Le inevitabili guerre di Israele per la propria sopravvivenza 09/02/2024
Le inevitabili guerre di Israele per la propria sopravvivenza Analisi di Antonio Donno
L’invasione di Gaza da parte dell’esercito di Israele era inevitabile. Dopo l’orrendo massacro del 7 ottobre, Gerusalemme era obbligata a fare quello che ha fatto e che sta facendo per cancellare Hamas. Nessuno ha osato dire che cosa avrebbe dovuto fare Netanyahu in alternativa all’invasione di Gaza e all’eliminazione dei terroristi di Hamas. Ora qualcuno dice – gli Stati Uniti, in particolare – di allentare i bombardamenti o addirittura di sospendere l’azione di eliminazione di Hamas, al fine di ridurre o fermare la perdita di vite umane fra i civili. Anche in questo caso, nessuno è in grado di dire che l’annientamento dei terroristi si sarebbe potuto compiere preservando le vite degli abitanti di Gaza o riducendole in modo significativo. Al contrario, tutti sanno che i terroristi hanno trasformato cinicamente la gente di Gaza in carne da cannone per sfruttarne politicamente la loro morte. La difesa della vita umana è sbandierata dai cosiddetti pacifisti o finti pacifisti come obbligo morale, ma soltanto nei confronti di Israele, mentre il massacro del 7 ottobre è posto ai margini del problema. Quanta ipocrisia! Quanta sporcizia lorda le coscienze di questi gruppi di persone che oggi possono rivelare senza scrupolo il loro sentimenti antisemiti che hanno tenuto nascosto per troppo tempo. Alla luce di questi eventi, essi possono finalmente far esplodere il loro antisemitismo mascherandolo dietro le vesti dell’umanitarismo. Un umanitarismo a senso unico.
Benché la storia dello Stato ebraico sia costellata da guerre combattute inevitabilmente per la propria sopravvivenza, compresa quella di Gaza, antisemiti e antisionisti accusano Israele di essere un Paese militarista, dedito alla guerra, tirando in ballo una delle tante accuse che storicamente sono rivolte agli ebrei. Eppure, un dato è certo. Il mondo arabo continua ad essere intriso di odio verso gli ebrei, ma i dirigenti dei Paesi arabi hanno accolto l’azione israeliana di ripulitura di Gaza dalla presenza dei terroristi di Hamas senza fare una piega, anzi con una celata soddisfazione. L’interesse politico ha sopravanzato il fattore storico antisemita nei Paesi arabi sunniti aderenti agli “Accordi di Abramo” e nella stessa Arabia Saudita: una convenienza finalizzata a contrastare il progetto egemonico sciita nel Medio Oriente.
Le guerre combattute da Israele nella sua storia hanno avuto sempre il carattere dell’inevitabilità. Dopo la sua fondazione nel 1948, esso ha dovuto difendersi dall’invasione da parte degli eserciti di cinque Stati arabi decisi a cancellarlo immediatamente dalla carta geografica del Medio Oriente: “Il Jihad del 1948”, secondo la giusta definizione di Robert Spencer. Nel febbraio del 1955, alla vigilia della crisi di Suez del 1956, Israele attacca una base dell’esercito egiziano a Gaza, che era occupata dall’Egitto, dove i fedayn erano sostenuti da Nasser, rappresentando un pericolo continuo per Israele. Il 5 giugno 1967, Israele attacca gli eserciti arabi che si apprestavano a invaderlo da ogni confine, ottenendo una schiacciante vittoria ed evitando, così, l’annientamento. Il 6 ottobre 1973, egiziani e siriani attaccano simultaneamente Israele, ottenendo alcuni importanti risultati, ma la controffensiva di Tsahal sconfigge clamorosamente gli eserciti invasori, infliggendo una pesante batosta politica all’Unione Sovietica, alleata di Egitto e Siria, e che aveva sostenuto politicamente e militarmente l’ennesima impresa araba per la distruzione di Israele. La guerra dello Yom Kippur ha visto, ancora una volta, trionfare lo Stato ebraico.
La storia di Israele, dunque, è contrassegnata dall’inevitabilità, come i settantacinque anni di vita dello Stato ebraico hanno dimostrato. A conclusione delle sue memorie, Rabin così scrive: “[…] Sono convinto che Israele affronterà molti pericoli anche – se non soprattutto – in pace. [Comunque] non ho alcun dubbio che i rischi della pace siano preferibili di gran lunga alle cupe certezze che attendono ogni nazione in guerra”.