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Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 13/06/2024, a pag. 1/I, con il titolo "Israele elimina un capo di Hezbollah, che spara 200 razzi. Le richieste “irrealizzabili” di Hamas" l'analisi di Micol Flammini.
Taleb Abdullah è stato ucciso “lungo la strada per Gerusalemme”: questa è la dicitura che utilizza il gruppo libanese Hezbollah per dire che qualcuno è stato eliminato durante un attacco israeliano. Taleb Abdullah era uno dei comandanti delle unità di Hezbollah, si trovava a Jouaiyya, nel Libano meridionale a quindici chilometri dal confine con Israele, per una riunione con altri uomini del gruppo, quando l’attacco Israeliano ha eliminato tutti e quattro. Taleb Abdullah, conosciuto anche con il nome Abu Taleb, era l’uomo che coordinava molti dei lanci di missili, razzi, droni contro il territorio israeliano, agiva nella parte centrale della regione che si trova a sud del fiume Leonte, dove Hezbollah, secondo la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, non dovrebbe operare. E’ raro che il gruppo libanese usi il termine “comandante” per annunciare la morte dei suoi miliziani, ma non avrebbe potuto riferirsi in modo diverso parlando di un uomo vicino al capo, Hassan Nasrallah, uno dei pochi ad avere accesso al bunker in cui si nasconde per paura dei servizi segreti israeliani dal 2006. Taleb Abdullah gestiva anche i contatti stretti e assidui con l’Iran che del gruppo è il finanziatore e il creatore. Il comandante ucciso era talmente importante per Hezbollah che la risposta contro Israele è stata massiccia: più di duecento razzi hanno raggiunto lo stato ebraico, molti anche oltre il confine della Galilea. L’aumento degli attacchi ha messo Israele in un’allerta ancora maggiore, è vero che finora Nasrallah ha mostrato di non voler estendere una guerra all’intero territorio del Libano, perché non vuole unirsi a un conflitto che porta il marchio di Hamas e non vuole che la popolazione libanese, già allo stremo, imputi a Hezbollah la devastazione che comporterebbe uno scontro aperto con Israele. Ma esiste sempre un margine di imprevedibilità, un calcolo diverso che porta diversi ambienti israeliani a dire: “Pensavamo di essere a un passo da un accordo con Hamas e invece ci siamo ritrovati quasi una guerra con Hezbollah”. Ieri Hamas ha mandato tramite i mediatori di Egitto e Qatar la sua risposta formale alla proposta israeliana per ottenere il rilascio degli ostaggi in cambio di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, e gli emendamenti presentati dal gruppo hanno deluso i mediatori, che di fronte a un’offerta talmente aperturista da parte di Israele si sarebbero aspettati una risposta affermativa da Gaza. E invece Hamas vuole ancora trattare. Il segretario di stato americano Antony Blinken ieri era a Doha – la risposta di Hamas è arrivata proprio dal Qatar – e in conferenza stampa con il premier qatarino ha detto che il gruppo della Striscia “ha proposto numerosi cambiamenti, alcuni sono realizzabili, altri sono irrealizzabili”. E ha aggiunto: “La proposta che era sul tavolo era virtualmente uguale a quella fatta da Hamas il 6 maggio, è un accordo che il mondo sostiene, che Israele ha accettato. Hamas avrebbe potuto rispondere con una sola parola, ‘sì’, invece ha aspettato due settimane, ha proposto nuovi cambiamenti, alcuni contraddicono quanto aveva già concordato in precedenza”, è un passo indietro. Blinken non è dalla parte dei falchi, cerca la mediazione, i suoi viaggi in medio oriente sono continui, ma non ha potuto fare a meno di notare il più ovvio dei punti: lo sforzo negoziale andrà avanti, ma intanto anche la guerra va avanti, ed è Hamas che la vuole. Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@ilfoglio.it |
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