Nabil Shaath si inventa la storia e il Messaggero prontamente diffonde
Testata: Il Messaggero Data: 20 luglio 2003 Pagina: 13 Autore: Riccardo De Palo Titolo: «Perchè non si deve isolare Arafat»
Non bastano gli articoli di eric Salerno da Israele. Il Messaggero ci tiene a far bella figura anche nelle cronache italiane. Poteva mancare un pezzo alla Gianni Minà sull'intervento di Nabil Shaath alla sessione romana dell'internazionale socialista ? Un intervento così autorevole quello di Shaath che fa arretrare l'occupazione dei territori dal 1967 al 1948 ! Un 1948 che non vide Israele attaccato da tutti gli stati arabi dopo che l'anno prima l'ONU aveva diviso in due la Palestina. No, secondo lo spudorato "ministro degli esteri" la guerra era iniziata perchè gli ebrei "volevano" costruire lo stato d'Israele. Leggere per credere. Il tutto pubblicato come se fosse oro colato. «ISRAELE ignora sempre la vera radice del problema: l'occupazione». «L'Europa deve avere un ruolo effettivo nella pacificazione della regione». «Non bisogna isolare Arafat: lo stesso presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, mi ha detto che verrà presto a trovarlo a Ramallah». Nabil Shaath è il ministro degli Esteri del governo palestinese. Ha seguito da vicino tutti i colloqui di pace, da Madrid in poi, ed è uno degli esponenti palestinesi più apprezzati all'estero. Ieri era a Roma per la conferenza dell'Internazionale socialista sull'Iraq e la pace in Medio Oriente. Sulla questione del terrorismo che, secondo gli israeliani, va combattuto con più efficacia dagli stessi palestinesi, Nabil Shaath afferma che «gli esponenti israeliani, del governo ma anche dell'opposizione, decidono sempre di ignorare la vera radice del problema: l'occupazione. Che vuol dire impadronirsi di terre altrui, per esempio attraverso la costruzione di insediamenti. Nel 1948 il 70-80 per cento delle terre palestinesi sono state occupate e i residenti sono diventati rifugiati. Nel 1967 è stato preso il resto del territorio. Nel '48 la guerra è iniziata perché volevano creare lo Stato di Israele. Nel '67 perché il presidente egiziano Nasser aveva chiuso lo stretto di Tiran. Dunque, dove sono le nostre responsabilità? Israele ignora totalmente le proprie. Così come ignora il suo terrorismo di Stato. E' un'accusa grave, la sua. «Tremila palestinesi sono stati uccisi negli ultimi 34 mesi, in gran parte civili, il 60 per cento erano bambini con meno di 14 anni. Quelle degli israeliani sono punizioni collettive: sparano un missile su un villaggio e il villaggio viene distrutto. Cos'è questo, se non terrorismo di Stato? A Gaza hanno lanciato una bomba da una tonnellata, in pieno centro, per colpire una persona. Hanno ucciso la sua famiglia e 22 altri palestinesi, molti dei quali bambini. Un intero isolato è stato spazzato via. Queste sono uccisioni extragiudiziali». Sharon ha estromesso Arafat dalle trattative. «Gli americani sono il motore del processo di pace. E gli americani hanno accettato una delle richieste israeliane: l'isolamento del presidente Arafat. Sharon, però, non è ancora soddisfatto. Gira per l'Europa ripetendo che, se Arafat non sarà completamente estromesso, non darà applicazione agli accordi. E questa è una violazione totale della road map. L'Unione si è impegnata a non tagliare i rapporti con il Presidente. Ieri Berlusconi mi ha detto che non vuole affatto isolarlo e che verrà presto a trovarlo a Ramallah. Nel nostro nuovo sistema, presidenziale alla francese, Arafat conserva un suo ruolo. Se avessimo scelto il sistema italiano, avrebbe solo funzioni di rappresentanza. Invece è il capo delle forze di sicurezza, ha l'incarico delle relazioni internazionali, come prescrive la Costituzione. È stato lo stesso Arafat ad appoggiare Abu Mazen come premier. Ogni tanto i due leader dissentono su qualche questione, ma la loro visione strategica è la stessa. E vedrà che Arafat non cercherà mai di sminuire il potere di Abu Mazen o, tantomeno, di licenziarlo. Il premier, dal canto suo, farà tutto il possibile per far cessare l'assedio a cui è sottoposto il Presidente». Vuol dire che hanno bisogno l'uno dell'altro? «Certamente. E ne sono entrambi perfettamente consapevoli» Che fare, dunque? «Abbiamo la road map, che è un programma molto dettagliato. In dicembre era già pronto, ma poi hanno deciso di rimandarlo a dopo la guerra contro l'Iraq. Non è un piano perfetto, ma l'abbiamo appoggiato. Dunque, cerchiamo di applicarlo. Il primo passo della road map sono state le due lettere lette dai due leader ad Aqaba. Erano molto semplici. Sharon ha detto: accetto il diritto dei palestinesi a creare un proprio Stato indipendente e sovrano, fianco a fianco di Israele e darò istruzioni alle forze israeliane affinché cessi ogni azione contro i palestinesi. Abu Mazen ha detto più o meno le stesse cose: riconosco il diritto di Israele ad esistere e farò ogni cosa possibile per far cessare la violenza. Poi, a braccio, ha aggiunto molto di più: condanno il terrorismo contro Israele, comprendo le sofferenze degli ebrei... E Sharon? Ha detto solo di essere pronto a concessioni dolorose». Ma quali passi concreti vi aspettate da Israele? «Sharon doveva ordinare il ritiro delle truppe, rilasciare i prigionieri, fermare gli attacchi contro i palestinesi. Invece sta procedendo tutto così lentamente. Noi abbiamo preso l'impegno di fermare la violenza. Che, ammettono gli stessi israeliani, è stata ridotta in misura quasi totale». Qual è il ruolo dell'Europa? «Crediamo che l'Europa possa agire in concerto con gli Stati Uniti. L'Ue ha una intera struttura che si occupa del Medio Oriente, guidata da Javier Solana, e ha forti legami con questa regione. Noi vogliamo vedere l'Europa più attiva, coinvolta e vicina ad ogni elemento del processo di pace. Anche se gli israeliani vorrebbero che sia coinvolta soltanto nelle questioni economiche». La tregua reggerà? «Certo. E reggerà abbastanza a lungo, fino a diventare irreversibile. Perché riuscirà a creare un clima di fiducia nei confronti del processo di pace, in entrambe le comunità. Io sono ottimista».
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