Yoav Galant: Hamas si nasconde fra i civili Intervista di Fabiana Magrì
Testata: La Stampa Data: 17 febbraio 2024 Pagina: 17 Autore: Fabiana Magrì Titolo: «Yoav Gallant: “Hamas si nasconde tra i civili, l’assalto finale è inevitabile”»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/02/2024, a pag. 17, con il titolo "Yoav Gallant: 'Hamas si nasconde tra i civili, l’assalto finale è inevitabile'", l'intervista di Fabiana Magrì a Yoav Gallant.
Yoav Gallant, Ministro della Difesa
"È Rafah il prossimo centro di gravità di Hamas". Non ha dubbi, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant. Una vasta operazione militare di terra - in stile Gaza City e Khan Yunis - è inevitabile anche nella città più meridionale della Striscia. Che da settimane è anche la località più sovraffollata di rifugiati palestinesi al mondo, braccati contro il muro di confine egiziano in una situazione che allarma tanto gli alleati di Israele quanto i nemici, le Ong e l’Onu. Le reazioni internazionali non sembrano tuttavia preoccupare il ministro israeliano che, al contrario, assicura di mantenere "stretti legami con i leader e le controparti di Stati Uniti, Europa e della regione". Del piano di evacuazione di Israele per mettere in sicurezza i civili prima dell’avvio della missione militare, non parla. Almeno fino a fatti avvenuti. Di fronte ai provvedimenti e alle manovre sul confine tra Gaza e il Sinai per evitare che un’ondata di rifugiati si riversi oltre il valico di Rafah, Gallant ribadisce che "lo Stato di Israele non ha intenzione di evacuare i palestinesi in Egitto. Rispettiamo e apprezziamo il nostro accordo di pace con il Cairo, che è un pilastro della stabilità nella regione".
Nel suo primo briefing con la stampa estera dall’inizio della guerra, un incontro - a cui ha partecipato La Stampa - nel quartier generale della Difesa al 14esimo piano della Kirya a Tel Aviv, il ministro israeliano ha ricordato i sette fronti su cui è impegnato Israele. Gaza è considerato il più importante, seguito dal Libano. In queste due principali arene - ma anche in Cisgiordania, in Siria, in Iraq e in Yemen - si possono riconoscere idee, soldi, intelligence, know-how e armamenti che li collegano al nemico supremo, l’Iran, che Gallant definisce "la fonte del caos nella regione".
"Sul fronte settentrionale - spiega il capo della Difesa a proposito del picco di tensione dopo uno scambio di attacchi mortali tra Hezbollah e Israele - siamo saliti di un livello su dieci". La sera prima una salva di 25 razzi era piombata sulla città quasi completamente evacuata di Kiryat Shmona, in Alta Galilea, nel nord di Israele. Lo Stato, dice il ministro, ha bisogno di "garantire la sicurezza e consentire ai cittadini di fare ritorno alle loro case. Attraverso la diplomazia o con i mezzi militari". La prima soluzione suona più come un augurio ma è per la seconda via che Israele si dice pronto in ogni momento.
Nel corso del briefing, è su Gaza che Gallant si sofferma più a lungo. Anche perché l’operazione all’interno dell’ospedale Nasser di Khan Yunis non è ancora terminata ed è il ministro a condividere con la stampa gli aggiornamenti dal campo. "Abbiamo arrestato almeno 70 terroristi. Tra loro, più di 20 hanno partecipato al massacro del 7 ottobre". In serata il portavoce militare ha fornito ulteriori notizie sul ritrovamento di farmaci con i nomi degli ostaggi, sulla cui origine e uso è stata aperta un’indagine.
A Gaza "stiamo procedendo come da programma e i risultati operativi sul campo determinano il passaggio da una fase a quella successiva. Dei 24 battaglioni regionali, ne abbiamo già smantellati 18", riassume il capo della Kirya, nonostante "la complessità di un’arena" - tra tunnel e infrastrutture militari sotterranee, densità di popolazione, ostaggi israeliani nascosti - che "nessun militare al mondo si è trovato ad affrontare". Promette che a guerra finita "non ci sarà più Hamas come potenza militare a Gaza". Sulla visione politica per il dopo, non si sbilancia. Dice di non pensare né al futuro né al passato ma di restare concentrato sugli obiettivi di quella che definisce "la missione della mia vita". Però di una cosa è certo: "Israele non controllerà Gaza". Il principio guida per il giorno dopo Hamas è che "né Israele né Hamas avranno il controllo" dell’enclave.
Un’altra certezza di Israele, con in mano le prove che l’esercito sta raccogliendo ed esaminando mentre avanza di città in città, di ospedale in ospedale, di scuola in scuola e di casa in casa, è che “l’Unrwa è profondamente radicata nell’attività terroristica. Ha perso legittimità e non può più funzionare come organismo delle Nazioni Unite". Lo staff del ministro ha quindi distribuito nuovo materiale relativo all’identità di 12 operatori dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi "che hanno partecipato attivamente al massacro del 7 ottobre". Nel file c’è tutto - nomi, foto, date di nascita, perfino i numeri di cellulare - degli uomini di età compresa tra i 32 e i 50 anni che avevano una doppia vita, da impiegati Unrwa e membri attivi di Hamas.
L’insegnante di matematica che ricopriva una posizione logistica nel battaglione Deir al-Balah e si è occupato di ricevere e fare la guardia a ostaggi israeliani. L’assistente sociale che serviva nel reparto comunicazioni nel battaglione Nuseirat di Hamas ed è stato riconosciuto grazie a mezzi di Visint (Visual Intelligence) in territorio israeliano mentre partecipava al rapimento di un soldato da Beeri. E poi, un insegnante di religione islamica, un maestro elementare. Perfino il vice preside di una scuola dell'Unrwa, che era allo stesso tempo comandante di plotone del battaglione Nuseirat.
"Oltre a questi dodici - spiega Gallant - abbiamo indicazioni significative basate sull’intelligence, secondo cui oltre 30 impiegati dell’Unrwa hanno partecipato al massacro, facilitato la cattura degli ostaggi, saccheggiato e derubato le comunità israeliane e altro ancora”. Su 13 mila lavoratori dell’Unrwa, "il 12% sono affiliati a Hamas e jihad islamico palestinese. 1468 operativi sono membri attivi delle due organizzazioni. 185 sono attivi nell’ala militare di Hamas e 51 in quella della Jihad islamica".
Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante