Testata: La Stampa Data: 18 febbraio 2024 Pagina: 7 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Il coraggio di Yulia Navalnaya e la sua missione contro Putin»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/02/2024, a pag. 7 con il titolo "Il coraggio di Yulia Navalnaya e la sua missione contro Putin", il commento di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
Quando Yulia Navalnaya è salita sulla tribuna della conferenza per la sicurezza di Monaco, vestita in un austero completo nero, i capelli biondi raccolti sulla nuca, il trucco troppo perfetto, come se l’avesse appena rifatto per nascondere le lacrime che ha negli occhi, sapeva che gli sguardi di tutto il mondo erano puntati su di lei. Il momento in cui ha detto, con voce rotta, «io voglio che Putin, tutta la sua cerchia, i suoi amici, il suo governo paghino per quello che hanno fatto, al nostro Paese, alla mia famiglia, a mio marito», aveva una carica di rabbia e dolore che l’ha reso subito storia. La promessa di vendetta di una donna che ha visto suo marito avvelenato, sprofondare in un coma dal quale rischiava di non emergere più, e che nonostante questo l’ha accompagnato infllessibile a tornare al suo calvario nel Gulag, non è soltanto un grido di disperazione: Yulia ne emerge come la candidata più naturale a prendere il posto del marito, legittimata dal suo lutto e dal suo sacrificio.
La sera stessa dell'annuncio della morte del dissidente russo, Yulia ha scelto di incontrare, tra tutti gli ospiti di Monaco, proprio Sviatlana Tikhanovskaya, che nel 2020 ha vinto le elezioni contro il dittatore berarusso Aleksandr Lukashenko, che aveva messo in carcere suo marito Sergey, il blogger soprannominato “il Navalny di Minsk”. L’abbraccio tra le due è un momento di toccante solidarietà femminile e Sviatlana twitta «Sento il tuo dolore di moglie e di madre». Ma sembra anche una incoronazione politica, un simbolo non casuale. Quella della rivoluzione dell'agosto 2020 – lo stesso agosto in cui Navalny veniva avvelenato dai servizi segreti russi in Siberia – era una rivolta al femminile, guidata da tre donne che correvano al posto degli uomini incarcerati, e il prodigio della trasformazione di Tikhanovskaya, una ex insegnante d'inglese, in politica riconosciuta dalle cancellerie occidentali è una lezione da imparare. Non è un caso che tutti cercano Yulia, che Ursula von der Leyen la abbracci, e che Francis Fukuyama, il filosofo politico americano famoso per aver profetizzato dopo il collasso del comunismo una “fine della storia” che non si è avverata, la incoroni sulle pagine del Financial Times come l'erede naturale del marito: «Navalnaya è una donna di grande forza di volontà, anche se sarà molto molto difficile. Navalny aveva un senso dell’umorismo unico, era capace di parlare con la gente comune come molti altri oppositori non riuscivano a fare, resta da vedere se lei ne sarà capace».
Quello che alla 47enne signora Navalnaya non sembra mancare invece è la determinazione. Lo stesso Alexey, nell’intervista a due che avevano rilasciato dopo l’avvelenamento al famoso blogger Yuri Dud, sosteneva che era lei la radicale della coppia. Non aveva avuto esitazioni a denunciare i nemici di suo marito in termini molto poco diplomatici, e a esigere da Putin in persona il permesso a imbarcare Navalny in coma sull'aereo che l'avrebbe portato in Germania. «Yulia, mi hai salvato», ha scritto l’oppositore dopo essersi svegliato, in un post su Instagram che la Novaya Gazeta ha definito «una svolta nella politica russa». Nessun politico moscovita, tranne Mikhail Gorbaciov, aveva esibito così apertamente l’amore per la moglie: l’immagine di Navalny che formava con le dita un cuoricino nel momento in cui veniva annunciata la sua condanna alla prigione, per costringere Yulia a sorridere tra le lacrime, è un momento entrato nella storia quanto l’ultimo bacio che lei gli da prima di vederlo ammanettato. Ma, memore dell’impopolarità di Raisa, in una cultura tradizionalista che bacchetta le consorti troppo presenti, la laureata alla prestigiosa Accademia dell’economia Plekhanov ha preferito indossare un’immagine più tradizionale, in quelle foto che avevano reso i quattro Navalny, biondi, belli e felici, un tormentone dei social. Il fidanzamento a 22 anni, durante una vacanza in Turchia, le uscite in pizzeria, gli scherzi con Daria e Zakhar, tutto doveva dare l’idea della normalità, di una comune famiglia del ceto medio moscovita.
Con l’avvelenamento e l'arresto del marito, Yulia aveva mostrato al mondo per la prima volta il suo volto spaventato e arrabbiato. L’aveva spinto ad agire, l’aveva accompagnato nel ritorno in Russia, ridendo e scherzando durante il volo per Mosca, pur sapendo che alla fine Alexey andava incontro alla prigione, era andata a trovarlo in carcere, da brava “moglie del decabrista”, un modello ispirato alle contesse e alle principesse che avevano seguito nel 1825 in Siberia i mariti condannati dallo zar. Forse anche per proteggere i figli, portati al sicuro all’estero, dopo il primo breve arresto in piazza aveva però fatto un passo indietro nell'ombra, quando sembrava che fosse la sostituta più logica al timone del movimento di protesta. Anche nelle apparizioni pubbliche cercava di parlare solo dei suoi sentimenti, come alla tanto discussa apparizione agli Oscar nel 2023, contestata non solo per lo scollatissimo abito rosso, ma soprattutto per la scelta di evocare il calvario di suo marito - Stay strong my love, sii forte amore mio, aveva detto ricevendo la statuetta per il documentario su Navalny – senza menzionare la guerra in Ucraina.
Ora, che non ha più ostaggi dietro le sbarre, Yulia potrebbe ricordare che non è un personaggio che vive di luce riflessa: non solo ha un milione di follower su Instagram, non solo ogni suo gesto diventa subito trend, come era successo con la felpa rossa che indossava nell'aula del tribunale, ma ha gestito per mesi i social del marito quando era ai domiciliari, e voci vicine alla coppia affermavano già tempo fa che il “piano B” di Alexey era quello di passare la leadership alla moglie. Sempre se ci sarà ancora qualcosa da ereditare: fiera e addolorata, Yulia è perfetta come leader-simbolo, ma non è chiaro quanto vorrà e potrà ricostruire un’organizzazione dalle macerie, in una dittatura in cui nessuna protesta sembra più possibile.
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