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La Repubblica Rassegna Stampa
09.04.2024 Israel Katz, ministro degli Esteri: Iran, risponderemo a chiunque ci attacchi
Intervista condotta dal direttore Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 09 aprile 2024
Pagina: 4
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Israel Katz: Messaggio all’Iran, noi risponderemo a chiunque ci attacchi»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 09/04/2024, a pag. 4, con il titolo "Israel Katz: Messaggio all’Iran, noi risponderemo a chiunque ci attacchi" l'intervista a Israel Katz, ministro degli Esteri israeliano, condotta dal direttore Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

Israel Katz, ministro degli Esteri israeliano. Di fronte alle continue minacce di attacco iraniane, avverte «Siamo pronti a ogni scenario», anche ad un confronto militare diretto con l'Iran 

«Se l’Iran ci attaccherà direttamente, noi attaccheremo l’Iran. E se saranno le milizie alleate dell’Iran a farlo, come rappresaglia per la distruzione del consolato a Damasco, attaccheremo anche loro». Israel Katz, ministro degli Esteri israeliano e fedelissimo di Netanyahu, non ci gira attorno. «Siamo pronti a ogni scenario. E Hamas non si illuda che il ritiro delle truppe da Gaza Sud significhi la fine della guerra». La sua visita istituzionale in Italia è stata l’occasione per l’intervista con Repubblica . Lo abbiamo incontrato in un hotel a Roma, alla presenza del direttore Maurizio Molinari. Quasi un’ora e mezzo di colloquio. Le sue risposte rappresentano ciò che pensa, oggi, il governo d’Israele.

Il ritiro della 98esima divisione da Khan Yunis significa che rinunciate a entrare a Rafah?
«Il lavoro lì era finito. Però per noi non cambia niente, procediamo con operazioni militari mirate come abbiamo fatto all’ospedale Al Shifa».

La decisione dallo Stato maggiore serve per arrivare all’intesa con Hamas sul rilascio degli ostaggi?
«Se troviamo un accordo, ci sarà un temporaneo cessate il fuoco quindi l’Idf non entrerà a Rafah. Ma lo farà in futuro, a tempo debito. Hamas pensa che non lo faremo? Si sbaglia».

Allora uscire da Gaza Sud è stata una mossa per assecondare le richieste di Biden?
«La nostra interlocuzione col presidente Usa verte sul tema umanitario, su come portare più cibo dentro la Striscia, cosa che stiamo facendo. E anche su come evitare di colpire i civili. Abbiamo opinioni diverse sulle modalità, ma concordiamo sull’obiettivo finale e cioè eliminare Hamas».

Gli Stati Uniti vi chiedono di proteggere i civili palestinesi, lo chiedono anche i governi europei e l’opinione pubblica. Si contano 33 mila vittime, secondo le autorità di Gaza. Cosa risponde?
«Al Nord all’inizio Hamas usava i civili come scudo umano, quando la popolazione è stata evacuata a Sud la situazione è migliorata. Purtroppo ci sono ancora dei casi, ma non lo facciamo apposta. L’Idf segue le regole ed è controllato. Hamas, al contrario, lo fa di proposito a circondarsi di innocenti e a costruire basi nelle scuole, nelle moschee e negli ospedali. L’Idf ha dovuto operare di nuovo all’ospedale al Shifa perché i terroristi erano tornati lì, ma non abbiamo ferito nessuno».

Veramente un report dell’Oms dice che 21 pazienti sono deceduti per mancanza di cure a causa dei combattimenti.
«A me risulta che abbiamo eliminato 200 terroristi e ne abbiamo arrestati 800, senza uccidere alcun civile. Hamas è tornata ad al Shifa perché non è interessata alla sorte dei suoi stessi cittadini, sono terroristi».

Israele invece è una democrazia, e il tasso di morti civili in confronto ai miliziani eliminati non è ritenuto accettabile dalla grande maggioranza degli italiani. Cosa state facendo per evitare l’uccisione di innocenti, come i volontari di World Central Kitchen?
«Siamo molto dispiaciuti per quel che è accaduto con Wck, ho chiamato personalmente i governi degli operatori morti per le condoglianze. Lo Stato maggiore dell’Idf ha licenziato dei comandanti, il caso è arrivato al tribunale militare.Abbiamo anche creato un forum di alti rappresentanti delle istituzioni straniere per essere più sincronizzati ed evitare il ripetersi di errori. Ma se Hamas pensa di sfruttare tutto ciò per arrivare al cessate il fuoco senza la riconsegna dei rapiti, si sbaglia».

Dopo l’attacco a Damasco contro i pasdaran quale reazione militare vi aspettate dall’Iran?
«Israele non si è preso la responsabilità per l’attacco, ma l’Iran ha annunciato che farà una rappresaglia contro di noi. Non ci spaventa. Non vogliamo la guerra con l’Iran, ma se ci attaccano direttamente, risponderemo».

E se la rappresaglia arriverà da milizie e Paesi alleati di Teheran?
«Hezbollah dal Libano e gli Houti dallo Yemen da tempo lanciano razzi sul Golan e su Eilat. Finora abbiamo reagito in modo limitato. Se dal Libano cominceranno ad arrivare missili su Tel Aviv come rappresaglia per Damasco, Israele manderà gli aerei e anche i soldati. Il problema è che l’Occidente non sta prendendo seriamente in considerazione il pericolo Iran e islamismo radicale».

In che senso?
«L’Iran è la testa del serpente. Ha fornito a Hezbollah 150 mila missili per distruggerci. L’Europa, gli Stati Uniti, l’Onu devono fermare l’Iran ed evitare che si doti dell’arma atomica.L’Occidente sta facendo un grande errore. Deve sanzionare economicamente Teheran e far sentire la pressione. Altrimenti l’Iran diventerà un’altra Nord Corea».

Qual è la situazione al fronte col Libano?
«Siamo stati costretti a sfollare migliaia di israeliani per colpa dei razzi di Hezbollah. Se non si ritirano dietro il fiume Litani, come prevede la risoluzione Onu 1701, saremo costretti a fare la guerra anche contro Beirut. Non vogliamo, preferiamo seguire la strada del negoziato».

Qual è il piano per il dopoguerra a Gaza?
«Gli israeliani non vogliono stare a Gaza. Sarà la comunità internazionale a prendersi la responsabilità della Striscia, una volta sconfitta Hamas. Ma chiunque verrà ad amministrare Gaza deve lasciare a Israele la possibilità di intervenire sul tema della sicurezza, lasciarci entrare nel caso dovessimo vedere nuove organizzazioni terroristiche. In Cisgiordania, ad esempio, collaboriamo sulla sicurezza con l’Autorità nazionale palestinese, anch’essa spaventata dai terroristi».

L’ipotesi due Stati, due popoli sta ancora in piedi?
«Nessun leader politico in Israele, non solo Netanyahu, oggi sostiene quell’ipotesi. Dopo il 7 ottobre la nostra opinione pubblica non vuole più che la sicurezza dello Stato ebraico dipenda dai palestinesi. Neanche Hamas ha mai voluto due Stati. Vuole il Califfato islamico».

Qual è l’alternativa?
«Il negoziato diretto con i palestinesi, con chi è al potere, per trovare un modo per convivere. Negoziato senza precondizioni. Noi mettiamo sul tavolo la nostra sicurezza. Ma nessuno può e deve forzare Israele a riconoscere lo Stato palestinese. Forse in futuro, quando sarà possibile per loro fare elezioni democratiche, senza Hamas che fa il lavaggio del cervello alla gente, si potrà parlare dell’ipotesi due Stati, due popoli. Ora è impossibile».

In molti atenei italiani è in corso una protesta per interrompere la collaborazione accademica con Israele, cosa ne pensa?
«Non penso che succederà. Italia e Israele sono Paesi amici, i vostri ministri hanno capito il valore della collaborazione. Ci sono tante organizzazioni contro Israele e contro gli ebrei che sono antisemite: polemizzano contro il nostro governo, ma in realtà sono contro gli ebrei. Io sono disposto al dialogo con gli studenti».

Lei di recente ha definito antisemita anche l’Onu. Non crede di avere esagerato?
«No. All’Onu si sono tenute 41 sedute del Consiglio di Sicurezza sulla guerra e il Segretario generale Guterres non ha mai condannato i crimini di Hamas. Nemmeno sugli stupri delle donne durante il massacro del 7 ottobre ha condannato l’organizzazione».

Ministro però non ha senso definire antisemita chiunque critichi l’operato del vostro governo, altrimenti si banalizza lo stesso antisemitismo…
«È legittimo avere posizioni conflittuali e critiche, ma non è legittimo cercare di forzare Israele a rassegnarsi al radicalismo islamico. Se l’Europa vuole, si arrenda. Ma non si può chiedere a Israele di farlo».

 

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