Quel che Hamas, Sudafrica e i loro reggicoda dicono a Israele: il diritto internazionale vale per te, non per noi Commento di Daniel Markind
Testata: israele.net Data: 09 aprile 2024 Pagina: 1 Autore: Daniel Markind Titolo: «Quel che Hamas, Sudafrica e i loro reggicoda dicono a Israele: il diritto internazionale vale per te, non per noi»
Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - il commento di Daniel Markind dal titolo "Quel che Hamas, Sudafrica e i loro reggicoda dicono a Israele: il diritto internazionale vale per te, non per noi", tradotto da Times of Israel
Il 28 marzo la Corte Internazionale di Giustizia ha ampliato la sua sentenza del 26 gennaio 2024 che, tra le altre cose, affermava che esiste la possibilità che “almeno alcuni degli atti e delle omissioni che, secondo il Sudafrica, sono stati commessi da Israele a Gaza possano rientrare nelle clausole della Convenzione (sul genocidio)”.
La Corte ha rafforzato la sua precedente ordinanza disponendo che Israele “prenda tutte le misure necessarie ed efficaci” per garantire la fornitura dei servizi di base ai palestinesi. La Corte ha dato tempo a Israele fino al 28 aprile per inoltrare un rapporto sulle misure adottate allo scopo di rispettare l’ordinanza.
Gli interventi della Corte Internazionale di Giustizia hanno indotto numerosi nemici di Israele (non solo il Sudafrica, ma anche altri come il Belgio, Amnesty International e alcune agenzie dell’Onu) a esultare per quello che descrivono come il loro successo nel bollare Israele come un soggetto che vìola il diritto internazionale e del loro tentativo di isolare ulteriormente lo stato ebraico. La presidenza del Sudafrica ha scritto su X che, ai sensi del diritto internazionale, Israele può rispondere ai suoi doveri “solo fermando le operazioni militari a Gaza e adempiendo alle direttive della Corte”.
Ma c’è un fatto che scompare regolarmente in tutte queste invettive anti-israeliane, e cioè che la Corte Internazionale di Giustizia nella sua sentenza del 26 gennaio ha scritto: “La Corte ritiene necessario sottolineare che tutte le parti in conflitto nella striscia di Gaza sono vincolate dal diritto umanitario internazionale, ed è seriamente preoccupata per la sorte degli ostaggi rapiti durante l’attacco in Israele il 7 ottobre 2023 e da allora detenuti da Hamas e altri gruppi armati, e ne chiede il rilascio immediato e incondizionato”. (Nell’ordinanza del 28 marzo, la Corte ha ribadito “la richiesta per il rilascio immediato e incondizionato” degli ostaggi ndr).
Per qualche motivo, nel furore suscitato dalla controversia sul presunto genocidio israeliano, la richiesta chiara e netta che Hamas rilasci immediatamente e incondizionatamente gli ostaggi passa praticamente inosservata. Nessuna richiesta viene avanzata da nessun soggetto affinché venga fatto ciò che la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato.
Il Sudafrica, che a gennaio includeva dei rappresentanti di Hamas nella sua delegazione alle udienze della Corte, non ha fatto semplicemente nulla per indurre Hamas a rispettare l’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia. Al contrario, il Sudafrica ha imboccato la strada opposta portando nuovamente Israele davanti alla Corte a marzo, e cercando di nascondersi dietro a sterili legalismi circa gli ostaggi. Vaughan Lowe, un avvocato britannico del team legale sudafricano, ha dichiarato: “Qualcuno potrebbe domandare come mai il Sudafrica non chiede un ordinanza della Corte contro Hamas”, e ha spiegato: “Ma Hamas non è uno Stato, non può essere parte della Convenzione sul genocidio e non può essere parte di questi procedimenti”. Lowe ha aggiunto che altri sono gli organismi internazionali che potrebbero occuparsi delle atrocità di Hamas, rifiutandosi espressamente di specificare quali organismi internazionali dovrebbero farlo e perché mai il Sudafrica non abbia inoltrato denunce presso tali supposti organismi internazionali per ottenere il risultato.
Questa pretesa di perseguire Israele rifiutandosi di agire contro Hamas rientra in una lunga serie di tentativi di mettere Israele in una camicia di forza di risoluzioni e leggi internazionali, ignorando al contempo qualsiasi analogo procedimento a carico dei nemici di Israele e che potrebbe eventualmente tornare a un vantaggio dello stato ebraico. In pratica, quello che si dice a Israele è: il diritto internazionale vale per te, ma non vale per noi.
Il parere della Corte Internazionale di Giustizia del 2024 è solo l’ultimo di una lunga e ingloriosa lista di casi simili. Mentre la guerra di Gaza si trascina e la situazione al confine con il Libano diventa sempre più minacciosa, basterebbe ricordare la risoluzione 1701 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 2006 che pose fine alla guerra di quell’estate tra Israele e le milizie sciite filo-iraniane Hezbollah.
Tra le disposizioni della risoluzione ve n’era una che prescriveva il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano affinché, come deciso dal governo libanese il 27 luglio 2006, non vi fossero più armi o autorità armate in Libano oltre a quelle dello Stato libanese. Ciò ovviamente non è avvenuto e da allora Hezbollah rifiuta apertamente di disarmarsi. Le Nazioni Unite non hanno mai intrapreso nessuna azione contro Hezbollah o il Libano per questa evidente violazione.
Non basta. La risoluzione 1701 prescriveva anche che Hezbollah non mantenesse nessuna presenza armata a sud del fiume Litani. Sin dal giorno in cui la risoluzione è stata approvata, Hezbollah l’ha palesemente violata.
In effetti, l’intera esistenza di Hezbollah si basa sulla violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Nel maggio 2000, Israele ritirò le sue forze dal Libano meridionale fino al confine internazionale (la Linea Blu). Il ritiro di Israele e il suo rispetto della risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sono stati personalmente certificati dall’allora Segretario Generale Kofi Annan il 16 giugno 2000. Ciononostante, Hezbollah sostiene che il suo compito sarebbe difendere l’integrità territoriale del Libano poiché accusa Israele di occupare illegalmente un minuscolo lembo di territorio nella zona di confine chiamata “Fattorie Shebaa” o “Har Dov” (in realtà sotto controllo siriano fino al 1967 ndr). L’attuale Segretario Generale Antonio Guterres non ha difeso per nulla la posizione del suo predecessore. A quanto pare, secondo l’attuale Segretariato Generale delle Nazioni Unite si possono impunemente violare le risoluzioni e le certificazioni dell’Onu quanto si vuole, e persino con incoraggiamento, purché lo si faccia a danno di Israele.
D’altra parte, l’intero progetto di cancellare Israele “dal fiume al mare” si basa sul continuo tentativo di manipolare il diritto internazionale in modo da violare il diritto internazionale stesso, giacché l’esistenza dello Stato d’Israele è stata sancita da un voto delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947, ed è nato grazie a coloro che lo hanno difeso combattendo in una guerra (1948-49) scatenata da paesi che si erano esplicitamente rifiutati di rispettare il diritto internazionale (e alcuni si rifiutano tuttora di farlo).
Purtroppo, successivi governi israeliani non sono stati capaci di ingaggiare in modo adeguato la battaglia legale, che va di pari passo con la battaglia per tutelare la propria immagine. A partire dalla data in cui è stato emesso il parere della Corte Internazionale di Giustizia, Israele avrebbe dovuto esigere a gran voce che il Sudafrica, dopo aver portato il caso davanti alla Corte, facesse tutto ciò che è in suo potere per far rispettare il paragrafo 85, quello che ordina a Hamas il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi. Israele ha solo cercato di difendere le proprie azioni affermando che non mira a colpire i civili. Invece, avrebbe dovuto dichiarare chiaramente che non avrebbe ottemperato alle decisioni della Corte se l’altra parte in guerra si considera non obbligata da nessuna delle sue disposizioni.
Israele dovrebbe passare all’offensiva anche sul piano legale. Dovrebbe annunciare che, pur cercando sempre di limitare il più possibile le vittime civili, si atterrà al paragrafo 86 dell’opinione della Corte (quello che elenca gli obblighi di Israele) a patto che Hamas si attenga al paragrafo 85 (sulla liberazione degli ostaggi immediata e senza condizioni). E che, viceversa, non si considererà obbligato a seguire le decisioni della Corte finché le persone restano prigioniere nelle segrete di Hamas (in violazione di tutte le norme del diritto internazionale) e finché Hamas si fa beffe della stessa Corte che impartisce ordini a Israele, e finché il Sudafrica, che funge da portavoce di Hamas presso la Corte, non muove un dito per garantire l’applicazione del paragrafo 85.
Che sia la Corte Internazionale di Giustizia a spiegare secondo quale logica sarebbe autorizzata a pronunciare ordini giuridicamente vincolanti per una delle parti in un brutale conflitto, e non per l’altra. E che sia il Sudafrica a spiegare perché gli importa così poco delle atrocità di Hamas e delle violazioni del diritto internazionale che si rivolge alla Corte solo per accusare Israele.
(Da: Times of Israel, 1.4.24)
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