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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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L'Opinione Rassegna Stampa
10.07.2003 Amnesty International o Amnesy International
la vera storia di Amnesty

Testata: L'Opinione
Data: 10 luglio 2003
Pagina: 3
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Come Amnesty International divenne Amnesy International»
Riportiamo l'articolo di Dimitri Buffa pubblicato su L'Opinione giovedì 10 luglio 2003.
Quella che state per leggere é la triste storia di una trasformazione
ideologica all'interno di una delle più note organizzazioni che si occupano
del monitoraggio dei diritti umani nel mondo: Amnesty international, di
seguito AI.

-Amnesty diventa Amnesy-
L'accusa, da parte dei suoi stessi iscritti, degli osservatori
internazionali, dei governi occidentali in lotta contro il terrorismo
suicida e non, é molto semplice: Amnesty negli ultimi anni si é trasformata
in "amnesy". Cioé, a fronte di un impegno sempre crescente nel denunciare le
storture, pur esistenti, dello stato di diritto nei paesi democratici come
Inghilterra, Usa e Israele (tanto per fare i soliti esempi di repertorio),
puntando sempre il dito contro le misure repressive anti terrorismo,
"amnesty-amnesy" si é sempre dimenticata di rilevare le palesi, quotidiane
ed enormi violazioni dei diritti umani negli stati del terzo mondo. Protetti
ai suoi occhi da una sorta di malinteso concetto-mito del "buon selvaggio",
grottesco se applicato ai dittatori e ai regimi di Cina, Laos, Vietnam,
Cuba, Sudan, Libia, Siria, Iran e Iraq. Da questa dimenticanza é nato il
maligno nick-name di "amnesy international". Intendiamoci: se uno va a
leggere gli annual report, anche quello 2003, a ognuno di questi paesi é
dedicata una nutrita sezione-dossier. Anche la disinformazione infatti segue
i canali della logica e non quelli pacchiani della propaganda.
Ma il trucco sta nella cifra con cui tali rapporti vengono presentati al
pubblico: quest'anno, ad esempio, nella conferenza stampa non si é parlato che
della guerra all'Iraq, dei diritti dei prigionieri di Guantanamo e degli
omicidi mirati di terroristi palestinesi da parte di Israele. Quello finisce
in prima pagina.
Poi chi vuole i dati su Cuba, Cina, Liberia se li va a leggere nel rapporto
come mera curiosità. Il problema non é la maggioranza di stati canaglia da
carro di Tespi che sostiene la presidenza libica nella commissione diritti
umani, no, il problema restano le sporadiche ed eventuali violazioni dei
diritti umani dell'Occidente in nome di questa inutile guerra globale al
terrorismo.
Questo é il messaggio che "amnesty" vuole fare passare e questo è anche il
motivo per cui la soprannominano "amnesy".
Il tutto segretamente rincorrendo le chimere no global, l'odio anti americano e anti israeliano, il pregiudizio terzo mondista, il miraggio
della guerriglia guevarista di liberazione.

-Durban-
Come nel tempo Amnesty international divenne Amnesy international é
difficile da spiegare data l'apparente gradualità del fenomeno.
Si può dire che i sintomi più pesanti dell'orrenda metamorfosi iniziarono a
manifestarsi a cavallo dell'inizio della seconda Intifada nei territori
dell'Anp e poco prima della conferenza di Durban, due eventi che
rappresentano dal punto di vista ideologico le prove generali per l'attacco
dell'11 settembre 2001 all'America.
Per quanto riguarda Durban, AI tenne a precisare di non aver lasciato i
lavori (si era diffusa questa voce quando Israele e gli Usa se ne erano
andati inorriditi per l'antisemitismo montante) e firmò la dichiarazione
delle Ong (piena di frasi antisemite; dove Israele veniva definito "stato
razzista che pratica l'apartheid" e "responsabile di crimini di guerra, atti
di genocidio e pulizia etnica"). Il delegato di Amnesty si limitò a dire:
"Non siamo ancora pronti ad affermare che Israele è coinvolto in un
genocidio". Soltanto due giorni dopo la fine della conferenza, quando tutto
il mondo era inorridito da quanto successo, Amnesty ha voluto dissociarsi
dal "linguaggio" con cui era stata scritta la dichiarazione delle Ong (non
da quello che c'era scritto evidentemente). Nessuna condanna sulle evidenti
manifestazioni di antisemitismo che avevano funestato la Conferenza, sulle
dichiarazioni negazioniste e razziste contro gli ebrei.
Ma quando, si chiederà l'attento lettore de "l'Opinione", "Amnesty" si
trasformò in "amnesy"?
Il punto di svolta arrivò nel 1998, 50esimo anniversario della Dichiarazione
universale dei diritti umani, quando fece a Parigi un roboante discorso in
cui attaccava il capitalismo. La cosa lasciò basiti molti vecchi soci, ma
molti giovani soci ne furono entusiasti.
Basta leggere il capitoletto che scrisse per il Rapporto annuale 2001 dove
parla di "globalizzazione", difende lo stato-nazione e tante altre
simpatiche prese di posizione.
In precedenza, all'inizio degli anni '90, era diventato segretario
generale Pierrè Sané.
Il segretario generale non è una carica elettiva. È una persona pagata per
dirigere tutta quanta la baracca (il segretariato internazionale, con sede a
Londra, responsabile di tutta la ricerca di AI).
Pierre Sané è un economista (si fa per dire) senegalese. Ha dovuto
affrontare i cambiamenti epocali di quegli anni e modificare la struttura un
po' rigida di AI nella guerra fredda per affrontare i nuovi tempi.
In quegli anni se un qualsiasi socio di AI si fosse sognato di perorare in
pubblico idee come quelle, sarebbe stato buttato fuori dall'associazione
senza tanti riguardi.
Alcune sezioni, tra cui quella di Firenze, protestarono, quasi tutte le altre
ne furono entusiaste. Su un giornale inglese (o francese) apparve un lungo
articolo dove in sostanza si profetizzava la fine di AI come era stata fino
ad allora. Diceva che la base dei soci di AI è composta da rappresentanti
delle classi medie occidentali: se AI diventa un'associazione contro il
libero mercato e l'Occidente è probabile che i suoi soci non saranno più gli
stessi.
Da allora effettivamente è stato un lento scivolare verso posizioni sempre
più estremiste . Pare tra l'altro che Sané, responsabile del segretariato,
abbia assunto prevalentemente gente che la pensava come lui, creando così un
gruppo di ricercatori con le sue stesse idee estremiste.
Il vecchio Peter Benenson (il fondatore di AI) è ancora vivo. Dicono che ci
abbia litigato e che oggi non voglia più sentire parlare di Amnesty, ma è
molto anziano e non poteva fare molto.
Il culmine comunque è arrivato nel 2001 quando l'International Council
Meeting (una specie di parlamento internazionale che si riunisce ogni due
anni), riunito a Dakar, decise di abolire il mandato e di occuparsi di tutti
i diritti umani, un modo raffinato per dire che si occuperanno di "diritti
socioeconomici", cioè di questioni come la lotta al neoliberismo e alla
globalizzazione.

-Il "mandato" abolito-
Piccola parentesi sul mandato. Il "mandato" era la base del lavoro di AI
perché stabiliva quello di cui ci si poteva occupare. Ad esempio all'inizio
si occupava solo di prigionieri di opinione, poi è stata aggiunta la lotta
alla tortura, poi la pena di morte, e così via.
Averlo abolito è stato un po' come un colpo di stato che abroghi la
costituzione. Avevano l'autorità legittima per farlo, ma di fatto quasi un
milione di soci non ne sapevano niente. Ancora oggi capita di incontrare
alcuni e se uno dice loro di essere uscito da AI perché è stato abolito il
mandato, lo guardano esterrefatti, perché non lo sanno.
In realtà quell'anno a Dakar erano due le mozioni in lizza. Una
("estremista") prevedeva di abolire immediatamente il vecchio mandato e
occuparsi subito delle nuove questioni, l'altra (ritenuta "moderata")
cercava un compromesso e prevedeva di abolirlo magari anche subito, ma di
occuparsi delle nuove "sfide" (come dicono loro) soltanto dopo qualche anno
di rodaggio.

-L'elezione di Irene Khan-
Contemporaneamente fu eletta una nuova Segretaria Generale, Irene Khan,
musulmana del Bangladesh. Pierre Sané è finito a lavorare per qualche ente
delle Nazioni Unite, da dove viene peraltro la Khan.
La Khan é passata alla storia per avere deprecato la divulgazione di
documenti che provavano il coinvolgimento di Saddam nelle torture al proprio
popolo e nella violazione dei diritti umani più elementari.
Farlo adesso che si sta decidendo la guerra all'Iraq da parte degli anglo
americani - disse - é un argomento suggestivo a favore della guerra a
Saddam". insomma il diritto umano si denuncia solo quando la contingenza
generale é politically correct.
Fra il 1998 e il 2001 avvennero altri fatti disgustosi, da rendere noti.
Intanto gli addetti ai lavori notavano una certa insofferenza verso gli
embarghi (Cuba e Iraq). Alla fine AI ha preso posizione contro l'embargo,
sempre e comunque.

-La difficoltà di usare il termine "terrorismo"
Poi c'é la diatriba sul termine "terrorismo" che viene sempre usato da AI
fra virgolette. La spiegazione ufficiale è che non esiste una definizione
accettata da tutti di cosa sia il terrorismo. Che significa? Significa che
per alcuni stati, si lascia alla fantasia del lettore immaginare quali, le
guerre degli Stati Uniti o gli omicidi di mirati di Israele sono
"terrorismo".
Peraltro non è affatto vero che non esista una definizione
internazionalmente accettata di terrorismo. Le Nazioni Unite ne hanno date
parecchie, compresa quella contenuta nella Convenzione Internazionale per
l'Eliminazione degli Attentati Terroristici (International Convention for
the Suppression of Terrorist Bombings).

-La regola del cerchiobottismo e le sue eccezioni-
La politica di AI è sempre stata dominata da un certo "cerchiobottismo". Un
tempo, durante la Guerra Fredda, questo aveva un suo senso: per ogni
prigioniero di opinione in Urss si denunciava anche un caso in Cile. e così via. In questo modo si evitava di essere etichettati. La versione ultima di questa politica è diventata grottesca.
Ad esempio, AI ha preso posizione in favore del "diritto al ritorno" dei
profughi palestinesi esattamente quando Arafat metteva in crisi Oslo proprio
per non voler fare concessioni su questo punto. E alla vigilia della
seconda Intifada, che poi é quella del terrorismo suicida.
Se uno legge il documento di AI, si accorge che giudica violazioni dei
diritti umani sia l'impossibilità di tornare dei "profughi palestinesi"
(sorvolando sul fatto che spesso non siano né profughi né tantomeno
palestinesi, ma questo non viene certo approfondito), sia il fatto che non
possano tornare alle loro case gli ebrei scacciati dai paesi arabi in quegli
anni e nel 1967. La tempistica però era tutta a favore dei palestinesi, che
ne hanno subito approfittato.
Nel caso di Sharon, però, l'odio ideologico prevale sul cerchiobottismo.
Chiedono che sia processato in Belgio, ma non chiedono lo stesso trattamento
per Arafat, né ricordano che bene o male è stato denunciato anche lui, così
come Fidel Castro, negli stessi tribunali belgi. Il processo per crimini
contro l'umanità da portare avanti è sempre e solo quello contro Sharon.
Care personcine per cui AI non ha chiesto nessun processo sono i 13
terroristi che occuparono e saccheggiarono la chiesa della Natività a
Betlemme, "ospiti" dell'Europa. Eppure quando Ocalan finì in Italia proprio
AI aveva chiesto che fosse processato, dato che era sospettato di violazioni
dei diritti umani. Molti ancora oggi si chiedono perché in questo caso non
ha detto niente, anzi ha chiesto che i tredici terroristi non fossero
detenuti.

-Nuovi diritti umani da tutelare-
Recentemente Amnesty ha introdotto un nuovo "diritto umano" da tutelare tra
quelli di cui si occupa: il diritto dei prigionieri di Guantanamo catturati
in Afghanistan di non ascoltare musica rock in continuazione. E in
particolare quella di Barney e Sesame streets show che é un cult della tv
americana. Anche gli italiani in Amnesty-Amnesy fanno la loro grottesca parte di propalatori del verbo politically correct. Ad esempio, Claudio Cordone, uno
dei direttori in capo per il diritto internazionale di Amnesty, arrivò a
sostenere che non si poteva bombardare la tv irachena solo perché usata come
strumento di propaganda dal regime. In nome della libertà di stampa
garantita dall'articolo 21 della Costituzione Italiana e dalla Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo quella tv avrebbe dovuto continuare a
trasmettere i deliranti proclami di quella macchietta dell'ex ministro
dell'informazione di Saddam anche quando la guerra era ormai finita.

-Jenin-
Dove Amnesty superò se stessa (in chiave amnesy) però fu nella propaganda
(falsa e coscientemente tale) che seguì alla battaglia di Jenin, cioé quella
che vide l'esercito israeliano e i terroristi della Jihad e Hamas affrontarsi
in un duro corpo a corpo al tritolo per un giorno dello scorso aprile 2002.
Amnesty diede il via alla leggenda metropolitana di un massacro perpetrato
dalle Israeli Defence Forces, omettendo di citare persino quelle fonti
palestinesi che invece e chiaramente lo esclusero. C'era stata una battaglia
in cui erano morti 23 soldati israeliani e 59 terroristi palestinesi ma per
gli scopi di bassa propaganda anti sionista andava detto che "a Jenin gli
ebrei hanno fatto un massacro". Purtroppo per loro gli stessi media arabi
smentirono questa tesi pubblicando altresì le testimonianze di guerriglieri
che si vantavano di avere minato tutto il campo profughi e di avere usato i
civili come scudi umani. Inutile sottolineare che Amnesty per quelle
falsità, come per tutte le altre, non ha mai chiesto scusa. Un ulteriore
evidente caso di "amnesy"?
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