Milano, conferenza internazionale sull’antisemitismo Intervista di Zita Dazzi a Mina Abdelmalak
Testata: La Repubblica Data: 21 maggio 2024 Pagina: 30 Autore: Zita Dazzi Titolo: «Così spieghiamo al mondo arabo cos’è la Shoah»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 21/05/2024, a pag. 30, con il titolo "Così spieghiamo al mondo arabo cos’è la Shoah" la cronaca di Zita Dazzi.
Viaggia fra il Medio Oriente e gli Stati Uniti, il direttore dello United States Holocaust Memorial Museum, Mina Abdelmalak, che è anche il responsabile del programma di sensibilizzazione del pubblico arabo, arrivato ieri in Italia per intervenire al Memoriale della Shoah di Milano alla nona Conferenza internazionale sull’antisemitismo, con riferimento all’emergenza scattata dopo il 7 ottobre. In particolare, Abdelmalak si occupa di progetti sulla Memoria dello sterminio nazista che coinvolgono un grande pubblico nei Paesi arabi.
Può raccontarci come viene accolto il vostro lavoro?
«C’è interesse e noi, fin dalla fondazione della nostra istituzione, crediamoche la storia dell’Olocausto sia rilevante per tutti. I principali eventi dell’Olocausto sono accaduti in Europa per mano degli europei. Tuttavia, anche il Nord Africa e alcuni paesi del Medio Oriente hanno avuto parte in questa storia: la Germania nazista occupò la Tunisia, campi di lavoro forzato furono istituiti in tutto il Nord Africa dalla Francia di Vichy e da altri collaboratori dei nazisti, le comunità ebraiche locali in Tunisia, Libia e Iraq furono sistematicamente prese di mira dai collaboratori nazisti e alcuni arabi rischiarono la vita per salvare anche gli ebrei».
Da quando avete cominciato a parlare di questi temi in quell’area del mondo?
«Da oltre10 anni lavoriamo nel mondo arabo, con diversi partner locali che appartengono principalmente alla società civile e al mondo accademico, enti che vedono l’importanza di questa storia nel loro lavoro. Alcuni dei nostri collaboratori stanno lavorando per preservare l’eredità ebraica dei loro paesi, come in Marocco o Tunisia; mentre negli Emirati Arabi Uniti e in Egitto sono invece interessati a come la Seconda guerra mondiale e l’Olocausto hanno plasmato il diritto e le relazioni internazionali».
Chi sono le persone nel mondo arabo oggi interessate a saperne di più su ciò che è accaduto durante la Shoah?
«Ci rivolgiamo a giovani e adulti: un pubblico frai 18 e i 40 anni. La Seconda guerra mondiale non è un argomento molto noto in quell’area, quindi generalmente troviamo ascolto e una buona accoglienza».
Che cosa interessa in particolare della Shoah?
«Alcuni sono interessati all’Olocausto come esempio di estremismo politico, disumanizzazione e ideologia razzista, ma anche viene studiato il modo in cui l’Olocausto e la Seconda guerra mondiale hanno plasmato il sistema internazionale».
In Occidente si lavora molto nelle scuole sulla Memoria. Anche nei Paesi arabi gli insegnanti sono coinvolti?
«In generale, l’Olocausto è assente nei libri di testo scolastici del mondo arabo. C’è più ignoranza su questo evento che su qualsiasi altra cosa. Vale anche la pena ricordare che l’Olocausto viene talvolta menzionato nei media arabi dagli islamisti per glorificare l’uccisione degli ebrei o da diversi partiti politici nel mondo arabo per paragonarlo alle azioni di Israele. Quindi, nonostante non sia menzionato nel curriculum scolastico, è un argomento fortemente politicizzato in relazione al conflitto israelo-palestinese. Purtroppo, i nostri collaboratori incontrano molti ostacoli per insegnare nelle scuole in modo accurato la storia dell’Olocausto».
Come viene ricordato il Giorno della Memoria nei Paesi arabi?
«Abbiamoorganizzato diversi eventi. Nel 2022, in collaborazione col ministero della Cultura degli Emirati Arabi Uniti e l’Accademia diplomatica Anwar Gargash è stata promossa la prima commemorazione ufficiale nei paesi del Golfo. Nello stesso anno, abbiamo collaborato con l’Ambasciata degli Stati Uniti al Cairo per farlo in Egitto. Nel 2023, abbiamo fatto in modo che una sopravvissuta all’Olocausto condividesse la sua storia per la prima volta negli Emirati Arabi Uniti, collaborando con il ministero della Cultura e un’importante università di Abu Dhabi. In Egitto abbiamo organizzato altri due eventi, uno con l’ambasciata tedesca al Cairo, l’altro in una delle sinagoghe più antiche della città».
Dopo il 7 ottobre, il vostro lavoro è cambiato? I cittadini del mondo arabo sono ancora interessati a questo tema?
«Purtroppo, stiamo assistendo a un aumento senza precedenti di paragoni e abusi dell’Olocausto. I nostri collaboratori in alcuni paesi sono stati aggrediti pubblicamente. Ma noi continuiamo a sostenerli e a sostenere i loro sforzi».
Cosa possono insegnare oggi, la storia e la narrativa dell’Olocausto nel mondo arabo?
«Stiamo assistendo alla crescita di ideologie estremistiche e di governi populisti in Medio Oriente, come in Occidente. La storia dell’Olocausto serve da monito sulle potenziali conseguenze della disumanizzazione. Le minoranze religiose ed etniche nella regione sono spesso gli obiettivi principali di queste ideologie estremistiche».
Lei è anche un esperto di non violenza, un tema che di fronte ai gravi conflitti di questi anni sembra condannato a restare residuale.
«Una comprensione accurata della storia dell’Olocausto è invece essenziale per affrontare alcune delle sfide che minacciano il nostro mondo oggi. Il ricordo dell’Olocausto funge da monito contro l’odio rivolto ai gruppi e l’intensificarsi dell’antisemitismo. La memoria collettiva di quegli eventi ha svolto un ruolo chiave nel guidare la creazione di istituzioni globali, transatlantiche ed europee progettate per proteggere la pace, la sicurezza e la dignità umana. Il significato duraturo di questa storia rende vitale per il presente e il futuro l’impegno alla memoria e all’educazione».
È preoccupato per la crescita dell’antisemitismo nel contesto internazionale e negli ambienti universitari?
«Sono molto preoccupato. La colpevolizzazione collettiva degli ebrei l’avevo vista solo in Medio Oriente e non avrei mai pensato di vederla esplodere anche in Occidente, in questa modalità e virulenza. Le persone hanno il diritto di protestare contro le azioni di Israele, ma non di incentrare i propri attacchi su tutte le persone di religione ebraica. Gli studenti ebrei non dovrebbero aver paura di andare a scuola. Le università e le istituzioni accademiche dovrebbero essere spazi sicuri per lo scambio di pensieri e conoscenze. Ma purtroppo questo è sempre meno possibile».
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