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Shalom Rassegna Stampa
17.06.2024 Una seconda fase della guerra al nord?
Analisi di Ugo Volli

Testata: Shalom
Data: 17 giugno 2024
Pagina: 1
Autore: Ugo Volli
Titolo: «Una seconda fase della guerra al nord?»

Riprendiamo da SHALOM online l'analisi di Ugo Volli dal titolo "Una seconda fase della guerra al nord?"

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Ugo Volli
215 rockets fired at north after IDF ...
Il nord di Israele brucia. In un giorno solo, il 13 giugno scorso, Hezbollah ha lanciato 215 tra razzi, obici, rpg e droni sullo Stato di Israele, in barba alla risoluzione Onu 1701 che prevede il ritiro del gruppo terroristico al di là del fiume Litani, provvedimento entrato in vigore al termine della seconda guerra del Libano (2006). La guerra sul fronte nord potrebbe esplodere da un momento all'altro mentre Israele cerca di terminare la propria operazione a Rafah

Le false descrizioni della stampa
Anche i media meno sbilanciati contro Israele presentano la situazione del Medio Oriente in questa maniera del tutto insostenibile: c’è stato il 7 ottobre, opera però solo di “estremisti” di Hamas, “esasperati dall’occupazione”; l’esercito israeliano ha reagito “troppo”, producendo delle stragi se non proprio un “genocidio” contro l’“innocente” popolo palestinese; ora si tratta di costringerlo a smettere le operazioni, accettando le condizioni di Hamas, che vuole il cessate il fuoco. Quel che accade intorno, in Libano e nel Mar Rosso, sono solo manifestazioni accessorie di solidarietà, da parte di altri “estremisti”, che non vanno “sopravvalutate”. L’Iran “non vuole la guerra”, dunque è “pacifico”, ma reagisce alle “provocazioni” e insomma bisogna venire a patti con lui anche sul nucleare. Gli stati arabi vogliono uno stato palestinese indipendente e se Israele lo riconoscesse, la pace sarebbe a portata di mano.

La situazione reale
In realtà le cose non stanno affatto così. Il 7 ottobre è stato l’inizio di una guerra pianificata dall’Iran, che controlla i terroristi tanto di Hamas che del Libano, della Siria e dello Yemen. Lo scopo della guerra è la distruzione di Israele a tappe, per mezzo del logoramento militare successivo, dell’isolamento internazionale, del blocco economico, della creazione di tensioni politiche devastanti al suo interno. Su questa “lotta di lunga durata” e sui suoi obiettivi è d’accordo la grande maggioranza della popolazione araba di Gaza, Giudea e Samaria, che se può vi collabora volentieri. Lo stato palestinese sarebbe non una condizione di pace, ma lo strumento decisivo di questa strategia iraniana. Perciò in realtà gli stati arabi non fanno nulla per averlo, a parte un po’ di necessaria propaganda. La regia internazionale della guerra ha sfruttato la condizione di scudi umani che Hamas ha assegnato alla popolazione di Gaza, mettendosi in una condizione comunque vincente: poter colpire impunemente le forze israeliane, se queste non reagivano per la presenza di civili, oppure di attribuire loro con una forsennata campagna di diffamazione la responsabilità enormemente esagerata delle perdite, se reagivano. La politica americana, volendo impedire la distruzione dello stato ebraico ma anche il suo rafforzamento, ha puntato a impedire una vittoria rapida di Israele, ponendo continuamente ostacoli alla sua azione, ma poi ha sfruttato il conseguente prolungamento delle ostilità come pretesto per cercare di imporre a Israele la fine dell’azione militare senza la distruzione di Hamas, che significa concedere all’Iran una vittoria decisiva in questa fase e favorire la sua strategia di continuazione della guerra.

Verso la conclusione positiva dell’operazione a Gaza
Ora la fase in cui la guerra si svolgeva principalmente a Gaza si avvia alla conclusione. Il confine con l’Egitto è controllato da Israele, come pure il 40% di Rafah (senza che ciò abbia prodotta la catastrofe umanitaria mille volte minacciata dalla “comunità internazionale”). I capi di Hamas non sono però stati eliminati: c’è chi dice che sono fuggiti attraverso i tunnel e ora sono nascosti chissà dove all’estero, con alcuni rapiti come garanzia. Altri ostaggi sono forse custoditi in case private come gli ultimi salvati, o reclusi nei tunnel; certamente molti fra loro sono stati uccisi dai loro sequestratori. Secondo le ciniche dichiarazioni di un capo di Hamas a Beirut, nessuno può sapere quanti siano rimasti in vita. Si può sperare di liberarne alcuni, bisogna continuare a smantellare le installazioni militari di Hamas e a eliminare i terroristi che si trovano. Sarà un lavoro molto lungo, ma il fronte principale della guerra ormai si è trasferito al confine col Libano.

La seconda fase: Hezbollah
Anche qui Hezbollah è in guerra con Israele da otto mesi, ma ha modulato con molta abilità il proprio intervento. All’inizio si trattava di pochi colpi d’armi da fuoco personali, poi è passato ai razzi anticarro (RPG) sparati anche su case e macchine, infine sono stati usati anche droni e missili veri e propri, su obiettivi civili e militari. Finora Hezbollah ha rivendicato più di 2000 attacchi (circa dieci al giorno) sparando almeno un terzo dei 20 mila missili diretti durante la guerra al territorio israeliano (cento al giorno in media). Il movimento terrorista dispone di fortificazioni sotterranee probabilmente ancor più vaste e solide di quelle di Hamas, anche perché agisce in territorio montagnoso, dove si è insediato stabilmente quando Ehud Barak nel 2000 abbandonò senza preavviso l’esercito del Libano del Sud che proteggeva la fascia di confine: una decisione altrettanto demagogica e sbagliata quanto lo sgombero dei villaggi ebraici di Gaza deciso da Sharon cinque anni dopo. Le sue truppe sono bene addestrate ed armate, allenate e selezionate nella guerra civile siriana. Si ritiene inoltre che Hezbollah detenga alcune centinaia di migliaia di razzi e missili di vario tipo forniti dall’Iran, compreso un buon numero di proiettili guidati da sistemi elettronici, in grado di colpire obiettivi delicati con grande precisione. Israele ha finora colpito in profondità caserme, depositi di armi, fortificazioni e soprattutto capi militari anche lontano dal confine, ben a nord di Beirut, ma il vantaggio strategico di questa fase della guerra resta a Hezbollah, che è riuscito a costringere Israele a evacuare le città e i villaggi più settentrionali e ha più volte minacciato o colpito obiettivi militari e città come Zfat e Haifa. Se un missile colpisse la zona portuale di questa città, dov’è ospitata fra l’altro la base principale della marina militare, potrebbe provocare una catastrofe ecologica incendiando i grandi depositi dell’industria chimica che vi hanno sede.

La prospettiva
La scelta se lasciare l’offensiva ai terroristi, rispondendo con rappresaglie mirate soprattutto ai comandanti e alle installazioni militari, oppure prendere l’iniziativa con bombardamenti più vasti seguiti da un’operazione terrestre è dunque molto difficile, anche perché al solito la “comunità internazionale” (essenzialmente Usa e Francia, antica potenza coloniale del Libano) cerca di frenare l’azione di Israele. Ma, per scelta di Hezbollah (o più probabilmente dell’Iran), il fronte settentrionale è diventato sempre più attivo e pericoloso. Non bisognerà meravigliarsi, dunque, se nei prossimi giorni vi si svilupperà una guerra di grandi dimensioni. Beninteso, sarebbe facilissimo evitarla: basterebbe che Hezbollah smettesse di sparare sul territorio israeliano e di minacciarlo, ritirandosi a nord del fiume Litani, come previsto dalla risoluzione dell’Onu che pose fine alla guerra del Libano nel 2006. Ma I terroristi non intendono farlo, perché il loro obiettivo non è l’indipendenza del Libano, che nessuno discute, ma la distruzione di Israele.

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