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Il Foglio Rassegna Stampa
16.07.2003 Rapporti Israele-Turchia-Usa
un utile aggiornamento

Testata: Il Foglio
Data: 16 luglio 2003
Pagina: 2
Autore: Carlo Panella
Titolo: «Ankara è filoisraeliana sempre, filoamericana a intermittenza»
Riportiamo l'articolo di Carlo Panella pubblicato su Il Foglio mercoledì 16 luglio 2003.
Istanbul. Le vendite della nuova Kola Turka, nata come sfida aperta all’America, non vanno affatto bene e anche questo complica il già intricato rapporto tra Washington e Ankara. Il lancio della sfida sul terreno insidioso delle bibite – iniziato in tempi di pieno accordo tra i due paesi – ha via via assunto sempre più rivendicate connotazioni antiamericane. La Kola Turka infatti prodotta dal gruppo Ülker, che fa capo a un grande imprenditore che fiancheggia il partito islamista al governo e non quindi un caso che i suoi spot televisivi rivendichino, sia pure con garbata ironia, la superiorità turca su quella americana anche sul terreno delle bevande rinfrescanti.
Ma la Turka Kola non sta riuscendo a insidiare né la Coca, né la Pepsi Cola.
L’andamento oscillante e velleitario della sfida turco-americana sul terreno delle bibite entra così in piena sintonia col quadro complessivo di un paese che è letteralmente sospeso per aria. In preda a un’inflazione da Repubblica di Weimar (al cambio per 100 euro, vengono dati 140 milioni di lire turche), l’elettorato ha deciso di spingere fino in fondo il paradosso e ha affidato al
partito islamico di Recep Tayyp Erdogan il compito di attuare le riforme che permettano alla Turchia di entrare nell’Unione europea, mentre l’esercito continua la sua guerra contro le formazioni del Pkk che fu di Abdullah Ocalan (una decina di morti in scontri a fuoco quest’anno, quattro i morti a Bingol l’11 luglio) e gli Stati Uniti si chiedono oggi se in Anatolia possono contare su un alleato o soltanto su un simpatizzante. Di certo gli americani non sono amati nel paese (indice di gradimento negativo dell’84 per cento), ma emerge anche il nuovo paradosso del più grande paese islamico del Mediterraneo che è tanto antiamericano quanto quanto è filoisraeliano. La visita ad Ankara dell’8
luglio del presidente israeliano Moshe Katsav ha infatti ulteriormente rafforzato già profondi legami e si è concretizzata in un ulteriore accordo di collaborazione militare tra i due eserciti.
In questo contesto è esploso l’incidente del 5 luglio, quando un reparto dell’esercito americano ha arrestato 11 ufficiali e sottoufficiali turchi, di stanza nel distretto di Suleaymaniya in Iraq per prevenire le infiltrazioni
dei guerriglieri del Pkk, accusandoli di aver ordito un complotto per uccidere
il governatore curdo di Kirkuk. Incidente chiuso ieri, con un reciproco "rincrescimento" per l’accaduto (senza nessuna scusa americana, nonostante il complotto si sia rivelato una bufala) e che assume sempre più
le parvenze di una provocazione giocata a freddo dall’esercito americano, per obbligare Ankara a prendere atto che i militari turchi in Iraq sono "persone non grate".

La tentazione di Erdogan: Dervis nel governo
I titoli e gli articoli del Turkish Daily News, il quotidiano in lingua inglese di Ankara, tradiscono bene altalena che contrappone rivendicazione d’orgoglio nazionale, indignazione per l’offesa subita a Sulaimaniya,
necessità assoluta di mantenere comunque un’alleanza salda con gli Stati
Uniti, anche per uscire dalla crisi economica, timori sempre meno motivati provenienti dall’Iraq (tutti gli allarmi della vigilia di un contagio curdo verso l’Anatolia si sono rivelati infondati) e complessiva mancanza
di una chiara opzione strategica.
Oggi a Istanbul circolano voci autorevoli che attribuiscono addirittura a Erdogan la tentazione di fare entrare nel governo il repubblicano Kemal Dervis, già direttore della Banca mondiale e leader dell’opposizione parlamentare, per riaprire una porta di comunicazione con Washington. E’ certo
che una grande parte del mondo degli affari turco è preoccupata ("Ankara sottostima la rabbia di Washington", titolava un articolo sulla comunità industriale turco-americana il 9 giugno il Turkish Daily News), che Erdogan tenta di aggirare l’ostacolo offrendo in continuazione collaborazione per la
ricostruzione dell’Iraq, assicurazioni sul fatto che gli Stati Uniti sono "il partner strategico" del paese e minimizzando la frattura consumatasi a marzo, facendo intendere che la responsabilità è anche dell’ambasciatore Robert Pearson (che infatti ora Washington ha deciso di rimuovere) "che può non avere capito bene".
Un quadro fluido e un po’ torbido come la sfortunata Kola Turka che però si chiarirà, come ha anticipato Richard Perle, quando la Turchia avrà finalmente trovato una sua collocazione a fronte delle due crisi che stanno crescendo ai suoi confini, in Siria e in Iran. Washington si aspetta che Ankara faccia chiare e dure pressioni su Damasco come su Teheran per obbligare alla ragione, per vie pacifiche, due regimi che continuano a finanziare il terrorismo.
Sinora la Turchia si è defilata e ha tentato furbescamente quanto inutilmente di patteggiare il proprio atteggiamento con un indurimento euroamericano nei confronti dei curdi turchi del Pkk. Nei prossimi mesi però il restringimento dei margini di ambiguità e il precipitare della crisi di regime, soprattutto a Teheran, non le permetteranno più molta manovra.
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