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La Stampa Rassegna Stampa
30.07.2003 Il muro come barriera di difesa
Bush è d'accordo

Testata: La Stampa
Data: 30 luglio 2003
Pagina: 8
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Il ''muro'' non divide più Israele e la Casa Bianca»
Riportiamo l'articolo di Maurizio Molinari pubblicato su La Stampa mercoledì 30 luglio 2003. Un buon esempio di correttezza nell'informazione.
«Continueremo a costruire la barriera al fine di garantire la nostra sicurezza». Nel colloquio avuto ieri con il presidente americano George Bush alla Casa Bianca, il premier israeliano Ariel Sharon ha respinto la richiesta dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) di abbattere la costruzione di cemento già edificata lungo i primi 150 chilometri in Cisgiordania.
Ricevendo la scorsa settimana il premier dell'Anp Abu Mazen, Bush aveva definito il muro «un problema», lasciando intendere di sostenere la richiesta di sospenderne la costruzione e abbatterne le parti già realizzate, che in alcune zone isolano aree completamente palestinesi. «Si allunga come un serpente dentro la Cisgiordania» disse il presidente Usa accogliendo Abu Mazen cinque giorni fa. Ma ieri, dopo il lungo colloquio con Sharon, Bush ha usato ben altri toni, limitandosi ad augurarsi che «nel lungo periodo la barriera diventi irrilevante» a seguito della sconfitta del terrorismo «che minaccia tanto lo Stato di Israele quanto i palestinesi che amano la pace».
Il premier di Gerusalemme ha difeso il progetto con estrema decisione, leggendo un lungo testo scritto: «Siamo stati obbligati a costruire la barriera per difendere le nostre città, è un elemento che rafforza la sicurezza e la sicurezza renderà possibile la pace, continueremo a realizzarla limitando al massimo i disagi per i palestinesi». «Capisco che la barriera è una questione delicata - ha risposto Bush senza ripetere il termine «muro» come aveva fatto con Abu Mazen - e chiedo ad Ariel Sharon di considerare con cura le conseguenze delle azioni che vengono intraprese».
Dietro l'approccio soppesato di Bush c'è - secondo molteplici fonti diplomatiche a Washington - il suo debutto nella fase più delicata della mediazione, quella dei dettagli. Dopo essere riuscito a emarginare Yasser Arafat, a far accettare a entrambe le parti la «Road Map», a far ripartire il dialogo fra Israele e Anp con il summit di Aqaba e a ottenere la sospensione per tre mesi dell'Intifada armata, l'inquilino della Casa Bianca è ora alle prese con la gestione dell'agenda dei disaccordi.
E' il passaggio che fu fatale al predecessore Bill Clinton nell'estate del 2000. Il momento nel quale la credibilità del presidente è in gioco e basta un passo falso per annullare ogni progresso compiuto. La barriera di cemento edificata da Israele per proteggersi da attacchi di cecchini e infiltrazioni di terroristi è il primo elemento concreto sul quale Bush è chiamato a misurare la sua affidabilità di onesto negoziatore: l'argomento è arroventato perché, mentre Sharon pone la questione della sicurezza, l'Anp teme che Israele stia in realtà tentando di disegnare una nuova mappa della Cisgiordania, con i confini del nasciuro Stato, al fine di annettersi le aree dove si trovano i maggiori insediamenti ebraici.
Il tentativo di Bush è di affrontare l'ostacolo avvicinando le parti: da un lato sposa la richiesta palestinese di abbatterlo, dall'altro precisa che ciò potrà avvenire quando non ci saranno più pericoli per Israele. «Il probema fondamentale sulla via della pace è il terrorismo - ha sottolineato a più riprese il presidente Usa - e l'Anp deve intraprendere operazioni efficaci, mirate e ripetute per smantellare l'infrastruttura terroristica». Mediare tuttavia non è cosa facile e in serata sul tavolo di Bush è arrivata la polemica reazione di Ramallah: «Il discoso di Sharon è stato molto negativo, ma continuiamo a sperare nel processo di pace». A dare il polso delle differenze serve anche la terminologia: la costruzione in cemento armato viene definita una «barriera di difesa» da Sharon e «il muro della segregazione» dai palestinesi.
Sharon preme affinché Abu Mazen inizi a disarmare le cellule di Hamas, Jihad islamica e Brigate Al-Aqsa di Al Fatah responsabili di attacchi kamikaze: «Siamo in una fase di relativa quiete, ma il terrore non è completamente cessato. Siamo grati per ogni ora di quiete guadagnata e ogni goccia di sangue risparmiato, ma temiamo che tutto ciò finisca in un minuto a causa della persistente esistenza di organizzazioni che l'Anp non fa nulla per eliminare». Confermando l'impegno alla soluzione dei due Stati fianco a fianco, Sharon ha ribadito a Bush l'impegno preso a smantellare gli «avamposti illegali» in Cisgiordania e Gaza, dicendosi pronto «a muoversi sulla via della pace solo dopo la completa fine delle violenze».
Durante il loro nono incontro i due leader hanno discusso anche del dopoguerra in Iraq. Sharon ha avuto parole di ringraziamento per il rovesciamento di Saddam Hussein. «Per tre decenni il mondo ha assistito alle azioni brutali e alle aggressioni di un dittatore spietato, solo lei si è dimostrato capace della leadership necessaria per porvi fine», ha detto il premier israeliano, definendo «saggio andare contro i tiranni» e plaudendo ai recenti moniti inviati dalla Casa Bianca alla volta di Siria ed Iran. L'intesa sulla guerra al terrorismo è l'architrave del rapporto personale fra i due leader, al quale ieri il presidente americano ha aggiunto un ulteriore tassello: «Sono personalmente impegnato a garantire la sicurezza del popolo ebraico, è un sostegno che nulla può far venir meno».
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