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La Repubblica Rassegna Stampa
17.03.2024 Le parole che non hanno voluto ascoltare
Commento di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 17 marzo 2024
Pagina: 1/27
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Le parole che all’Università di Napoli non hanno voluto ascoltare»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/03/2024, a pag. 1/27, con il titolo "Le parole che all’Università di Napoli non hanno voluto ascoltare" l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

La sfida nel Mediterraneo, prima linea della nuova guerra fredda fra democrazie e dittature. Questo doveva essere il tema della conferenza di Maurizio Molinari all'università Federico II di Napoli. Che però non c'è stata perché a Molinari è stato impedito di parlare, al grido di "Fuori i sionisti dall'università!"

Il tema di cui avrei voluto parlare venerdì 15 marzo nell’aula magna della Scuola Politecnica dell’Università di Napoli “Federico II” è il ruolo della cultura nel Mediterraneo conteso perché la sfida fra grandi potenze che si svolge nel nostro mare non è solo strategica ed economica ma investe i valori, che possono unire ma minacciano anche di lacerare.

Per comprendere di cosa stiamo parlando bisogna partire dal fatto che ogni notizia si origina dalla descrizione di fatti evidenti, ha poi anche una lettura analitica e, infine, contiene un segreto. Nel caso del Mediterraneo il fatto più evidente è la contesa strategica, dichiarata, fra le tre grandi potenze del nostro tempo.

La Russia ha aggredito l’Ucraina nel 2022 per impossessarsi di Odessa, avere un grande porto di accesso sui mari del Sud — come San Pietroburgo le consente nel Nord — e riconquistare la dimensione globale che possedeva l’Urss e, prima ancora, lo zar Pietro il Grande.

Putin ha dunque un approccio al Mediterraneo ispirato alle logiche di dominio dei secoli passati e la somma fra basi, installazioni e accordi di sicurezza che oggi può vantare — dalla Siria al Centrafrica — gli suggerisce che sta riuscendo.

Anche la Cina ha bisogno del Mediterraneo per realizzare la Nuova Via della Seta — il proprio progetto globale, sul quale punta per diventare la nazione più ricca del Pianeta — e lo persegue con una rete minuziosa di accordi, dalla Grecia all’Algeria, basata sul mercantilismo più classico: acquista e investe per possedere ciò che le serve, porti o infrastrutture.

Accompagnando il tutto allo sviluppo di nuove tecnologie — dal 5G a TikTok — più avanzate di quelle occidentali. In questo caso la sfida alle democrazie ha tempi più lunghi e mire assai più ambiziose di quelle russe: punta a imporsi entro la fine di questo secolo.

Aggredite da rivali così diversi, le democrazie euroatlantiche presidiano il Mediterraneo come fianco Sud della Nato, con strumenti e tattiche frutto del successo nella Guerra Fredda ma che, evidentemente, sono in difficoltà nel confrontarsi al tempo stesso con la brutalità novecentesca di Vladimir Putin e la più avveniristica competizione hi-tech di Xi Jinping.

Se questa è la descrizione in superficie della contesa in atto nel nostro mare — che ha in palio la leadership globale — l’analisi più approfondita delle mosse di Mosca, Pechino e Washington ci porta a dire che il confronto avviene con metodi di operare assai differenti. Ovvero, i tre contendenti competono nello stesso spazio geografico ma non allo stesso modo.

La Russia, infatti, opera in maniera ibrida: sommando forze armate tradizionali in Ucraina, Georgia, Transnistria per guadagnare e controllare territori; mercenari in Medio Oriente ed Africa per creare basi; ingerenze digitali nei Paesi occidentali per favorire estremisti, populisti e chiunque può generare forte instabilità interna.

La Cina invece punta al controllo di rotte marine e materie prime attraverso accordi commerciali, operazioni finanziarie e gestione di impianti, miniere e porti affiancando tale penetrazione aggressiva a ingerenze digitali finalizzate spesso all’acquisizione di know how occidentale, passando per il finanziamento di atenei, centri di ricerca e luoghi di formazione.

Anche in questo caso, dunque, si tratta di operazioni ibride ma con tipologie diverse da quelle russe. Stati Uniti ed alleati europei invece combattono con modalità più tradizionali, modellate sulla Guerra Fredda: schieramento di navi e aerei per deterrenza o operazioni mirate; aiuti militari ed economici agli alleati; interventi umanitari in zone di crisi; uso esteso dell’intelligence.

Dunque, nel Mediterraneo si svolge una contesa asimmetrica dove i contendenti perseguono interessi e strategie opposte in maniere differenti al punto da trasformare questa regione nel laboratorio di una nuova tipologia di crisi.

Se i conflitti in corso in Ucraina, Georgia, Moldavia, Nagorno-Karabakh, Bosnia, Kosovo, Siria, Libano, Striscia di Gaza, Yemen, Libia, Mali, Ciad, Sudan, Etiopia, Somalia e altrove sembrano impossibili da risolvere, destinati ad aumentare, è perché i contendenti si sfidano ovunque con obiettivi diversi: Mosca li fomenta per indebolire l’Occidente e Pechino li sfrutta per insediarsi dove le serve mentre Usa e Ue tentano di gestirli, controllarli e, se possibile, risolverli in maniera assai tradizionale. E molto spesso prevedibile.

Ma non è tutto perché, come detto, dentro ogni storia c’è un segreto e in questo caso si tratta del fatto che dietro le molteplici differenze fra i tre contendenti c’è una contrapposizione drammatica, profonda, sui valori culturali che rappresentano e promuovono.

Le democrazie euroatlantiche, pur con tutti i loro limiti e difetti, restano fedeli ai principi dello Stato di Diritto che si fondano sull’equilibrio fra i poteri, il sistema della rappresentanza e la tutela dei diritti umani.

La Russia di Putin promuove un’autocrazia basata sul potere assoluto del leader e sulla capacità di incutere paura ad ogni avversario, per offrire a chi le si sottomette una miscela di stabilità e prosperità all’unico prezzo di minori diritti.

E la Cina, invece, presenta un orizzonte radicalmente diverso, dove ciò che conta sono in primo luogo le intese economiche-finanziarie mentre tutto il resto finisce in secondo piano.

Ecco perché quando guardiamo al Mediterraneo allargato — la regione geopolitica che va dalla Manica al Golfo di Guinea, da Gibilterra al Mar Caspio, fino ad Hormuz — dobbiamo fare attenzione non solo alle temibili sfide in corso fra le tre grandi potenze rivali ed i loro alleati, ma anche alla modalità asimmetrica con cui si sfidano ed ai valori culturali conflittuali che esprimono.

Perché questa è la genesi della forte conflittualità che tiene banco attorno a noi e che rischia, ogni singolo giorno, di mettere a repentaglio prosperità e sicurezza del nostro Paese e dell’intera Unione Europea. Facendo circolare fra noi anche i veleni più pericolosi.

Non c’è luogo più cruciale delle Università per tentare di comprendere così tante novità che affollano il nostro mondo, perché quando la Storia accelera mettendo a dura prova la nostra conoscenza il primo imperativo è mettersi a studiare.

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