Dopo avere letto il prezioso libro "E basta con 'sto fascismo" di Daniele Capezzone, abbiamo voluto sentire il direttore editoriale di Libero. Un giornale che si sta dimostrando un grandissimo amico di Israele, soprattutto in questi momenti difficili (e gli amici, si sa, si vedono nel momento del bisogno). Qui sotto trovate l'intervista che il direttore Capezzone ha concesso a Informazione Corretta, realizzata da Davide Romano.
Daniele Capezzone
Ecco l'intervista:
1) Ormai il giornale Libero è uno dei pochi bastioni di informazione corretta su Israele. Non potevamo dunque non intervistarla, in quanto Direttore editoriale. Da cosa nasce la sua scelta di stare con Israele?
Con il direttore responsabile Mario Sechi e con la redazione non abbiamo avuto un solo istante di esitazione da quella tremenda mattina del 7 ottobre. Era il nuovo 11 settembre, e sin dalle primissime ore abbiamo purtroppo avuto chiara la posta in gioco e anche - sfortunatamente - la sceneggiatura mediatica che si sarebbe sviluppata da lì a poco: qualche ora di apparente solidarietà, poi il gioco dei distinguo e dei “ma anche”, e a seguire l’orrendo tentativo di offuscamento degli eventi del 7 ottobre che è ancora in corso…
2) State pagando un prezzo per questa scelta?
Non c’è prezzo, non c’è costo quando si tratta di far valere principi e convinzioni. Semmai (è doloroso dirlo: personalmente l’avevo proposto alcune settimane dopo i fatti) c’era e c’è tuttora da compiere una missione atroce ma indispensabile: far vedere al maggior numero possibile di persone le immagini dei massacri del 7 ottobre. Inutile girarci intorno: siamo nella civiltà dell’immagine, siamo dentro una cultura “visual” (con tutte le sue superficialità, me ne rendo conto). Sta di fatto che, in questo nostro tempo, ciò che non si vede diventa più facile da far dimenticare. Ed è esattamente quello su cui contano i nemici di Israele: proporre ogni giorno immagini ad alta intensità emotiva da Gaza, e nel frattempo far perdere nella nebbia la memoria del 7 ottobre. In questo modo, il gioco dell’equiparazione, della parificazione, diventa più facile. Anzi, si riesce pure a evitare che le sofferenze (vere) dei palestinesi vengano messe sul conto politico e morale di Hamas, come invece dovrebbe accadere.
3) Perché dal Manifesto al Corriere della Sera sono così schierati con le ragioni delle dittature palestinesi?
Più o meno consapevolmente, il nostro establishment mediatico e culturale è impegnato (da decenni) in quello che chiamerei un lungo viaggio anti-Occidente e anti-libertà. Dopo il 1989, inneggiare all’Unione Sovietica è diventato improponibile. E allora si cercano “surrogati”: terzomondismo, anticapitalismo, odio di sé e della stessa storia occidentale. Israele è il bersaglio naturale, il catalizzatore “perfetto” di questo tipo di ostilità.
4) Dal suo osservatorio privilegiato di direttore di giornale, ha la sensazione che la classe dirigente sia davvero caduta nella trappola della propaganda palestinese, o lo fanno solo per conformismo e per compiacere le masse degli esagitati?
Concorrono più elementi: il “viaggio” anti-Occidentale di cui parlavo, il desiderio di compiacere un segmento non piccolo di opinione pubblica, e anche un terzo fattore che dobbiamo chiamare con il suo nome, e cioè l’antisemitismo. Per anni, ci si era raccontato che quella bestia potesse ridestarsi “da destra”, e invece si ripresenta “da sinistra”. Vede, in tutt’altro scenario, durante il rapimento Moro, quando c’era chi cercava di negare l’origine comunista delle Brigate Rosse, una donna di sinistra come Rosanna Rossanda ebbe il coraggio intellettuale di dire che invece quella storia era parte dell’”album di famiglia” della sinistra comunista. Occorre che qualcuno apra gli occhi e faccia una constatazione analoga anche oggi.
5) Quale può essere l'antidoto al populismo di sinistra della Schlein e di Conte?
Mi sembrano francamente disperati e senza prospettiva. Se ci pensa, da un anno e mezzo sono inchiodati allo stesso risultato elettorale e nei sondaggi (circa il 36% complessivo), che è soggetto solo a oscillazioni interne in una logica da vasi comunicanti (Pd al 20% e Cinquestelle al 16%, oppure 21 a 15, oppure 19 a 17, ma non cambia nulla). Non esprimono alcuna capacità di andare oltre quel recinto e di provare a parlare a un altro pezzo del paese: autonomi, partite IVA, lavoratori del privato, sono per loro realtà strane-estranee-straniere.
6) Una curiosità: il titolo del suo ottimo libro “E basta con ‘sto fascismo”, nasce come reazione a un’atmosfera di populismo di sinistra vissuta sulla propria pelle? o da un evento particolare ?
Il fascismo (oggi inesistente) è la loro ossessione e insieme una patetica coperta di Linus. Serve a loro per essere rassicurati, per continuare a descrivere un mondo in cui loro sono buoni, anzi buonissimi, e gli altri cattivi, anzi cattivissimi. Ma è un racconto farlocco, autoreferenziale, che non incanta più nemmeno quegli astenuti di sinistra che dovrebbero essere richiamati al voto contro il “pericolo fascista alle porte”. E invece perfino quegli elettori continuano a stare a casa. Ma davvero qualcuno pensa che Conte e la Schlein siano i nuovi fratelli Rosselli, e che le sardine siano le staffette partigiane del nuovo secolo? Se qualcuno lo pensa, bisognerà chiamare robusti infermieri….
7) Perché giornali e tv vedono le minacce fasciste con più allarme di quelle, per esempio, dei jihadisti di Hamas, Hezbollah o Houthi (non a caso tutti sostenuti dall'imperialismo di Teheran)?
Mai guastare le loro narrazioni con la dura realtà. I jihadisti appartengono purtroppo alla realtà, ma non sono funzionali alla narrazione dell’attuale sinistra, anzi la smentiscono clamorosamente. E allora occorre non farli “esistere” mediaticamente, attenuando-smorzando-negando.
8) È incredibile come un certo tipo di antifascismo sia filo Hamas e/o filo Putin. Secondo lei perché? Questa cultura filo dittature è colpa della scuola e dell’università? O sono ancora i residui dell'influenza del Partito Comunista Italiano?
Torniamo al “viaggio” anti-Occidentale: fa brodo tutto ciò che è lontano da Washington-Londra-Gerusalemme. Ogni esperienza che sia funzionale a contestare il modello occidentale viene automaticamente guardata con simpatia. Naturalmente non sto dicendo panglossianamemte che viviamo nel migliore dei mondi possibili, e conosco anch’io i mille difetti e la profonda crisi del nostro sistema. Ma l’esperimento “democrazia politica più libero mercato” è il tentativo più avanzato (e meno violento) di organizzazione della vita umana e sociale che sia mai stato realizzato. Ed è un esperimento relativamente giovane nella storia dell’umanità. Si tratterebbe di proteggerlo, migliorarlo, tutelarlo, e soprattutto farlo conoscere a quei miliardi di esseri umani a cui questa opportunità è tuttora preclusa.
Starebbe qui una sfida intelligente per la nuova destra. Sento parlare (a volte in modo noioso) di “lotta all’egemonia culturale di sinistra”. Ecco, anziché piangere e lagnarsi, questa è la posta in gioco: non l’esportazione, ma - questo sì - la difesa, la manutenzione e la promozione dei sistemi di democrazia politica e di libero mercato.
9) come vede la situazione in Medio Oriente con il mondo occidentale tutto impegnato a fare pressioni sulla democrazia israeliana, invece che sulle dittature palestinesi o quella iraniana? Quale via di uscita consiglierebbe a Israele?
Sulle spalle di Gerusalemme grava un peso enorme. Troppi in Occidente hanno dimenticato il concetto di guerra giusta, hanno rimosso l’idea che il nemico esista e che possa portare minacce letteralmente esistenziali. Non sta a me dire quando fermarsi: ma auspico che Israele si fermi solo quando si sarà acquisita una ragionevole certezza di aver messo Hamas nella condizione di non nuocere oltre. Non un minuto prima.