Per fortuna che l’italiano ha il condizionale Commento di Elena Loewenthal
Testata: La Stampa Data: 28 marzo 2024 Pagina: 14 Autore: Elena Loewenthal Titolo: «Stranieri in classe, il tetto storto di Salvini»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/03/2024, a pag. 14, con il titolo "Stranieri in classe, il tetto storto di Salvini" il commento di Elena Loewenthal.
Meno male che la nostra bellissima lingua italiana è dotata di un sistema verbale tanto complesso quanto sfidante, capace di accogliere sfumature e distinguo. Perché nella frase pronunciata ieri dal ministro Salvini qualcosa che si salva c’è, ed è il condizionale (d’obbligo) quando lui avanza un’ipotesi, lancia una congettura che può essere vera ma anche no: «Io penso che ci debba essere un tetto per gli stranieri nelle classi italiane, direi un 20%, altrimenti è un caos di lingue in quella classe...». Ecco, di salvabile in questa frase c’è giusto quel “direi” che almeno non è un indicativo presente. Perché il quadro che viene fuori dal sopracitato periodo è decisamente fuori da ogni realtà, sintattica o materiale che sia. Ministro, nelle nostre scuole si parla e si insegna l’italiano, in subordine alcune lingue straniere. L’italiano è la lingua delle lezioni, dei manuali, dei compiti in classe; magari imperfetto e da migliorare, ma l’italiano è la lingua nostra e dei bambini delle nostre scuole. A prescindere dal colore della pelle, dal nome che portano e dalla storia che le loro famiglie raccontano. Non c’è quel «caos di lingue» summenzionato che chissà se alludeva alla maledizione biblica della torre di Babele. Nelle nostre scuole i ragazzi e le ragazze parlano e studiano l’italiano, la nostra bellissima lingua: italiani o stranieri di passaporto, storia o nascita che siano.
E pensare di stabilire delle “quote” per i bambini con un passaporto diverso da quello italiano è - per l’appunto - un’ipotesi strampalata. Perché poi, il sovrannumero di ragazzi e ragazze al caso dove li mettiamo? In panchina ad aspettare che si liberi un posto? La scuola non è un optional ma un bisogno primario. Di più: è il fondamento della nostra società, del nostro comune essere umani. E i bambini, i ragazzi e le ragazze stranieri (ma poi, che vuol dire stranieri? Stranieri a che dove e a che cosa?) che frequentano le nostre scuole usufruiscono di un diritto primario, quello all’educazione, certo. Ma fanno di più: fanno un favore a noi, italiani di nascita e passaporto. Alla nostra società di oggi e di domani, che ha bisogno di adulti scolarizzati e consapevoli. Stabilire delle quote di “stranieri” in classe sì che creerebbe (e per fortuna che l’italiano contempla nel suo sistema verbale anche il condizionale...) un caos ingestibile, un terribile grigiore culturale.
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