L'obiettivo di Teheran è distruggere Israele anche finanziando il terrorismo palestinese
Testata: Il Foglio Data: 07 agosto 2003 Pagina: 3 Autore: Carlo Panella Titolo: «Hamas iraniana»
Riportiamo l'articolo di Carlo Panella pubblicato su Il Foglio giovedì 7 agosto 2003. Come sempre bene informato e corretto. Gli ayatollah mettono in forse la hudna: la tregua firmata tra i gruppi armati palestinesi e l’Autorità nazionale è stata infatti infranta da diversi episodi di violenza. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz (la fonte sono i servizi segreti) la maggior parte degli attacchi sarebbero stati firmati dalle brigate al Aqsa, braccio armato di al Fatah, grazie a finanziamenti provenienti dall’Iran. George W. Bush è intervenuto ripetendo il monito: "L’obiettivo di Teheran è distruggere Israele. L’Europa deve riconoscere che è una minaccia alla pace". Ma l’Europa – fatta salva l’Italia – fa orecchie da mercante e con inusuale spinta unitaria, dal britannico Jack Straw, al francese Dominique de Villepin al tedesco Joschka Fischer, accredita tutt’altra immagine dell’Iran, quasi fosse garanzia di stabilità nelle regione, come disse Lamberto Dini. Nessuna cancelleria – in un inedito afflato unitario tra vecchia e nuova Europa – pare volersi rendere conto della verità enunciata da Bush. Questo, mentre oggi la volontà iraniana di "distruggere Israele" è sempre proclamata ad alta voce, unifica integralisti e riformisti, tanto che è difficile capire se i terroristi di Hamas sono finanziati più dagli uomini di Khamenei o da quelli di Khatami. Tutto alla luce del sole, con navi cariche di esplosivo iraniano dirette ai terroristi di Arafat. La difesa dell’esistenza di Israele, in Europa, non è discriminante politica essenziale; la sua soppravvivenza non è interesse strategico, se non in alcune sue componenti minoritarie (come quella rappresentata da Silvio Berlusconi). Il percorso che ha portato integralisti e riformisti iraniani ad appoggiare i terroristi palestinesi è lineare: appena vinta la rivoluzione, il 28 febbraio 1979, Khomeini riceve Yasser Arafat e "regala" all’Olp l’edificio della rappresentanza diplomatica di Israele a Teheran. L’ayatollah tronca subito i rifornimenti di petrolio iraniano che per 30 anni sono stati fonte di approvigionamento per Israele. Arafat, però, come già nel settembre nero giordano e poi in Libano, usa dell’ospitalità ricevuta per tentare un colpo di mano, con la tattica del cuculo: nel 1980 tutti i tecnici petroliferi legati ad al Fatah nel Sud dell’Iran, nel Kuzestan arabofono, funzionano da "quinta colonna" per l’invasione tentata da Saddam Hussein. Questo tentativo di "rivolta araba", fomentato da Arafat, fallisce, ma si cronicizza una guerra maledetta. Il secondo tempo dell’avventura palestinese nel Golfo si ha con l’appoggio esplicito di Arafat all’annessione irachena del Kuwait, nell’agosto del 1990. Khomeini, nel frattempo, è diventato il più netto concorrente sul terreno su cui il leader dell’Olp è più fragile: la proposta politica. Al guazzabuglio di nazionalsocialismo filohitleriano panarabo, ribatezzato dall’antimperialismo benedetto da Mosca, Khomeini contrappone la solida prospettiva dell’unica rivoluzione popolare islamica vincente e una sua "Internazionale sciita". Hezbollah, partito di Dio, è il nome del nuovo Comintern per esportare la rivoluzione iraniana, a iniziare dal Libano, per poi espandersi in Palestina, sotto la responsabilità di Hussein Mussawi, oggi di Hussein Fadlallah. E’ una strategia di radicamento politico (gli "iraniani" scindono il movimento sciita libanese del moderato Nabih Berri e oggi contano 12 parlamentari a Beirut), di contrasto sul terreno all’Olp (Arafat finisce sotto assedio di Hezbollah a Tiro) e di iniziativa terroristica che culmina con l’espulsione da Beirut dei contingenti americano e francese a seguito dei due attentati suicidi del 24 ottobre 1983 che sterminano 225 marines e 180 parà.
Un’antica strategia di Teheran Nonostante l’assoluta esiguità della componente sciita, il trionfo politico dell’infiltrazione iraniana in Palestina avanza: Hamas, frazione dei Fratelli musulmani, assume connotazioni ideologiche sempre più iraniane, tanto che adotta la strategia del martirio-assassino che esordisce il 6 aprile del 1994, quando un’autobomba si lancia contro un autobus ad Afula, in Israele: nove i morti. E’ il vero inizio della seconda Intifada, un attentato contro gli accordi di pace Rabin-Arafat, che ribadisce la strategia, non della "pace contro territori", ma della distruzione di Israele". Da allora in poi, su questa strada, è impossibile distinguere ruoli tra "riformisti" e "integralisti" iraniani. Il 25 agosto 2001, il presidente "riformista" Khatami vuole che il primo atto del suo nuovo governo sia il finanziamento di un milione e 250 mila dollari per l’Intifada delle bombe umane, con esplicito appoggio a Hezbollah e Hamas; pochi giorni prima, l’ayatollah Khamenei conclude una conferenza di appoggio all’Intifada negando che nella Shoah siano morti sei milioni di ebrei e sostenendo che "tra sionisti e nazisti vi erano strette relazioni". Poche settimane fa il ministro degli Esteri "riformista" Kharrazi nega ogni prospettiva alla road map e Hezbollah, di conseguenza, tace sulla tregua di tre mesi che la stessa Hamas ha accettato. Un defilarsi inquietante che ribadisce la strategia "riformista" di sempre enunciata da Fadlallah: "Distruggere lo Stato di Israele e costruire dal Giordano al mare uno Stato islamico, unica garanzia per la convivenza pacifica di islamici, cristiani ed ebrei". Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.