Così il vessillo dell’Islam sventolava per Hitler Commento di Marco Patricelli
Testata: Libero Data: 05 aprile 2024 Pagina: 13 Autore: Marco Patricelli Titolo: «Così il vessillo dell’Islam sventolava per Hitler»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 05/04/2024, a pag. 13 con il titolo "Così il vessillo dell’Islam sventolava per Hitler", il commento di Marco Patricelli.
Marco Patricelli
Solo un cortocircuito storico-ideologico può spiegare il turbinìo di bandiere palestinesi nelle piazze e nelle università e la contemporanea demonizzazione di Israele. Se l’umore della folla è di per sé instabile e volubile, quando non addirittura strumentalizzato e indirizzato, quello che accade negli atenei è invece preoccupante: perché da un lato testimonia l’inutilità fattuale della celebrazione della Giornata della memoria il 27 gennaio che avrebbe dovuto formare a una corretta e consapevole conoscenza del passato e dei suoi orrori, dall’altro l’inadeguatezza a diffondere la cultura e a rendere il pensiero degli studenti articolato appunto sulla conoscenza come si conviene a un’università.
Poca storia e molta ideologia, dunque, senza passare per le idee, e con una sulfurea spruzzata di tifo da stadio sulla mattanza del 7 ottobre e sulla reazione israeliana a Gaza. Agli studenti occupanti, demolitori delle partnership con le università israeliane e sbandieratori compulsivi del vessillo della Palestina, andrebbero ricordate un paio di cose appena: un nome, Amin al-Husseini, e un termine, 13. Waffen-Gerbirgs-Division der SS “Handschar”.
Il comun denominatore è l’islamismo coniugato all’antisemitismo più oltranzista.
ADOLF E IL GRAN MUFTÌ
Al-Husseini (1897-1974) è stato il Gran Muftì di Gerusalemme, suprema autorità musulmana sunnita, amico e sodale di Adolf Hitler nella politica dello sterminio che avrebbe portato alla Shoah anche senza il suo volenteroso aiuto ideologico e fattivo. Con nessun titolo universitario e nessuno teologico, appena un pezzo di carta da amministrativo, Husseini seppe barcamenarsi con astuzia e spregiudicatezza nella turbolenta e fluida situazione mediorientale, imponendosi come guida spirituale e come capo politico, alfiere della causa araba e odiatore irriducibile degli ebrei (visto che c’era, di tutti i non islamici), attivista dei Fratelli musulmani e promotore instancabile della Jihad. Trescò con Heinrich Himmler, Adolf Hitler e pure con Benito Mussolini, che in chiave antinglese lo blandivano e foraggiavano. Appena asceso al potere vincendo le elezioni del 1933, l’ex artista fallito di Braunau diventato cancelliere della Germania si vide arrivare sul tavolo un telegramma di felicitazioni spedito da Gerusalemme «a nome di tutti i musulmani» e a firma di Husseini, che sempre nello stesso anno entrò in contatto col Duce. Alla fine degli Anni ’30, col deterioramento delle relazioni internazionali di Germania e Italia con Gran Bretagna e Francia, il flusso di danaro nelle casse arabe fu costante.
Intanto il Mufti si sbarazzava dei nemici ebrei in Palestina ricorrendo agli omicidi mirati e ai pogrom, tant’è che un gruppo paramilitare decise la sua eliminazione o la sua cattura, missione poi però non andata in porto. Domata dagli inglesi una sollevazione militare in Iraq che doveva assicurare all’Asse le risorse petrolifere necessarie alla guerra, Husseini venne messo al sicuro dall’Italia dotandolo di un passaporto diplomatico a nome di Giovanni Rossi. Sbarcò a Bari accolto festosamente dai fascisti e poi venne ricevuto da Mussolini il 27 ottobre 1941. Il 28 novembre sarebbe stato ospite di Hitler a Berlino, città dove sarebbe rimasto fino alla fine del conflitto.
La fusione ideologica nel segno dello sterminio degli ebrei era cosa fatta. Se col fascismo Husseini era riuscito a far costituire un’unità araba di poco più di 600 uomini (Gruppo formazioni A) che si sarebbero battuti prima in Africa contro gli inglesi, poi in Italia contro i tedeschi e infine assieme ai tedeschi, col nazismo la “corrispondenza di criminosi intenti” portò alla costituzione di una divisione SS reclutata in Jugoslavia nel 1943 proprio dal Mufti tra i musulmani di Bosnia, albanesi e kosovari, e persino con una quota di croati, e Himmler dispose per essa pure l’apertura di una scuola per mullah. Husseini passò in rassegna i 21.000 SS dell’Handschar (scimitarra, che ne era il simbolo) riconoscibili dal fez verde, li benedisse, e li avviò a imprese che fanno ancora oggi rabbrividire: l’uccisione del 90% degli ebrei bosniaci, la distruzione sistematica di villaggi serbi, incendi di chiese, razzie e stupri, scontri feroci con i partigiani comunisti di Tito. Il Mufti, peraltro, esaltava in un discorso i punti in comune tra nazismo e islamismo e gli interessi comuni del Reich e del mondo arabo, a partire dall’annientamento dell’ebraismo. In questo disegno rientrava anche il suo piano di avvelenare l’acquedotto di Tel Aviv, fortunatamente sventato quando già i contenitori di veleno erano stati stoccati in una caverna.
Alla fine della guerra, pur arrestato dopo aver cercato riparo in Svizzera, riuscirà a sfuggire alla giustizia, sottraendosi sia da un processo come criminale di guerra, sia da una richiesta di estradizione avanzata dalla Jugoslavia di Tito, essendo nel frattempo diventato il più popolare leader arabo della Palestina.
GUERRE E ATTENTATI
Con il consenso delle masse sarà artefice della guerra del 1948 contro il neonato Stato di Israele, e poi andrà in esilio in Egitto da dove continuerà a tessere le sue trame, tra cui ne 1951 l’attentato riuscito al re di Transgiordania Abdallah, il quale aveva contrastato il suo potere e la sua milizia (Esercito del Jihad) imponendone lo scioglimento. I successori gli vietarono sempre il rientro a Gerusalemme e altrettanto fece il governo israeliano alla sua morte, avvenuta a Beirut nel 1974.
Quando per la Festa della liberazione, il 25 aprile, saranno riproposti gli assurdi e stucchevoli veti alla partecipazione della Brigata Ebraica e gli osanna alla Palestina e alle kefiah dei “partigiani” e “resistenti”, quasi nessuno rifletterà sulla lezione della storia, dove stavano e chi erano i fascisti e i nazisti, come intendevano il mondo arrivato a noi e quali forme ha incarnato il razzismo per opera di chi e con che responsabilità. Tutti termini strabusati e sviliti di significato. Sotto gli slogan il niente e dietro agli striscioni, il nulla.
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