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La Repubblica Rassegna Stampa
26.04.2024 Appello di 18 Paesi per gli ostaggi
Cronaca di Paolo Mastrolilli

Testata: La Repubblica
Data: 26 aprile 2024
Pagina: 12
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Appello di 18 Paesi per gli ostaggi. L’Idf: Pronti a entrare a Rafah»

Riprendiamo da LA REPUBBLICA di oggi, 26/04/2024, a pag. 1, con il titolo "Appello di 18 Paesi per gli ostaggi. L’Idf: Pronti a entrare a Rafah" l'analisi di Paolo Mastrolilli.

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Paolo Mastrolilli

Antony Blinken (Segretario di Stato Usa) e Benjamin Netanyahu. Washington ha coordinato un appello di 18 paesi per la liberazione degli ostaggi israeliani. Un'iniziativa che viene alla vigilia dell'annunciata offensiva israeliana su Rafah (che l'amministrazione Biden non vuole)

Liberare subito gli ostaggi a Gaza, sulla base dell’accordo che Usa, Qatar e altri mediatori stanno negoziando da mesi. È l’appello lanciato ieri da 18 Paesi, coordinati da Washington, allo scopo di rilanciare la trattativa e scaricare su Hamas la responsabilità del suo fallimento. Un’iniziativa che viene alla vigilia della possibile offensiva israeliana a Rafah, e sullo sfondo delle proteste in corso nelle maggiori università americane.

La dichiarazione, firmata da Stati Uniti, Argentina, Austria, Brasile, Gran Bretagna, Bulgaria, Canada, Colombia, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Polonia, Portogallo, Romania, Serbia, Spagna e Thailandia, chiede «il rilascio immediato di tutti gli ostaggi di Hamas a Gaza». La lista include i paesi che hanno cittadini prigionieri, ma serve anche a dimostrare che Israele non è isolata come sembra.

L’alto funzionario dell’amministrazione che l’ha presentata ai giornalisti, ha ricordato che Washington ha proposto da tempo un accordo per il rilascio immediato di circa 40 ostaggi più vulnerabili, in cambio di una tregua di sei settimane. Questo passo doveva servire anche a creare un clima di maggior dialogo e fiducia, per discutere poi una soluzione di lungo termine della crisi. Secondo il funzionario, però, il rifiuto sarebbe venuto direttamente da Yahya Sinwar, il leader che ha gestito la strage del 7 ottobre, perché preferisce tenere la popolazione di Gaza in ostaggio, invece di mettere fine alla guerra. La dichiarazione però aumenta la pressione su Hamas, nella speranza che facciano sentire la loro voce anche i capi meno inflessibili.

Sami Abu Zuhri ha risposto alla Reuters che «le pressioni americane non hanno alcun valore». Khalil al-Hayya, dall’ufficio ancora basato in Qatar, ha detto all’Ap che il gruppo terroristico sarebbe disposto ad accettare una tregua di cinque anni e deporre le armi, se venisse creato uno Stato palestinese basato sui confini precedenti al 1967, con il ritorno dei profughi palestinesi. Questa però sarebbe una posizione temporanea, perché Hamas non rinuncia al «diritto storico su tutte le terre palestinesi».

Il portavoce della Casa Bianca, John Kirby, ha risposto a stretto giro che «gli Usa sostengono la soluzione dei due Stati, ma affinché questo avvenga ci vuole una leadership da entrambe le parti che garantisca la pace». Quindi «non ci sarà mai uno stato palestinese con Hamas». Il negoziato dunque è limitato alla liberazione degli ostaggi e possibilmente alla fine della guerra, che sta costando molto sul piano politico al presidente Biden, complicando la sua rielezione a novembre. La soluzione di lungo temine però non può includere Hamas. Mercoledì l’assistente segretaria di Stato per il Medio oriente, BarbareLeaf, ha detto che gli Usa non hanno dato via libera ad Israele per l’attacco a Rafah, ma L’esercito israeliano ha informato il governo che le sue forze hanno completato i preparativi per una prossima operazione e la data ora dipende dal gabinetto di guerra.

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