo, specialmente da lì, specialmente mentre l'ultimo devastante bombardamento israeliano sul campo profughi di Nuseirat allunga la lista delle vittime già ben oltre quota 37 mila, specialmente nelle ore in cui l'estrema destra al governo con Bibi Netanyahu liquida qualsiasi connazionale contrario alla guerra come un alleato di Hamas.

«La storia non è cominciata il 7 ottobre, quella di Hamas è da diciotto anni la dittatura di un partito unico che governa con il terrore due milioni di persone. Ho sentito mille volte ripetere che sono stati i palestinesi a votare per Hamas nel 2006, ma è passata una vita, mezza Gaza non era neppure nata allora e, in compenso, è cresciuta sotto il giogo di un regime violento, corrotto e al servizio dell'Iran. Le cose sono, se possibile, anche peggiorate da quando ha preso il potere Yahya Sinwar, uno psicopatico che ha trascorso nelle carceri israeliane vent'anni, molti dei quali in isolamento. La prova è proprio l'attacco del 7 ottobre, Sinwar ha scatenato contro Israele una guerra che sapeva di non poter vincere, ma che avrebbe provocato una reazione furibonda le cui conseguenze sono tutte qui adesso, le stiamo pagando noi, ogni strage di civili di cui Israele viene chiamato a rispondere dalla comunità internazionale è per i leader di Hamas una medaglia, avevano bisogno di decine di migliaia di morti per intitolarsi la resistenza». 

Jamal, un nome di fantasia come tutti quelli di questo racconto a più voci, ha 28 anni, ha studiato legge e Gaza City e nel 2019 ha partecipato alle manifestazioni del movimento bidna n'eesh (in arabo "vogliamo vivere") contro il malgoverno della Striscia, uno dei coraggiosi tentativi di alzare la voce che i palestinesi hanno azzardato in questi anni, a partire dal 2011, salvo essere presto silenziati come traditori.

Mohammad, anche lui raggiunto al telefono, vive a Rafah, in una tenda che, ruotando lo schermo, mostra con dignità tra i gridolini di sottofondo dei suoi tre figli piccoli: «Siamo fuggiti da Gaza City settimane fa e abbiamo aspettato a lungo, dormendo all'aperto, la tenda che in quanto profughi avremmo dovuto ricevere dall'Unicef. Le organizzazioni internazionali fanno quello che possono, ma sin dal 2007 le assunzioni di personale locale passano attraverso gli uffici di Hamas, gli stessi che controllano gli aiuti e li fanno pagare a chi non appartiene alla rete governativa. È così per l'alloggio e per il cibo. Ho raccolto, indebitandomi, 850 shekel per comprare questo riparo, 50 shekel al metro quadrato per un "tetto" che gli affiliati di Hamas hanno ottenuto gratuitamente. Almeno tre quarti dell'apparato operativo di Hamas è qui, a Rafah, si nasconde tra noi». Nella vita precedente al 7 ottobre, Mohammad vendeva frutta al mercato vicino alla spiaggia, adesso passa le giornate con gli occhi al cielo, «condannato a sopravvivere tra le bombe israeliane e la dittatura di Hamas». Il nemico esterno e quello interno, «il cancro che uccide la società palestinese pretendendo di difenderla».

La guerra cancella le sfumature, o di qua o di là: e molti si sentono schiacciati in mezzo, palestinesi che non sono e non vorrebbero essere equiparati ad Hamas. La polarizzazione però, è lo spirito dei tempi. Ieri mattina un gruppo di deputati di "Potere ebraico", il partito della destra radicale israeliana di cui è leader il ministro Itamar Ben Gvir, ha presentato alla Knesset il neonato «comitato per il rinnovo degli insediamenti a Gaza», una lobby che preme per rioccupare la Striscia rimandando le lancette della Storia indietro fino al disimpegno del 2005. 

«Gaza è terra palestinese e deve restare palestinese ma non vogliamo Hamas, la nostra più grande paura in questo momento è che l'offensiva israeliana si fermi quando Hamas non sarà più in grado di colpire Israele, ma sarà ancora sufficientemente in forze da rovinare ulteriormente la vita dei palestinesi» dice Saleem, 27 anni, una delle testimonianze che "The Center for peace communications", un'associazione della diaspora gazawi con base negli Stati Uniti, porterà oggi a Montecitorio per un'audizione al comitato dei diritti umani del Senato e un incontro informale con la commissione esteri. Con loro c'è la voce di Ahmed, 32 anni: «Nessuno che non lavorasse con Hamas immaginava un attacco come quello del 7 ottobre. Ci siamo svegliati all'alba con le immagini sui telefonini che raccontavano un film dell'orrore di cui eravamo protagonisti nostro malgrado, sadici che a nome nostro spaccavano la testa di donne, anziani, bambini. È Hamas che ha diffuso la storia dei civili unitisi ai massacri e agli stupri: è falso, sono stati loro, almeno duemila operativi che hanno colpito e sono tornati a mescolarsi tra di noi, facendosi scudo dei nostri figli e diffondendo attraverso le mille moschee del regime la vittoria della resistenza. Hamas è pagato dall'Iran e ha sovrapposto la guerra degli ayatollah alla causa palestinese».

E poi c'è Khalil, cinquant'anni, è riuscito a fuggire un mese fa con la famiglia attraverso il valico di Rafah, dove, racconta, «gli amici egiziani si fanno pagare il passaggio diverse migliaia di euro a persona». Si sta mettendo in viaggio verso la Germania e non tornerà indietro: «Gaza non c'è più, Israele ha creato le condizioni perché, dopo anni di umiliazioni, la pentola a pressione esplodesse ma Hamas non aspettava altro, ha sequestrato la nostra storia come ha sequestrato gli israeliani il 7 ottobre». Casa sua era e non è più a Deir al Balah, nel centro della Striscia, a pochi chilometri da Nuseirat, dove l'esercito israeliano ha liberato Noa Argamani, 25 anni come suo figlio. 

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