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Antonio Donno
Israele/USA
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Biden o Trump? Non è una grande alternativa 08/03/2024

Biden o Trump? Non è una grande alternativa
Analisi di Antonio Donno


Alle elezioni americane del 5 novembre in gara due politici di non eccelse qualità

Le prossime elezioni presidenziali del 5 novembre vedranno il confronto tra Joe Biden, democratico, e Donald Trump, repubblicano, ambedue vecchie conoscenze per l’elettorato americano. Il fatto che la Corte Suprema abbia dichiarato Trump eleggibile è stata una notizia poco gradita da Biden, ed è comprensibile. Dopo la schiacciante vittoria su Nikki Haley, Trump ha rafforzato la sua posizione. Ora occorrerà vedere se i sostenitori di Haley voteranno Trump o si asterranno. Alcuni osservatori sostengono che potrebbero votare per Biden. D’altro canto, non è imprevedibile che la quota degli elettori democratici che ha contestato Biden per il suo sostegno, o presunto tale, a Israele, si astengano dal votare il candidato democratico. In questo caso, non voterebbero mai per Trump. Se quest’ultimo caso dovesse avvenire, il successo potrebbe arridere a Biden.
      Al di là di tutte queste controverse ipotesi, un dato è certo: le elezioni americane del 5 novembre vedono in gara due politici di non eccelse qualità, come le presidenze dell’uno e dell’altro hanno dimostrato, soprattutto nel campo delle relazioni internazionali e, in particolare, nelle vicende del Medio Oriente e nei rapporti con Israele. Durante il suo mandato, oltre che approvare gli “Accordi di Abramo” e cancellare quelli stipulati da Obama con l’Iran, la politica mediorientale dell’Amministrazione Trump è stata nulla. Benché Mike Pompeo avesse dichiarato che la politica di Trump verso la regione avrebbe assunto una direzione completamente diversa rispetto al passato, nella sostanza nessuna novità è emersa nei quattro anni del mandato repubblicano.
      Nel caso del democratico Biden, nulla di positivo è emerso nel campo della politica estera americana. Agli inizi del suo mandato, Biden decise di ritirare le truppe americane dall’Afghanistan in tempi rapidi, abbandonando il Paese nelle mani dei talebani. Un’operazione criticata da molti e per vari motivi. Innanzitutto, quel ritiro ha dimostrato la difficoltà di Washington di mantenere il controllo di un Paese circondato dai nemici degli Stati Uniti, cioè la Russia e la Cina, evidenziando una debolezza strategica figlia delle politiche rinunciatarie di Obama. In secondo luogo, di conseguenza, gli Stati Uniti procedono nella rinuncia a svolgere un ruolo primario nel sistema politico internazionale, lasciando campo libero al duo Russia-Cina.
    Eppure, sia nel mandato di Trump, sia in quello di Biden, un punto cruciale della scacchiera mediorientale non è stato accuratamente approfondito: le relazioni con l’Arabia Saudita, la cui posizione strategica tra il Golfo Persico e il Mar Rosso è fondamentale per gli interessi dell’Occidente. Le problematiche odierne lo stanno a dimostrare in modo ancor più lampante, se si tiene conto del ruolo molto negativo per le economie occidentali svolto dagli Houthi filo-iraniani sulle coste dello Yemen, controllato anch’esso dall’Iran, che si affacciano sull’ingresso del Mar Rosso (Bab el-Mandeb) e più avanti. Trump e Biden si sono estraniati dallo svolgere una politica attiva nella regione e solo ora l’azione degli Houthi ha costretto Biden ad affrontare il problema. In sostanza, gli Stati della fascia africana del Mar Rosso (Egitto, Eritrea, Gibuti, Somalia) rappresentano posizioni strategiche da tempo trascurate dagli Stati Uniti, dove è sempre più presente la Cina e, in misura crescente, la Russia.
     La critica che Biden muove a Israele nel suo impegno vitale nella Striscia di Gaza è oggi un altro fattore di debolezza internazionale degli Stati Uniti. Di fronte ai terribili eventi del 7 ottobre, Washington, pur avendo ripetutamente negato un voto favorevole alla cessazione delle ostilità in seno al Consiglio di Sicurezza, è ambigua nelle sue relazioni con Israele. Una porzione notevole dei democratici americani, come detto, critica Biden e questo sta mettendo in difficoltà l’attuale presidente in vista delle elezioni del 5 novembre. L’esercito israeliano è alle porte di Rafah e sta per scatenare l’ultima offensiva contro Hamas per cancellare il gruppo terroristico da Gaza. In questo caso, è difficile dire quale sarebbe la posizione americana nei confronti dello Stato ebraico. D’altro canto, Israele deve – deve – completare ciò che ha iniziato. Ne va del suo prestigio e della sua stessa esistenza.

Antonio Donno
Antonio Donno


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