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La Stampa Rassegna Stampa
21.07.2003 Qualche riflessione su Arafat
se ne consiglia la lettura a Silvio Berlusconi

Testata: La Stampa
Data: 21 luglio 2003
Pagina: 4
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Sharon e Abu Mazen,avanti a piccoli passi»
Per capire la funzione di Arafat contro il processo di pace, niente di meglio dell'analisi di Fiamma Nirenstein.
Ne consigliamo la lettura al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

GERUSALEMME
Non è stato un insuccesso l’incontro di ieri a Gerusalemme fra Sharon e Abu Mazen: i due sono stati determinati e mansueti nello stesso tempo, Sharon ha detto che se il terrorismo verrà fermato è pronto a sgomberare altre città palestinesi nel West Bank e a passare ai palestinesi la responsabilità della sicurezza. Ha promesso di riunire la commissione del Parlamento per la liberazione dei prigionieri palestinesi. E Abu Mazen, benché sotto schiaffo da parte dei lealisti di Arafat, nonché di Hamas e della Jihad Islamica, non ha perso il suo atteggiamento sostanzialmente cooperativo, senza capricci né dichiarazioni estremiste.
Così, almeno, piano piano, nella coscienza collettiva israeliana e in quella palestinese, si profila la sensazione che bene o male Ariel Sharon e Abu Mazen cercano di fare qualcosa insieme nonostante terribili difficoltà, nonostante il caos che invade l’Autonomia via via che lo scontro fra fazioni si profila inevitabile: lo stesso incontrarsi dei due leader, faccia a faccia per due ore consecutive a Gerusalemme, il prossimo appuntamento dopo i rispettivi viaggi a Washington, rompe il muro compatto della disperazione dell’Intifada, crea qualche timida speranza di possibile collaborazione. Al momento, presso un’opinione pubblica scettica e ferita questo può essere definita una delle migliori acquisizioni dell’incontro di ieri.
Dopo che gruppi di tanzim del Fatah (l’organizzazione di Arafat) hanno rapito e picchiato in pubblico il governatore di Jenin rilasciandolo poi su ordine diretto di Arafat, mentre dimostrazioni di fazioni contrapposte (i sostenitori di Arafat da una parte e quelli di Abu Mazen dall’altra) si scontrano nelle piazze palestinesi, mentre Dahlan si lamenta di non potere procedere a chiedere il promesso sgombero delle truppe israeliane da Nablus perché bande scatenate di ribelli alla hudna creano il caos, la prosecuzione della tregua e il suo lento progredire politicamente si può considerare un miracolo.
Giusto la forza immane dell’Amministrazione Americana e la pressione internazionale in generale impedisce che si spezzi. Ma in realtà gli avvertimenti di sicurezza che parlano di attentati sono calati verticalmente di numero (da 50 a 18 al giorno circa, non poco certo, ma assai meno di prima), sono stati ammainati o cancellati parecchi ritratti dei terroristi suicidi che proliferavano ovunque sulle mura palestinesi, a Gaza fra smentite e soffiate si parla di qualche sequestro di armi e di alcuni fermati per opera della polizia di Dahlan. Arafat si batte incessantemente per il suo potere a spese di Abu Mazen, lo accusa tramite le parole dei suoi di essere un venduto, seguita a lodare in pubblico i «martiri» bambini, incarica Jibril Rajub di organizzare una nuova polizia per il West Bank che sarà di fatto un'alternativa alla forza di Abu Mazen, riposta nelle armi di Dahlan; i campi estivi per ragazzi palestinesi inneggiano e allenano alla violenza.
Abu Mazen seguita a guidare su un filo sospeso. E l’incontro di ieri è una sorta di indicazione che la storia continua nonostante tutto: Abu Mazen parte per il suo tour per l’Egitto, la Giordania e infine verso il prato verde della Casa Bianca con in mano la carta dei prigionieri, quella prediletta dal popolo palestinese, e con altre acquisizioni che cercano di fare di lui un capo. D’altra parte, questo è ciò che sia Ariel Sharon che George W. Bush desiderano: vedere Abu Mazen crescere nella considerazione del suo popolo e del consesso internazionale, così da soppiantare l’immarcescibile Arafat. Così ieri Abu Mazen da un lato, non è andato a testa bassa all’attacco, non ha ripetuto la propagandistica posizione della liberazione di tutti i prigionieri politici. Ma ha tirato sul prezzo, ha detto 450 invece di 350, ha chiesto che siano anche di Hamas e della Jihad islamica e ha fatto filtrare la notizia che Sharon ha promesso molti, ma molti di più uomini liberati se la sicurezza degli israeliani verrà ragionevolmente garantita.
Il fatto che abbia chiesto che una commissione ristretta di palestinesi e di israeliani, composta sostanzialmente da Avi Dichter, il capo dei servizi segreti dell’Interno, lo Shin Beth, e dal suo ministro Isham Abdel Rasek è a sua volta un segno della sua volontà di distanziarsi dalle decisioni israeliane quanto possibile; e Sharon, ha accettato. Anche lui vuole andare a Washington con una rassicurazione di buona volontà da portare all’Amministrazione, benché le famiglie di tanti trucidati negli attacchi terroristici piangono il loro totale disaccordo di fronte alla possibilità di vedere gli assassini dei loro cari o i loro mandanti liberi.
Abu Mazen ha anche molto insistito nella richiesta di restituire a Arafat, noblesse oblige, la libertà di movimento. Sharon rispondendogli che penserà eventualmente all’ipotesi di lasciarlo tornare a Gaza ma che non gli piace l’idea di vederlo girare per la Cisgiordania, non ha certo reso esplicito il sottinteso evidente di questa posizione: «Capirai certamente - è il sottinteso - che Arafat di fronte alla folle di Nablus e di Jenin, o nella Piazza di Betlemme, è l’ultima cosa che rafforzerebbe il tuo potere».

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