Israele risponde all'Iran: dopo questo attacco notturno Khamenei è avvertito Cronaca di Paolo Brera
Testata: La Repubblica Data: 19 aprile 2024 Pagina: 1 Autore: Paolo Brera Titolo: «Un attacco simbolico che tranquillizza Biden ma avverte l’Iran: Israele può colpire i suoi siti nucleari»
Riprendiamo da LA REPUBBLICA di oggi, 19/04/2024, a pag. 1, con il titolo "Un attacco simbolico che tranquillizza Biden ma avverte l’Iran: Israele può colpire i suoi siti nucleari" la cronaca di Paolo Brera.
Paolo Brera
Un attacco estremamente limitato ma con un forte messaggio simbolico. Lo avevano annunciato e lo hanno fatto: stanotte Israele ha lanciato la sua rappresaglia per la nuvola di missili e droni lanciati sabato scorso da Teheran, che a sua volta era la risposta all’attacco di Israele contro l’ambasciata iraniana a Damasco. Di fronte alle minacce di una catastrofe imminente, in realtà è stato un attacco davvero ridotto al minimo, probabilmente effettuato con i droni, ma diretto su un obiettivo simbolico: una base iraniana da cui sono partiti alcuni dei lanci nell’attacco di sabato scorso, nei dintorni di Isfahan dove si trova anche uno dei siti nucleari più importanti per l’Iran. E almeno un obiettivo sarebbe stato colpito anche in Siria.
Il tenore dell’attacco è stato tale da consentire all’Iran di non replicare, ed è quello che Teheran ha già annunciato affermando di avere “intercettato e abbattuto tutti i tre droni inviati”. Ma avverte Teheran e il mondo che Israele mantiene sotto tiro i siti nucleari in cui l’Iran si sta pericolosamente avvicinando a raggiungere la capacità di produrre ordigni atomici, così come le basi missilistiche iraniane la cui capacità offensiva è fuori discussione: da quei siti Teheran ha mostrato la sua efficacia con il lancio dimostrativo di sabato, in cui è riuscito a colpire diversi obiettivi militari in Israele bucando, seppure con una porzione estremamente ridotta della nuvola di missili e droni inviati, la potente cupola del’Iron Dome israeliana.
Ci sono due elementi che già in queste prime ore dimostrano che la partita è finita e non ci saranno nuovi incidenti: il primo è che l’Iran ha già cantato vittoria, ripristinando persino i voli aerei interni. Il secondo è che Israele ha subito avvertito la sua popolazione che non ci sono indicazioni di sicurezza particolari a cui attenersi. La girandola di ricostruzioni sottotraccia che nelle scorse ore avevano accompagnato le minacciose dichiarazioni ufficiali si sono dimostrate probabilmente vere. Il primo elemento è il canale indiretto con cui gli Usa e l’Iran hanno mantenuto, probabilmente attraverso la mediazione diplomatica della Svizzera, un colloquio teso a moderare la rappresaglia che Israele aveva annunciato come indispensabile.
Il secondo è la trattativa, iniziata subito dopo lo strike iraniano che sorprese il governo israeliano, tra il premier Benjamin Netanyahu e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, in cui Washington ha chiesto con forza di evitare una risposta che potesse scatenare l’inferno di una guerra regionale rischiando di mandare al macero tutta la complessa diplomazia d’area culminata negli Accordi di Abramo. Una trattativa che ieri si diceva fosse arrivata al semaforo verde americano sull’attacco di terra israeliano a Rafah in cambio del contenimento al minimo della risposta a Teheran, impossibile da cancellare senza perdere la faccia ma estremamente rischiosa.
La Casa Bianca aveva tergiversato a lungo prima di smentire la ricostruzione come “inappropriata”, ma aveva ufficializzato le trattative in corso con “l’obiettivo comune di sconfiggere Hamas a Rafah”. E aveva coperto la missione offensiva israeliana in Iran dicendo di ritenere “improbabile un attacco prima della fine della pasqua ebraica”, che inizia lunedì prossimo e durerà una settimana. Ma, come avevamo scritto ieri, nulla impediva a Israele di anticiparla. E le lunghe e difficili trattative sono riuscite a mediare tra la volontà di Israele di colpire duro i siti nucleari, con cui Teheran di avvicina a raggiungere la capacità atomica di minacciare l’esistenza stessa di Israele, e la volontà americana di non rischiare una drammatica escalation.
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