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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.07.2003 la bella storia di Zohar Sharon
Finalmente il Corriere-nuova direzione-scopre che Israele non è solo un paese in guerra

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 luglio 2003
Pagina: 16
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Zohar, il golfista cieco che vince tutti i tornei»
Invitiamo i nostri lettori ad inviare e-mail al Corriere per esprimere consenso per la pubblicazione dell'articolo di Battistini. Israele non è solo un paese in guerra, nè gli aspetti della quotidianità sono solo quelli catastrofico-masochisti raccontati dalla Manuela Dviri. Israele è un paese ricco di storie come quella di Zohar. Il Corriere sembra accorgersene. Finalmente.
CESAREA (Israele) - Prima cosa, maneggia un po’ la pallina. La soppesa, la stringe. La fa piazzare per il colpo. Il tee è deserto, un vento leggero soffia dal mare. Zohar si bagna il dito, studia le folate. «Mazza 3!» ordina: pronti, eccola qui. Le mani sulle spalle, cinque passi corti, il portamazze d’una vita accompagna il campione dalla golf cart al punto giusto, lo gira verso la bandierina laggiù: «Questa è la direzione - gli sussurra - la buca sta a 650 metri. E’ tutta erba, niente ostacoli. Attento al lato destro, c'è una macchia d’alberi. E, dietro, della sabbia».
Zohar s’addressa con calma. Bascula il bacino. Prova una volta, a vuoto, una carezza al prato per saggiare il terreno. Un altro passetto in avanti, così va bene: la mazza è sulla traiettoria giusta. Un movimento deciso. Via! La pallina vola a perdita d’occhio, l’occhio nostro.
«Com’è?» sbuffa Zohar. «Buono, sei a una decina di metri dalla buca». Un sorriso. Mica male per qualsiasi giocatore. Un gran colpo, per un golfista che a ogni percorso, su ogni palla, in mille partite se la deve vedere con un inesorabile, immodificabile handicap: essere cieco.
Con le sue camminate sul green, in questo buio che trova oltre ogni siepe, Zohar Sharon è un eroe che sta facendo sognare Israele più di Ariel Sharon con la sua Road Map. A 50 anni, dopo averne passati dieci a imparare e a disperarsi e ad allenarsi sodo e a riprovare, Zohar ha conquistato le testate sulle pagine sportive: in poche settimane ha vinto i due più prestigiosi tornei di golf del Paese, i Maccabiah Games e la sfida del Gaash Golf Club e ha stracciato 220 avversari, tutti israeliani e tutti vedenti. «Zohar è la dimostrazione che in questo sport si può sfidare il numero uno e vincere» sprizza enfasi e orgoglio Alon Ben David, direttore del Cesarea Golf Club (fondato da un Rotschild) che ha dato al campione cieco le prime scarpine chiodate: «Non ha chance coi grandissimi, ma è in grado di sfidare qualunque ottimo golfista d'Europa o d’America. Per gli ebrei di tutto il mondo, Cesarea è la Mecca del golf: Zohar è il nuovo profeta».
La mazza di Cesarea è un ebreo d’origine yemenita. Con un passato comune a molti, in queste zone: gran parte della sua famiglia fu sterminata dagli arabi, nel 1949, e fino a 23 anni Zohar è cresciuto con l’unica vocazione del soldato. «Ero un paracadutista artificiere - racconta -. Nel 1976, in un’operazione militare, c'è stata un’esplosione e sono diventato così: senza vista, mezzo sordo. Mi hanno dato una pensione, un accompagnatore. E ho dovuto reinventarmi la vita». Due matrimoni, due figli, la prima terapia è stata la pittura: opere esposte a Tel Aviv e a New York, i giudizi lusinghieri dei critici, un quadro menzionato alla Biennale di Venezia.
«Però non ero un Leonardo - ride -. Avevo bisogno di farcela, farcela davvero in qualcosa. Un giorno, mi dicono che in questo golf club c’è un programma di recupero per militari menomati in guerra e per vittime di attentati. Ero scettico: il green di Cesarea è un posto per ricchi, ci vengono i ministri, uno come me poteva entrarci giusto a fare il giardiniere. All’inizio è stato difficilissimo: tentavo e ritentavo, zappavo il prato, sollevavo nuvole di sabbia e non colpivo la pallina nemmeno per sbaglio. A un certo punto ho anche smesso, mi sembrava tutto inutile. Volevo seppellirmi, sparire. Finché non ho deciso di riprovarci, per l'ultima volta». Imparare da cieco ha richiesto tenacia. E qualche trucco speciale: «Il mio allenatore mi legava le mani alla mazza, non doveva spostarsi neanche una falange. Oppure mi metteva attaccato a una colonna di ferro: se non tenevo immobile la testa, ci sbattevo contro. Che davanti ci sia la pallina non è importante, mi diceva, per te quello che conta sono solo il movimento e la potenza: e allora, per fare i muscoli, giù colpi a un pneumatico». Altro segreto: mai pensare a quanto sia piccola, quella sferetta bianca. «Se rifletto sulle vere dimensioni di quel che devo centrare, non ho alcuna possibilità: io m’immagino sempre di colpire un pallone da football con una racchetta da tennis».
Oggi che ce l’ha fatta, per giocare Zohar ha bisogno di due cose soltanto: l'inseparabile «caddie» Shimshon Lévy, 42 anni, l’amico etiope che vede per lui e gli suggerisce dove e come tirare; l’accompagnatore Dylan, un golden retriever di cinque anni che conosce ogni angolo del green, scodinzola di buca in buca e sa distinguere una palla provvisoria da una imbucata. «Hanno molta pazienza - spiega Zohar - perché io mi alleno dieci ore al giorno e non faccio differenza se c’è luce o c’è buio. A volte, li tengo qui fino a sera tardi». Il campione cieco è il più veloce di tutti a completare il percorso: «Sono avvantaggiato, non vedo cose che tolgono la concentrazione». A occhi aperti, Zohar sogna un giorno di ricevere una lezione da Tiger Woods, il Maradona del golf: «Sarei disposto a portargli un anno la sacca delle mazze». Una volta è stato in un club delle Marche, ricorda, e la cosa che l’ha colpito di più è stato il rumore: «Voi italiani parlate in continuazione, prima e dopo il colpo. Peccato: il silenzio è fondamentale».
Cesarea è un paradiso di verde, gabbiani, rumore delle onde. Un’oasi lontana dall’intifada: «Abito a dieci minuti dal golf, non vado in molti posti. Ma isolarsi, ignorare è impossibile: mia figlia è militare, mio fratello fa l’artificiere, io ascolto sempre la radio. A questo Paese ho dato gli occhi, spero servano a riavere la pace. Voto per la destra, sono uno che non ha mai voluto mollare. Ma adesso siamo tutti stanchi. I palestinesi si riprendano tutti i Territori che vogliono: in cambio, mi lascino il mio green ». Non ha mai giocato con un arabo, dice, perché non c’è mai stata occasione: «Mi piacerebbe una sfida a golf, nel nome di questa tregua. Però contro un palestinese handicappato, come me. Arafat andrebbe benissimo - Zohar si allarga in una risata -: ha il Parkinson, gli trema la mano. Lo batto di sicuro».
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