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Avvenire Rassegna Stampa
25.07.2003 Tutto quello che riguarda e non riguarda la Road Map
un articolo che informa e spiega

Testata: Avvenire
Data: 25 luglio 2003
Pagina: 1
Autore: Elio Maraone
Titolo: «Un passo giusto dopo l'altro»
Riportiamo l'articolo di Elio Maraone pubblicato su Avvenire venerdì 25 aprile 2003. Correttamente analizza la situazione attuale.
Curioso giornale, Avvenire.
Quando leggiamo Graziano Motta ben difficilmente non concordiamo. L'editoriale di oggi di Maraone fa però a pugni con la ricostruzione di Camille Eid pubblicata in terza pagina ( si veda nostra critica oggi). Quel che si afferma correttamente in prima lo si interpreta poi malamente in terza.

Queste non possono ancora essere giornate decisive per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, che come tutte le piaghe vecchie, profonde e
complesse richiederà, per sanarsi, tempi lunghi e pazientissima applicazione.
Tuttavia la conferma delle visite separate alla Casa Bianca – fra oggi e martedì prossimo – del premier palestinese Mahmud Abbas (alias Abu Mazen) e del
suo omologo israeliano Ariel Sharon ribadisce che le parti più direttamente interessate intendono proseguire sulla strada indicata dalla «road map» (l’itinerario tracciato da Usa, Russia, Unione europea e Nazioni Unite); e che, al tempo stesso, rimane forte l’impegno del presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, di arrivare a un accordo di pace.
Abu Mazen è insieme forte e fragile: forte perché, a parte il rango riconosciuto da un invito che è riservato ai leader che contano, e che gli viene rivolto da Washington per la prima volta, è chiaro che Bush, d’intesa con Israele, ha deciso di farne l’interlocutore palestinese per eccellenza, in
alternativa a Yasser Arafat. Ma proprio il fatto di esser giocato – da Usa e Israele – in alternativa al presidente dell’Autorità nazionale palestinese segnala la fragilità di Abu Mazen, e costituisce una ragione di sospetto per molti dei suoi connazionali. Gli stessi che da settimane esigono che il loro premier ottenga la liberazione di ogni palestinese detenuto nelle carceri
israeliane.
La richiesta della liberazione è diventata infatti prioritaria, addirittura capitale per il premier, tanto che la solleverà nel suo incontro con Bush. Ma il massimalismo non aiuta, non ha mai aiutato: gli estremisti palestinesi possono anche dichiarare, come hanno fatto, che il rilascio dei prigionieri è condizione per il permanere dell’attuale «hudna» (tregua), ma non possono ignorare che nella «road map» non c’è riferimento esplicito alla liberazione dei detenuti, mentre è irrealistico pensare che Israele possa rimettere in libertà coloro che «hanno sangue sulle mani».
Non si sa esattamente quanti siano questi ultimi, forse sono la metà e più dei circa seimila complessivamente in carcere. Mentre invece il numero di quelli che verrebbero liberati in base al giudizio dei servizi di sicurezza israeliani non dovrebbe superare, si dice, il numero di cinquecento: oggettivamente troppo poco per alleggerire il contenzioso, ed evitare, tra l’altro, un voto di sfiducia parlamentare ad Abu Mazen. Ariel Sharon, che Bush non mancherà di mettere sotto pressione, può fare molto per aiutarlo:
dalla liberazione dei prigionieri (entro ragionevoli limiti) al blocco o addirittura allo smantellamento del muro di separazione dalla Cisgiordania (muro che non piace nemmeno agli Stati Uniti) al congelamento e alla riduzione degli insediamenti coloniali (la popolazione dei coloni è cresciuta di altre cinquemila unità nella prima metà di quest’anno), egli può assumersi nuovi e importanti impegni. Impegni graditi anche a Bush, che sulla ripresa del processo di pace, dopo le polemiche sulla guerra all’Iraq, ha investito moltissimo. È evidente che la questione israelo-palestinese va ben oltre la sopravvivenza politica dei tre leader che si incontrano a Washington. Ma è altrettanto evidente che da essi dipende il superamento di questa delicatissima fase. Conforta, e un poco fa bene sperare, il fatto che abbiano
concordato di insistere, di accantonare per ora le questioni più scottanti
(Gerusalemme, ritorno dei profughi...), e di procedere gradualmente: i «piccoli
passi» della vecchia scuola.
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