Vi spiego perché il termine Palestina dà i brividi Analisi di Benjamin Kerstein
Testata: israele.net Data: 03 marzo 2024 Pagina: 1 Autore: Benjamin Kerstein Titolo: «Vi spiego perché il termine Palestina dà i brividi»
Vi spiego perché il termine Palestina dà i brividi
Analisi di Benjamin Kerstein, da Israele.net
Benjamin Kerstein
Uno degli sviluppi più irritanti e francamente offensivi sulla scia della guerra tra Israele e Hamas è la diffusione contagiosa nel discorso pubblico del termine “Palestina” in slogan come “Palestina libera” e in quello apertamente genocida di “Palestina libera dal fiume al mare”, e come moltissime persone altrimenti ben intenzionate usino il termine “Palestina” senza pensarci due volte.
A prima vista, può sembrare che tutto questo sia relativamente poco grave. Per molti, “Palestina” indica semplicemente una regione del mondo oggetto di una contesa. E’ certamente vero che, invece, gli attivisti lo usano in modo tendenzioso e urtante, cosa che peraltro succede per la maggior parte della retorica politica. Perché non lasciare che gli ultras si sollazzino con i termini di cui amano riempirsi la bocca?
Perché sarebbe un’illusione: tranquillizzante, ma pur sempre un’illusione. La verità è che “Palestina” è un termine da brividi, il prodotto diretto di una storia di violenza genocida che risale a circa 2.000 anni fa.
Sebbene sia stato utilizzato fin dall’antichità come riferimento generico ad alcune parti del Levante, il termine “Palestina” divenne la designazione ufficiale di un certo territorio delimitato solo nel II secolo e.v. (dopo Cristo) come apice di una guerra di sterminio condotta contro gli ebrei.
Nel 132 e.v. gli ebrei di Giudea insorsero contro i loro oppressori Romani per la seconda volta in un secolo. Nelle fasi iniziali di quella che sarebbe diventata nota come la rivolta di Bar Kochba, i Romani ebbero la peggio. Quindi le legioni modificarono la loro strategia. Invece di concentrarsi sulla repressione dei ribelli, decisero di distruggere l’intera popolazione ebraica nella Terra d’Israele.
I risultati furono terrificanti. Lo storico antico Cassio Dione scrisse degli ebrei: “Cinquanta dei loro avamposti più importanti e 985 dei loro villaggi più conosciuti furono rasi al suolo, 580.000 uomini furono uccisi nelle varie incursioni e battaglie e il numero di coloro che morirono a causa di carestia, malattie e incendi fu incalcolabile. Così, quasi tutta la Giudea fu resa deserta”.
L’antico storico cristiano Eusebio confermò il racconto di Cassio Dione, scrivendo succintamente: “Gerusalemme fu completamente distrutta e la nazione ebraica fu massacrata a grandi gruppi per volta, con il risultato che furono addirittura espulsi dai confini della Giudea”.
Il Talmud afferma sobriamente: “Per sette anni i gentili [i non ebrei] fecondarono le loro vigne con il sangue d’Israele”.
Fu solo allora che alla Terra d’Israele venne ufficialmente imposto il nome di “Palestina”, in sostituzione del termine “Giudea”. Evidentemente i Romani intendevano stabilire un concetto ben chiaro: la Giudea, affermavano, è morta, ed è morta perché il suo popolo ha osato sfidare il potere di Roma. La parola “Palestina” fu, in pratica, l’ultimo chiodo della crocifissione di un popolo. Fu un genocidio.
Lo stesso vale oggi, ed è dimostrato dal semplice fatto che uno stato-nazione sovrano chiamato “Palestina” non esiste né è mai esistito: usare quel termine non è una descrizione di fatto, è una dichiarazione di intenti. Cioè, le persone si riferiscono alla Terra d’Israele chiamandola “Palestina” per affermare che il paese reale che c’è in quella terra – lo stato ebraico – non dovrebbe esistere e alla fine, grazie ai loro sforzi, smetterà di esistere.
In questo senso “Palestina” non è un termine geografico, ma un’arma. Viene usato per implicare che qualsiasi paese nella Terra d’Israele diverso dalla “Palestina” (araba e islamica) è così illegittimo che il suo stesso nome non può essere pronunciato. Invece deve essere sostituito, secondo il classico stile imperialista, con un termine gradito agli stranieri.
Certo, pur essendo di nascita piuttosto recente, il nazionalismo palestinese come lo conosciamo oggi è un nazionalismo autentico, e coloro che vi aderiscono credono sinceramente che la Terra d’Israele sia una “Palestina” sulla quale hanno un diritto totale e assoluto.
Ma l’identità nazionale palestinese di oggi, spiace dirlo, è indissolubilmente legata alla lunga tradizione del suo nome, che risale all’antica Roma, fatta di espropriazione e annientamento degli ebrei. Questo è semplicemente ciò che il termine “Palestina” ha sempre significato: negazione dei diritti ebraici, della storia ebraica, dell’esistenza ebraica.
Tutto questo può sembrare un’inutile pignoleria. I termini e gli slogan politici vanno e vengono, molti sono falsi o semplicemente sciocchi e non dovremmo spendere troppe energie per confutarli, se non altro perché tanto ne sorgerà sempre un altro in breve tempo.
Purtroppo non è così. Decostruire il termine “Palestina” non è una pignoleria ma un imperativo morale assoluto, perché il lungo e amaro retaggio del termine “Palestina” fornisce una lezione oggettiva su come avvengono i genocidi. Ci insegna che tali atrocità non accadono mai spontaneamente. Il copione viene sempre redatto in anticipo. Le parole devono precedere la sanguinosa opera di sterminio. La storia dell’umanità è disseminata di queste parole infernali. “Palestina” è una di queste.