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La Repubblica Rassegna Stampa
22.05.2024 Fino all’ultimo ostaggio
Commento di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Repubblica
Data: 22 maggio 2024
Pagina: 34
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Fino all’ultimo ostaggio»

Riprendiamo, da LA REPUBBLICA di oggi, 22/05/2024, a pag. 34, l'articolo di Bernard-Henri Lévy dal titolo "Fino all’ultimo ostaggio".

Bernard-Henri Lévy
Israele-Hamas, fino all'ultimo ostaggio - la Repubblica
Ormai in Occidente ci stiamo dimenticando che, a Gaza, nei tunnel, ci sono 125 ostaggi, tenuti in condizioni inimmaginabili. L'esercito israeliano è anche lì per questo, riportarli a casa

Amici miei, sorelle e fratelli sconosciuti con cui condivido questo nome vertiginoso, così pesante e così grande da portare, che è il nome di Israele. Abbiamo reso onore, nel giorno di Yom HaZikaron, a tutti i soldati caduti, e che cadono ancora tutti i giorni, perché viva il sogno straziato di questa terra da tempo promessa e ridiventata, il tempo della vita di un uomo, una casa per gli ebrei. Ma abbiamo reso omaggio anche a coloro che non sono caduti, che sono ostaggi nei tunnel di Gaza, ma che, nella guerra di tagliagole scelta da un esercito di codardi incapaci di vincere in un combattimento leale, sono anche loro eroi di Israele. In ogni epoca, dai tempi del faraone, di Nabucodonosor, dei re di Persia, degli imperatori di Roma e perfino dei re di Francia, ci sono sempre stati ostaggi ebrei. E in ogni epoca, con la forza di una montagna che cresce o di un mare che passa, abbiamo lottato per loro, per ciascuno di loro, uno a uno, e abbiamo rispettato ilpidyon shvuyim, il dovere di liberare i prigionieri; non rispettarlo, dicono i Savi, viola «sette comandamenti della Torah». Gli imperi conoscono soltanto i grandi numeri. Ma noi ebrei sappiamo che l’unico grande numero, l’unico vero numero, il solo che conti, è l’Uno nell’uomo, l’Uno dell’uomo e l’Uno di ogni vita salvata, che vale, diceva Maimonide, tutti glishabbat del mondo. È questa sapienza ebraica che ci riunisce e continuerà a riunirvi, penso, fino all’ultimo ostaggio tornato vivo (tremo nel pronunciare questa parola…), perché sappiamo che da quella vita, dal ritorno di vostra figlia e di vostro figlio, di vostra madre o di vostro padre, di vostro nonno, del vostro bambino, di colei che vi ama, di colui che vi ama, dipendono l’anima, la vittoria e la sopravvivenza di Israele. La sopravvivenza è la forma più umile della vita, quella che ci mantiene appena al di sopra della fame, della disperazione o della morte. Ma quando è quella di un ostaggio che resiste, indomabile, a umiliazioni e torture arcaiche, è la forma di vita più alta, quella che si libra su di noi come un segreto ancora più grande di quello dell’infelicità. Ogni sabato siete lì, popolo di Tel Aviv, per rendere onore a questa sopravvivenza. Ogni sabato è un giorno di fratellanza dove quelli che non aspettano più restano accanto a quelli che sperano ancora, e come loro trattengono il fiato. E ogni sabato vi ritrovate, popolo di Tel Aviv e di Israele, riuniti per un ostaggio, e un altro, e un altro ancora, come se fossero un uomo solo e in quell’uomo risiedesse l’essenza più preziosa di Israele. Sapete che vengo da un mondo dove Amalek si risveglia e adatta il suo volto, il suo aspetto, il suo braccio a quella che un tempo chiamavamo l’evoluzione del mondo. Non ignorate che in Francia, per esempio, masse di uomini e di donne fingono, per la prima volta, di piangere i morti di una guerra per la sola ragione che la guerra in questione è portata avanti dal valoroso esercito di Israele. E vedete e sentite come, tentando di proibire questa guerra a Israele, negandogli dunque il diritto di difendersi e rivoltando l’epiteto nazista, come un guanto di infamia, sul nome di un popolo che lotta non per espandersi ma per sopravvivere, questi criminali, con il supporto di deboli di spirito e di ignoranti, si lavano del sangue ebreo che hanno fatto scorrere nel corso dei secoli. Ebbene, in questo territorio sconosciuto dove entriamo e dove, da Oriente a Occidente, da Sud a Nord, dai campus americani a Malmö passando per le università europee, l’odio si diffonde come un tumore, io credo che la scelta della vita a ogni costo, da parte del piccolo popolo a cui apparteniamo, sarà la più eclatante delle lezioni di umanità e, lo ripeto, delle vittorie. Tante cose, naturalmente, ci separano, tra religiosi e laici, tra antichi e moderni, tra talmudisti e miscredenti! La scienza ebraica della controversia e della disputa è così bruciante che perfino in questo posto ci sono accampamenti e striscioni contraddittori! Ma questa unione sacra, questo patto stretto quella sera, e tutte le altre sere, perché i deportati del 7 ottobre non siano dimenticati, questo tra-noi che, per parlare come Emmanuel Lévinas, ha tante volte «ribaltato» la «maledizione» in «esultanza», fanno di noi un popolo invincibile e un esempio per il mondo. Io, francese, europeo, sono onorato di essermi trovato tra di voi. È come una catena d’oro, invisibile e sacra, che mi lega a ciascuno di voi e ai vostri cari. Io ammiro la vostra dignità. Mi inchino davanti al vostro coraggio. E prometto che non avrò tregua finché non sarà rientrato l’ultimo dei vostri eroi-ostaggi.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

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