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La Stampa Rassegna Stampa
12.07.2003 Un buona intervista che informa in modo equilibrato
Israele-Italia-Vaticano-Europa

Testata: La Stampa
Data: 12 luglio 2003
Pagina: 9
Autore: Emanuele Novazio
Titolo: «Shalom: Roma convinca l'UE ad essere più equilibrata»
Il ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom è stato intervistato dalla Stampa. Riproduciamo il testo integralmente.
MINISTRO Silvan Shalom, questa è la sua prima visita a Roma. Cosa si aspetta Israele dalla presidenza italiana della Ue?
«Sono lieto che alla guida dell’Ue ci sia un Paese con un approccio al conflitto israelo-palestinese più equilibrato di tanti altri: è molto importante che l’Italia spinga l’Europa a un atteggiamento analogo. Se l’Europa vuole avere un ruolo nel processo di pace deve mostrare un maggiore equilibrio».
Fra Israele e l’Europa si è aperta una crisi di fiducia alla quale ha contribuito il problema Arafat. L’Ue si è divisa: Berlusconi ha rifiutato di incontrarlo, a differenza di altri leader europei. L’Italia potrà aiutare a superare questa crisi?
«E’ tempo che l’Europa prenda una decisione strategica e abbandoni Arafat: negli ultimi 10 anni è stato un ostacolo alla pace e fa di tutto perchè Abu Mazen fallisca. La comunità internazionale deve prenderne coscienza. Ma nell’Ue emergono anche comportamenti positivi: non si collega più lo sviluppo delle relazioni con Israele allo sviluppo del processo di pace con i palestinesi. E’ un passo importante».
Dimenticare Arafat - come sta facendo Berlusconi - è la condizione per ristabilire la fiducia fra Europa e Israele?
«Siamo molto incoraggiati dal comportamento di Berlusconi. Ma altri leader Ue - ceco, ungherese, bulgaro, slovacco - ne seguono l’esempio».
Lei considera la politica mediorientale di Berlusconi equilibrata, ma alcuni partner europei la definiscono troppo filoisraeliana.
«Berlusconi ha un approccio molto equilibrato: appoggia la road map. Tutti coloro che l’appoggiano dovrebbero chiedere ai palestinesi, come fa Berlusconi, di smantellare le infrastrutture delle organizzazioni terroristiche e porre fine all’incitamento alla violenza. Arafat non è riuscito a raggiungere l’obiettivo quando era al potere: come può riuscirci adesso?»
Israele si aspetta dalla presidenza italiana anche un sostegno nei rapporti con i Paesi arabi?
«L’Ue può svolgere un ruolo chiave per spingerli a rimandare gli ambasciatori in Israele. Ma deve anche forzare i siriani a chiudere i campi di addestramento dei terroristi, smantellare i quartier generali delle loro organizzazioni, porre fine all’occupazione del Libano e interrompere le spedizioni di armi che arrivano dall’Iran attraverso l’aeroporto di Damasco e raggiungono gli Hezbollah nel sud del Libano. Da quando li ricevono dal Libano gli Hezbollah hanno raddoppiato i missili».
L’Italia considera la pace in Medio Oriente in un contesto regionale, e insiste perchè vi siano coinvolti Libano e Siria. Il ministro Frattini parla di una road map parallela. Concorda?
«Le stesse richieste che facciamo ai palestinesi vanno fatte ai siriani: ma per il momento ci stiamo concentrando con i palestinesi».
I palestinesi chiedono la liberazione di tutti i prigionieri. La disputa fra Abu Mazen e Al Fatah, che ha spinto il premier a minacciare le dimissioni, è legata a questo problema. Non rischiate di indebolire il vostro interlocutore?
«La liberazione dei prigionieri è un gesto di buona volontà, la road map non ci obbliga a farlo. Li liberiamo per incoraggiare Abu Mazen, ma chi esce di prigione non deve avere le mani insanguinate: il mondo lo deve capire, come lo capisce la leadership italiana».
Il ‘muro’ che state costruendo intorno ai Territori non è un segnale negativo all’opinione pubblica europea?
«Lo costruiamo per impedire ai terroristi di colpirci: la stessa barriera esiste da anni a Gaza, e da Gaza non entrano terroristi in Israele. La barriera non è un problema umanitario ma politico: gli Usa hanno chiesto ai palestinesi se l’avrebbero accettata lungo la ‘linea verde’, il confine del ‘67. Hanno risposto di sì».
Berlusconi vuole Israele nella Ue. Un obiettivo realistico?
«Stiamo negoziando uno status speciale. Israele del resto è molto vicina all’Ue, è a soli 32 minuti di volo da Cipro, e il 50% dei suoi cittadini è di origine europea. Ma facciamo un passo dopo l’altro: siamo osservatori al Consiglio d’Europa, possiamo diventarne membri a pieno titolo».
Oltre a Berlusconi e Frattini, lei ha incontrato anche Fini. Sarebbe bene accolto in Israele?
«L’Italia è un ottimo amico di Israele e facciamo di tutto per sviluppare le nostre relazioni. Le visite, dall’una e dall’altra parte, sono molto importanti».
Lei è stato anche in Vaticano. Sono maturi i tempi per una completa normalizzazione dei rapporti?
«E’ quel che ho chiesto al primo ministro monsignor Sodano. A 10 anni dall’avvio delle relazioni diplomatiche è molto importante firmare gli accordi su materie particolari. Siamo più vicini di quanto non lo siamo mai stati».
Abba Eban diceva che ‘i palestinesi non perdono mai l’opportunità di perdere un’opportunità’. E’ ancora vero?
«Per ballare il tango bisogna essere in due. Ma Abu Mazen è più positivo di Arafat, è diverso anche se per decenni è stato il suo vice: si è reso conto che con l’Intifada non si può ottenere niente. Certo, siamo solo alla fase uno della road map, e la comunità internazionale deve spingere i palestinesi a smantellare le infrastrutture dei terroristi. E’ il cuore del problema, perchè se i terroristi mantengono la capacità di attaccare Israele possono far fallire il processo di pace. Ed è questo a preoccuparci: dal punto di vista del terrorismo la situazione è più o meno quella che era prima dell’avvio della road map».






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