Tatzpitaniyot: le giovanissime, eroiche, inascoltate guardiane dei confini d’Israele Analisi di Donatella Misler
Testata: israele.net Data: 08 aprile 2024 Pagina: 1 Autore: Donatella Misler Titolo: «Tatzpitaniyot: le giovanissime, eroiche, inascoltate guardiane dei confini d’Israele»
Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Donatella Misler dal titolo "Tatzpitaniyot: le giovanissime, eroiche, inascoltate guardiane dei confini d’Israele"
Le tatzpitanit (plurale tatzpitaniyot) – che significa osservatrici – sono le soldatesse, di leva e quindi giovanissime, incaricate di controllare i monitor collegati alle telecamere di sorveglianza sulle frontiere di Israele, in particolare quelle più pericolose con Gaza e con il Libano, a turni, 7 giorni su 7, 24 ore su 24, e di segnalare non solo infiltrazioni nemiche, ma anche attività sospette che potrebbero essere il preludio di un attacco.
Per questa attività sono impiegate quasi solo donne perché riescono meglio degli uomini a notare le minime variazioni del comportamento e delle attività.
Devono conoscere quasi a memoria ogni punto della zona lunga 15-30 km a loro assegnata, utilizzando non solo le immagini dei monitor ma anche mappe, carte geografiche e ogni altra informazione che sia loro utile per svolgere questo lavoro. E’ un lavoro di grande responsabilità giacché solo un attimo di distrazione o un piccolo errore possono causare la morte di molte persone. Ed è anche molto faticoso perché richiede di osservare per tutto il turno di lavoro, con attenzione e senza sosta, dei monitor dove per lo più non accade nulla. Eppure il loro compito non è oggetto di gloria o riconoscimenti come il compito dei combattenti. Il minimo errore può essere causa di un rimorso che durerà tutta la vita, ma individuare un’infiltrazione di solito non comporta nessun riconoscimento particolare.
Per questa attività sono impiegate ragazzine giovanissime, dai 18 ai 20 anni, dopo un breve periodo di addestramento. Queste soldatesse non sono armate e non sono addestrate al combattimento, perché i centri di osservazione sono collocati all’interno di basi militari che dovrebbero essere difese da soldati delle unità combattenti, uomini e donne.
La base di Nahal Oz, vicina al kibbutz omonimo, a un km dal confine con Gaza, ospitava uno di questi centri gestito dall’unità 414 (questa unità comprende quindi sia tatzpitaniyot che combattenti). A difesa della base c’erano anche soldati esperti della brigata Golani, una delle unità di élite dell’esercito israeliano.
Da circa tre mesi prima del 7 ottobre, le tatzpitaniyot avevano cominciato a segnalare attività sospette, ma le loro osservazioni erano state ignorate dalle autorità superiori a cui le avevano inoltrate.
Il 7 ottobre la loro base è stata una delle prime ad essere attaccata. Droni carichi di esplosivi hanno messo fuori uso le telecamere di sorveglianza e danneggiato l’impianto elettrico, neutralizzando così tutti gli allarmi. Erano le 6.30 del mattino di un giorno di festa. La base era rimasta sguarnita perché molti soldati erano in licenza, e la maggior parte di quelli che non erano di turno dormivano. Anche le tatzpitaniot che non erano di turno erano nella loro camerata. Le altre erano al loro posto e hanno fatto appena in tempo a segnalare l’ingresso di terroristi nella base prima che i video si spegnessero.
La base è stata invasa in più ondate da 150 terroristi delle brigate d’élite di Hamas, armati non solo di armi leggere, ma anche di armi pesanti. Ad affrontarli c’erano soldati israeliani in condizioni di inferiorità come numero, armi ed addestramento.
Tra le tatzpitaniyot c’erano anche diverse reclute che avevano appena finito il corso di addestramento di due mesi ed erano arrivate alla base solo due giorni prima. Tutte quelle che non sono state uccise o rapite all’inizio dell’attacco e che, come ho detto, non erano armate, si sono barricate nel centro di controllo, che è rinforzato e a prova di missile. Si sono subito rese conto che le possibilità di sopravvivere erano minime, anche se speravano ancora nell’arrivo di rinforzi, e hanno fatto un’ultima telefonata alle loro famiglie. Nel centro di controllo si sono rifugiati anche altri soldati incalzati dall’avanzata di Hamas.
L’edificio è stato difeso disperatamente, sino all’ultimo, dagli unici combattenti esperti presenti: quattro soldati della brigata Golani che sono riusciti a resistere all’attacco sino alla fine della mattinata, senza che arrivasse un aiuto dall’esercito. Tre di loro sono sono stati uccisi (tra loro, un arabo beduino musulmano).
A questo punto i terroristi, seguendo una tattica applicata anche nei kibbutz vicini, hanno dato fuoco all’edificio utilizzando un liquido incendiario che produce fumi tossici che lasciano al massimo due minuti di vita (vi ricordate le foto del Ghetto di Varsavia, in cui si vedono gli ebrei che si erano nascosti gettarsi dalle finestre delle case incendiate dai nazisti per stanarli?).
Quando il fumo è entrato nel centro di osservazione, per la maggior parte di coloro che vi si erano rifugiati non c’è stato scampo. Solo quelli che si trovavano nelle vicinanze del bagno, con l’unica finestra, sono riusciti a salvarsi rompendo la finestra e buttandosi fuori. Nel centro si erano rifugiate 22 persone: 15 sono morte, 7 sono riuscite a salvarsi.
Le persone morte nel centro sono bruciate e in alcuni casi ci è voluto più di un mese per identificarle.
Alla fine della battaglia in quella base erano morti 66 militari (tra cui, oltre al beduino della brigata Golani, un altro arabo israeliano, un soldato druso).
Delle tatzpitaniyot, 15 sono morte e 7 sono state prese in ostaggio. Di queste, una è stata assassinata a Gaza, nell’ospedale Al Shifa; un’altra è stata liberata dalle Forze di Difesa israeliane. Le cinque rimanenti sono ancora nelle mani dei terroristi di Hamas.
Quest’articolo vuole ricordare quelle vite distrutte in un giorno terribile che ha visto più di 1.200 morti e più di 200 rapiti in un attacco stragista che solo una piena consapevolezza del profondo odio omicida di Hamas verso gli ebrei avrebbe potuto far prevedere.
Non si possono guardare uno per uno 1.200 morti. Ma possiamo guardare il viso di queste ragazzine che sono morte o sono state rapite per difendere il loro paese, conoscere i loro sogni e capire cosa significa per Israele il 7 ottobre.
I morti non sono numeri. Sono persone reali che dobbiamo cercare di conoscere, per capire quello che è successo. Guardiamo i loro volti, ascoltiamo le loro storie. Soprattutto, non dimentichiamoli.
– Shir Eilat, la loro comandante, 20 anni, originaria di Kfar Shmuel. Aveva studiato teatro, ma aveva prolungato la ferma ed era indecisa se continuare la carriera militare o fare l’attrice
– Yam Glass, 20 anni, di Modiin. E’ forse l’unica figlia unica. Al termine del servizio militare pensava di fare un viaggio con la madre. La sua morte è stata confermata solo il 3 novembre.
– Yael Leibushor, 20 anni, di Ge’a. Aveva fatto un anno di servizio civile nazionale su progetti di protezione dell’ambiente a Mizpé Ramon. Al termine del servizio militare aveva in programma di percorrere a piedi tutto l’Israel Trail. Poi pensava di studiare bomimicry, una disciplina che studia i comportamenti della natura per applicarli alla soluzione di problemi ambientali.
– Shahaf Nissani, 20 anni, di Ashkelon. Il suo corpo è stato identificato l’11 ottobre, giorno in cui avrebbe dovuto terminare il servizio militare. Suo cugino è stato assassinato al Festival Nova. Era rimasta traumatizzata negli anni precedenti dai missili palestinesi lanciati sulla sua città, e per poter essere ammessa al servizio militare aveva dovuto sottoporsi a percorso terapeutico.
– Noa Prais, 20 anni, di Mevoim. Avrebbe completato il servizio militare in gennaio e aveva programmato di andare a Parigi per visitare degli amici.
– Roni Eshel, 19 anni, di Tzur Yitzhak. Si pensava che fosse stata rapita e portata a Gaza perché i suoi resti sono stati identificati solo il 9 novembre. Era nell’esercito già da un anno e sei mesi e aveva continuato a segnalare le attività di Hamas lungo la frontiera.
– Shay Ashram, 19 anni, di Rehovot. Soffriva di problemi alla schiena e avrebbe potuto cambiare attività, ma aveva insistito per restare. Era molto amica di Noa Marciano e Ori Megiddish (vedi sotto) e insieme avevano girato dei video postati su TikTok.
– Maya Villalobo Polo, 19 anni, di Givatayim. Aveva doppia nazionalità israeliana/spagnola. Aveva in programma di andare in Spagna, dove erano rimasti i suoi genitori, per il compleanno del padre, nella settimana successiva all’attacco. Lavorava in una pizzeria.
– Shirel Mor, 19 anni, di Ra’anana. Era una pianista molto brava, amava gli animali.
– Adi Landman, 19 anni, di Yokne’am Illit. Anche nel suo caso c’è voluta una settimana per identificare i resti. Era membro attivo di un gruppo musicale.
– Aviv Hajaj, 19 anni.
– Noam Avramovitch, 19 anni, di Givat Brenner. Era una leader nata. E’ arrivata alla base al termine del corso, solo due giorni prima dell’attacco.
– Shira Shohat, 19 anni.
– Hadar Cohen, 18 anni, del moshav Zeitan. Era un capo scout e la sua canzone preferita prendeva il titolo da una frase tipica degli israeliani: yihyè tov “andrà bene”.
– Shirat Yam Amar, 18 anni, di Kiryat Ono. Anche lei era arrivata alla base solo due giorni prima dell’attacco. I suoi resti sono stati identificati solo dopo qualche giorno.
Delle 7 tatzpitaniyot prese in ostaggio:
– una, Ori Megiddish, 18 anni, è stata liberata dai soldati israeliani. Deportata come ostaggio a Gaza il 7 ottobre, è stata salvata dalle Forze di Difesa israeliane il 30 ottobre.
– un’altra, Noa Marciano, 19 anni, di Modiin, è stata assassinata in novembre nell’ospedale Al Shifa. Rimasta ferita non gravemente in un attacco israeliano, è stata portata all’ospedale Al Shifa di Gaza dove, a novembre, è stata assassinata da un terrorista di Hamas. La sua morte è stata confermata il 14 novembre, il suo corpo recuperato il 16 novembre e sepolto il giorno successivo.
5 sono ancora trattenute come ostaggi:
– Naama Levy, 19 anni. Anche lei, nipote di un sopravvissuto alla Shoah, era arrivata alla base due giorni prima, al completamento del corso. Negli Stati Uniti aveva partecipato al progetto “Mani di pace” per costruire la pace tra israeliani e palestinesi. E’ una atleta di triatlon. Qui il famoso, agghiacciante video della sua cattura girato dagli stessi terroristi.
– Agam Berger, 19 anni. E’ una violinista di talento.
– Daniella Gilboa, 19 anni.
– Karina Ariev, 19 anni.
– Liri Elbag, 18 anni.
Queste quattro ragazzine, come Naama Levy, avevano appena finto il corso ed erano arrivate alla base due giorni prima.
Per inviare a israele.net la propria opinione, cliccare sull'indirizzo sottostante