Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - un articolo di un anonimo ex alto funzionario del Mossad e dell’intelligence militare in pensione dal 2019 del 27/04/22, dal titolo "Israele avvertiva il Cairo del contrabbando di armi a Gaza. Invano".
I tunnel partivano da Rafah (Gaza) per passare sotto il confine gestito dagli israeliani e arrivare in Egitto, dove non c'erano controlli adeguati.
La guerra del 7 ottobre non è solo un evento tra Israele e Hamas, o tra Israele e gli agenti dell’Iran. La guerra sta sconvolgendo e cambiando il volto del Medio Oriente e accende i riflettori su luoghi di cui finora non ci siamo occupati granché.
Per anni abbiamo ignorato la debolezza del governo egiziano, la corruzione dell’élite militare di quel paese e il rifiuto di vedere come ciò consentisse il riarmo di Hamas. Se vogliamo affrontare il problema Gaza, dobbiamo parlare del problema Egitto.
Nei miei decenni di servizio nel Mossad e nell’intelligence militare sono stato al Cairo centinaia di volte per riunioni presso la sede del loro Servizio di Intelligence Generale. L’Egitto è un paese povero e a pezzi, governato da una ricca élite militare i cui membri sono abili nel consultarsi in segreto coi loro ospiti in arrivo dall’Occidente e, occasionalmente, offrire loro intelligence e capacità straordinarie. Sono sempre stati dei padroni di casa molto generosi. È così che conquistano la fiducia degli occidentali. Ma sotto la superficie, sotto i completi da funzionari dell’intelligence, c’è un problema.
Li abbiamo messi in guardia decine di volte sull’introduzione di armi nella striscia di Gaza e sul fatto che questo, alla fine, avrebbe portato a una guerra che avrebbe colpito Israele e messo in pericolo anche l’Egitto. Di fatto, dall’inizio di questa guerra sono stati lanciati contro le nostre forze innumerevoli missili anticarro (a volte sembra che a Gaza vi siano più missili anticarro che cibo per la popolazione), causando considerevoli perdite. Questi missili sono arrivati dal territorio egiziano. Il governo del Cairo è il principale responsabile del rafforzamento della potenza militare di Hamas e della sua trasformazione in ciò che è oggi.
L’Egitto non ha il controllo del Sinai. In quel territorio sono presenti poliziotti egiziani, ma il loro salario è basso e vengono comprati con le mazzette: per 100 dollari o anche meno sono disposti a chiudere un occhio su qualsiasi cosa. Anche i comandi dell’esercito egiziano, che controlla di fatto l’economia del paese, traggono vantaggi personali dal caos e dalla corruzione.
Missili anticarro assemblati a Gaza (da un video diffuso da Hamas)
Il Sinai è governato da bande beduine che trasportano armi a Gaza via terra e via mare da El-Arish. Quando abbiamo messo in guardia gli egiziani riguardo alle armi che arrivavano a Gaza, a volte se ne sono occupati, a volte hanno solo tentato di occuparsene, a volte hanno chiuso entrambi gli occhi. I funzionari dell’intelligence egiziana sapevano del contrabbando di armi e sapevano dei membri di Hamas che uscivano dalla striscia per andare ad addestrarsi all’estero, ma pensavano che non contrastando l’organizzazione avrebbero comprato la tranquillità a buon mercato. Grosso errore.
Per anni ci hanno ingannato facendoci credere di avere una forte copertura di intelligence a Gaza e accesso a Hamas. Non penso che sapessero in anticipo dell’attacco del 7 ottobre. Anche loro hanno creduto alla calma e alle bugie di Hamas. Né i loro collegamenti con l’organizzazione hanno contribuito a garantire il rilascio degli ostaggi. Il primo accordo con gli ostaggi è stato concluso dal Qatar, che in effetti si adopra incessantemente per trovare una via d’uscita. Gli egiziani, dal canto loro, non sono in grado di mantenere impegni e promesse.
Se vogliamo risolvere il problema di Gaza dobbiamo chiudere tutte le falle della nave: non ha senso tappare un foro su un lato quando l’acqua può entrare dall’altro lato. Dobbiamo esigere che il governo egiziano cominci a funzionare adeguatamente, la smetta di voltarsi dall’altra parte, chiuda i tunnel sotto il confine di Rafah e si occupi sul serio delle rotte del contrabbando.
Il governo americano è garante dell’accordo di pace israelo-egiziano. È ora che Washington agisca in tal senso. Israele si ritirò dalla penisola del Sinai a condizione che non diventasse un territorio che minaccia l’esistenza del nostro stato. Questa è la base del trattato di pace. L’Egitto non soddisfa questa condizione. Non attacca Israele direttamente, ma la sua apatia e inerzia hanno permesso a Hamas di preparare il suo attacco contro Israele.
Se non riconosciamo il problema, non lo possiamo affrontare. Basta con gli incontri nei ristoranti di lusso del Cairo. È tempo di darsi da fare sul campo: a Rafah. (Da: Ha’aretz, 18.4.24)
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