Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Quando tace il terrorismo si sente la gente ragionare
Testata: Corriere della Sera Data: 12 luglio 2003 Pagina: 1 Autore: Khalil Shikaki Titolo: «Una speranza da Sharon ma l'America ora ci aiuti»
Khalil Shikaki, palestinese, docente di Scienze politiche all'università di Bir-Zeit e direttore del Centro studi politici di Ramallah, firma un pezzo dal titolo "Una speranza da Sharon ma l'America ora ci aiuti", che il Corriere pubblica in prima pagina.L'autore si chiede come l'America può aiutare i palestinesi. Noi risponderemmo bloccando i finanziamenti che finiscono nelle tasche dei terroristi. Forse Shikaki avrebbe potuto scrivere un pezzo dal titolo " Una speranza da Sharon ma i terroristi ora depongano veramente le armi" o "Una speranza da Sharon ma ora Arafat si faccia davvero da parte". Cosa devono ancora fare l'America e Sharon per dimostrare le loro intezioni positive? E poi basta con lo schieramento America, Sharon contro Abu Mazen e dall'altra parte Arafat e Hamas, Jihad e i gruppi terroristici. Si rischia così di dare a noi lettori un idea semplicistica del conflitto. Meglio distinguere: c'é un Premier di un paese democratico, Israele, eletto da un popolo di uno Stato. C'é un paese democratico: l'America; con un Presidente eletto democraticamente che sta "aiutando" il processo di pace. C'è Abu Mazen eletto alla "carlona" dallo stesso Arafat che oggi, ma sin dall'inizio, desidera il suo fallimento. Ci sono i terroristi. Ci sono due popoli, quello israeliano e quello palestinese che, almeno ce lo auguriamo, vogliono la pace. Ma vediamo alcune affermazioni di Shikaki.
Su una cosa, Sharon dice sicuramente la verità: il nuovo premier palestinese è costretto ogni giorno a dover dimostrare al mondo di potercela fare, d'avere una propria forza politica. Non è facile, per almeno due ragioni. La prima è che Abu Mazen si trova, ogni giorno di più, a resistere agli attacchi di Arafat: Yasser prova, nei confronti del suo ex delfino, un sentimento misto di gelosia e di paura (se Abu Mazen ce la fa in pochi mesi, come può il vecchio leader accettare di passare alla storia come l'uomo che faceva fallire tutti i processi di pace?). Il secondo motivo, meno emozionale e più politico, sta nelle riforme interne che il governo palestinese deve avviare, per assicurarsi la fiducia della gente.
Le vogliamo ricordare quali sono queste riforme interne? Smantellamento delle infrastrutture del terrorismo, disarmo totale dei terroristi, fine degli attentati contro Israele, fine della corruzione in seno ai palestinesi, fine dell'uso del denaro che arriva dall'Unione Europea, e non solo, e poi viene utilizzato per l'incitamento all'odio. Lo vogliamo dire che i palestinesi devono iniziare una nuova vita dove i figli si amano, si mandano a scuola e si lasciano liberi di giocare per le strade, invece di invitarli, già negli asili, nei testi scolastici, fin da piccoli, a uccidere il "nemico sionista" e a lanciare pietre, a impugnare fucili giocattolo, per poi arrivare, nel tempo, a farsi saltare in aria sugli autubus israeliani?
Sharon vuole aiutare Abu Mazen, dunque. Come? Il capo del governo palestinese può avere successo solamente se gli israeliani attueranno tutte le promesse di smantellamento e di congelamento delle colonie, se introdurranno facilitazioni per i palestinesi, se libereranno i prigionieri politici. Shikaki elenca tutto quello che gli israeliani devono fare, senza elencare mai quello che i palestinesi devono fare. Come se il raggiungimento della pace dipenda solo da quello che il "cattivo e convertito al buonismo" Sharon farà. Per il palestinese gli israeliani devono smantellare e congelare le colonie, introdurre facilitazioni per i palestinesi, liberare i prigionieri politici. Poi? Forse dovrebbero anche rinunciare a Gerusalemme, riaprire all'ingresso dei profughi palestinesi, aumentare le cittadinanze israeliane per gli arabi ( oggi ci sono un milione di arabi israeliani), smettere di far fare, 3 anni per i ragazzi, 2 anni per le ragazze, il durissimo militare ai soldati, distruggere i carri armati, gli aerei, aprire le case e dire: eccoci, siamo pronti. Entrate e prendetevi la nostra terra; noi siamo abituati. Torneremo alla schiavitù egiziana e a girare nella diaspora. Come se il destino del mondo dipendesse da un paese, Israele, più piccolo della Corsica e con un popolo di 6 milioni di abitanti. Meno di Roma.
L’incontro probabile che a fine mese ci sarà a Washington tra Bush e Abu Mazen, rafforzerà sicuramente la posizione di quest'ultimo. Nonostante abbia perso parte della popolarità fra i palestinesi, infatti, i sondaggi dicono che il premier viene comunque appoggiato dalla maggioranza nei Territori.
E quì nasce spontanea una domanda: perché, secondo i sondaggi, Abu Mazen avrebbe perso la fiducia del popolo palestinese, mentre, sempre secondo i sondaggi, Sharon non é in calo tra il popolo israeliano? L'obiettivo dei due Premier é lo stesso: la pace. I primi quindi non hanno fiducia in Mazen che, dopo 50 anni di guerre, ha aperto alla tregua. Cosa vogliono allora? Forse i palestinesi non sono ancora pronti ad avere un loro Stato, anzi, pur di non accettare e voler vedere distrutto lo Stato d'Israele, preferiscono l'odio, i territori, la guerra; preferiscono vedere la gente morire e i loro figli farsi saltare in aria.
Non c’è dubbio che, senza l’aiuto degli americani, il progetto di pace sarebbe già morto in culla: la visita alla Casa Bianca è il segnale che si vuole fare sul serio, che arriveranno aiuti e sostegno. A proposito di soldi: nel suo viaggio a Londra, è possibile che Sharon parli dei finanziamenti Ue a Hamas, che proprio gli inglesi con gli italiani vorrebbero ridurre o addirittura tagliare. Se gli europei chiudessero i rubinetti a Hamas e alla Jihad islamica, in questa fase sarebbe un grave errore politico. Le due organizzazioni hanno accettato la hudna , la tregua islamica, e in molte zone sono le sole fonti d'assistenza sociale: smantellarle, significherebbe creare un pericoloso spazio vuoto nelle scuole, negli ospedali, ovunque l'ala politica di Hamas opera. I palestinesi considererebbero la scelta degli europei un atto contro la pace.
L'ala politica di Hamas non opera solo sul sociale. Buona parte deii soldi che riceve finiscono in terrorismo ed'é proprio quando il denaro incrementa, ad esempio, le tasche dell'educazione, che un bambino inizia il suo percorso verso il martirio e l'odio d'Israele. I libri di testo e le scuole palestinesi sono delle vere e proprie fucine di terroristi. Se l'Europa, insieme all'America, decidessero, come dice Shikaki, di "chiudere i rubinetti alla Jihad e ad Hamas", non farebbero un danno, ma un grosso favore ad Abu Mazen. Lo aiuterebbero a dare una bella stroncata al terrorismo e portare il suo governo ad investire nelle infrastrutture e nella crescita e nel benessere del popolo. Fino ad oggi ci hanno pensato Arafat e i terroristi.In che modo ? Cosa hanno prodotto? Nulla, se non fame, povertà. Hanno ridotto una madre palestinese con 10 figli a perderne uno, vederlo partire e non tornare. Quel ragazzo si deve far saltare in aria e morire per uccidere più israeliani innocenti possibili. Se questo accadrà allora i 9 figli, di famiglia povera, potranno vivere, perchè riveveranno soldi, quei soldi che servono per non crepare di fame. Questo era il passato ed'è il presente. Il popolo può cambiare il futuro. Solo scegliendo la pace.
Credo che Sharon si sia messo in viaggio anche con l'idea di parlare d'un futuro ingresso di Israele nell'Unione europea. Noi palestinesi non abbiamo nulla in contrario, se ci verranno lasciati liberi tutti i nostri territori, se davvero finirà l'occupazione: agli israeliani, in quel caso, non potremo che augurare ogni bene.
I palestinesi dovrebbero, prima di affermare che é Israele a dover concedere loro la libertà, liberarsi del nemico: chi, tra la loro gente, non vuole la pace e preferisce la strada del terrore. Il processo é un altro: quando finirà il terrorismo palestinese, quando i gruppi terroristici verranno annientati, quando i palestinesi abbandoneranno pregiudizi, odio, quando i figli studieranno la storia, quella vera, e non la guerra, solo allora, loro stessi, vedranno il sole. Israele é pronta a guardare l'alba, da Gerusalemme, con una mano sul cuore, con le lacrime nell'anima. Quando questo accadrà vedremo, mano nella mano, un bambino palestinese giocare con un bambino israeliano.
Khalil Shikaki ha dimostrato, almeno in questo pezzo, una certa obiettività. In alcuni passi siamo rimasti perplessi; in altri abbiamo apprezzato le sue posizioni ricche di ottimismo e di buone parole verso Israele. Nel suo scritto non é presente odio. Lui é un palestinese e non é facile, anche solo per un senso di appartenenza al proprio popolo, essere equilibrati. Complimenti a Shikaki, quindi. Un palestinese che difende il suo popolo, non accusandone un altro, con i suoi pregiudizi, ma con un ottimismo e con un idea ben precisa che "per arrivare alla pace é necessario costruire ponti tra i popoli". Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare la propria opinione alla redazione del Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.