Le richieste di Sharon No ai finanziamenti alle organizzazioni terroristiche palestinesi, più equilibrio dall'Europa e più comprensione per il diritto alla difesa
Testata: Il Foglio Data: 16 luglio 2003 Pagina: 2 Autore: Maria Giovanna Maglie Titolo: «Abu Mazen cede per ora ad Arafat. Sharon all'Unione europea: accontonatelo o falliremo»
Riportiamo l'articolo di Maria Giovanna Maglie pubblicato su Il Foglio mercoledì 16 luglio 2003. Roma. Ariel Sharon va a Londra a far politica, non fa altro da parecchi mesi, eppure Israele continua a essere rimproverato del contrario, esibire muscoli di guerra e non tessere reti diplomatiche, soprattutto con l’Unione europea. A Londra il premier si prende un no dal ministro degli Esteri inglese, Jack Straw, che un po’ sempre sguisciante sulla questione mediorientale è stato, è quello della gaffe del double standard, paragonò l’Iraq con Israele praticamente, un po’ sta sotto botta per le storie delle prove sulle armi proibite realmente possedute da Saddam Hussein, vendite di uranio dal Niger comprese. Poi Sharon incontra Tony Blair, che lo tratta con grande affettuosità, da vero amico, e riservatamente gli dà ragione, anzi non tanto riservatamente, perché lo pubblica anche il Guardian che il premier ha definito Yasser Arafat una "liability", un impedimento, al processo, alla cornice di pace, che va sotto il nome ormai strabusato di road map. Il Times pure riferisce dichiarazioni di alti funzionari del ministero degli Esteri, quello di Straw, i quali spiegano che 1) è chiaro che preferiscono avere a che fare con Abu Mazen piuttosto che con il vecchio rais, uno è affidabile, l’altro no; 2) che temono uno scontro all’Unione europea, dove prevale rigido il criterio dell’Arafat democraticamente eletto dal popolo suo; 3) che sulla questione "vanno a orecchio", non c’è una linea. Che avrà chiesto mai il falco, ormai ex falco, Sharon a Londra, e per voce di Londra all’Europa, da creare imbarazzo? Le solite cose, che si chiudano i finanziamenti alle organizzazioni eversive che si nascondono ma nemmeno tanto sotto i nomi di fondazioni umanitarie, come la parte "sociale" di Hamas; che l’Europa abbia un atteggiamento di maggiore equilibrio nella disputa; che si consideri il "fence", la barriera di protezione che viene costruita da Israele non come un muro né un’acquisizione di territorio, ma per quello che è, una protezione che si potrà rimuovere quando non servirà più.
A tagliare nastri come una regina E su Arafat? Non che Arafat sia eliminato, arrestato, confinato, esiliato, ma solo che lo si accantoni di fatto, rafforzando così il precario potere di Abu Mazen, che è anche il precario potere del suo pupillo, Mohammed Dahlan, che è anche l’impossibilità per i due di occuparsi della sicurezza, disarmando e smantellando le organizzazioni terroristiche. Sulle complicità di Arafat, sulle grandi manovre del rais per organizzarsi potere parallelo, il governo israeliano porta prove, le carte vecchie che documentano la strategia della seconda Intifada, quelle più recenti sui contatti con Hamas e Jihad, con Hezbollah. Ma all’Europa domanda di contribuire a fare di Arafat nei suoi prossimi anni una specie di regina d’Inghilterra, Sua Maestà tutti ci perdoni, uno che va a qualche cerimonia e taglia nastri, che può anche essere occasionalmente ricevuto e incontrato, ma al quale si impedisce di gestire potere e porre condizioni, di ostacolare il processo di pace, perché la storia degli ultimi vent’anni, le numerose occasioni che ha avuto e ha disprezzato, dimostrano che non vuole la pace. Per ora vince lui, Abu Mazen ha firmato un nuovo armistizio, sottoscrivendo un accordo di divisione dei poteri che garantisce ad Arafat di mantenere il controllo sui negoziati con Israele e sulle forze di sicurezza palestinesi. Non lo dicono gli israeliani, ma i palestinesi, spiegando che i due sono destinati a incontrarsi, hanno bisogno l’uno dell’altro, essendo uno credibile all’estero, l’altro in patria, che Abu Mazen non può sopravvivere e non solo politicamente all’accusa di gestire debolmente i negoziati, facendosi guidare per mano da Israele. Da oggi invece si farà guidare da una commissione dell’Olp che fisserà i limiti della mediazione, e che sarà composta in maggioranza da intimi di Arafat. Non solo, Abu Mazen ha accettato che una commissione di sicurezza verifichi il lavoro di Dahlan, il quale dovrà vedersela con nominati da Arafat. Qualunque disputa tra i due leader maximi sarà regolata da una terza commissione assai ristretta: lo speaker del Parlamento, Ahmed Qureia; Saeb Erekat, negoziatore della vecchia stagione e consigliere storico del rais; Akram Haniyeh, altro consigliere e direttore del giornale Al Ayyam; Ghassan Shaka, sindaco di Nablus, della segreteria dell’Olp. Alla fine degli incontri di riappacificazione Abu Mazen ha pure fatto un giuramento di fedeltà ad Arafat. Non era così che sembrava si dovesse fare ad Aqaba, poco più di un mese fa, quando il rais non fu nemmeno nominato nel discorso in arabo del neopremier palestinese. Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare il proprio plauso alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.