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La Stampa Rassegna Stampa
03.07.2003 Parla un leader delle Brigate Al Aqsa
dall'intervista di Fiamma Nirenstein la vera faccia di Arafat

Testata: La Stampa
Data: 03 luglio 2003
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Dopo due anni di latitanza la hudna mi riporta al mondo»
Riportiamo l' articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su La Stampa giovedì 3 luglio 2003.
Uno strano tipo osserva con occhi spalancati su un volto candido incorniciato da una breve barba nera gli uomini dei servizi speciali della polizia che si danno da fare, si allenano, si preparano a uscire verso nuovi compiti. Ha gli occhialini come uno studente, è pallido come chi non ha visto il sole per tanto tempo, maglietta nera, neri i pantaloni, nero il grosso swatch di gomma. E’ un ricercato da Israele, un tanzim, membro delle Brigate di Al Aqsa che rivede la luce dopo più di un anno di latitanza. E tornato alla luce ieri, nel giorno del passaggio delle consegne. Si chiama, dice, Abu Ammad. La sua intervista è quasi uno sfogo, siamo le prime persone con cui parla di una storia di sangue e di paura.
Il panorama è quieto: a Betlemme non si vedono colonne di automezzi militari, niente cerimonie, solo la firma di un accordo e la presa di possesso, da parte della polizia palestinese, di quattro posti di blocco interni all’area della città. I negozi di regali per pellegrini sono quasi tutti chiusi, la vita è grama, la piazza della Mangiatoia è fitta di telecamere che aspettano la firma delle due parti. Ma in periferia alla Mukhata (si chiama così dovunque) la polizia è agitata, gli agenti si affollano sull’ingresso, e dietro l’edificio sono state costruite celle prefabbricate nuove di zecca. Abu Jihad, il comandante della Polizia Preventiva ci confessa addirittura di essere emozionato, lui che è un duro noto in tutto l’West Bank: «Abbiamo aspettato solo questo giorno da anni, ho incontrato tutte le fazioni palestinesi, non mi importa cosa dicono, mi importa solo far rispettare la legge».
Abu Ammad sta in piedi fuori del cancello, ogni poliziotto che passa lo bacia e lo abbraccia con entusiasmo «Sei tornato!» «Come stai, ti vedo bene!», «Sei di nuovo con noi!». Secondo le informazioni che raccogliamo prima di intervistarlo e successivamente da fonti a lui molto familiari, l’uomo è ricercato ufficialmente per avere organizzato attacchi terroristici nella prima fase dell’Intifada, non con il tritolo ma con i fucili; è uno dei leader delle Brigate di Al Aqsa, un protagonista della prima ora. Ha moglie e quattro figli, proviene da una frazione di Betlemme che non ci viene rivelata, ha 35 anni. Ma il Tanzim alto, stanco e pallido di fronte a noi, l’uomo che parla delle «Brigate» familiarmente, come della sua seconda casa è anche, sorpresa, un ufficiale della polizia preventiva. O almeno lo è stato.
E lo sarà di nuovo?
«Penso proprio di sì, questo è il primo posto dove sono venuto, è la mia casa, questi sono i miei amici, i miei compagni, non lo vede anche lei come siamo legati?»
La sua militanza nelle Brigate di Al Aqsa è conclusa?
«E perché? Cosa c’entra, tutte le organizzazioni oggi hanno dichiarato il cessate il fuoco, tutti i membri delle organizzazioni ubbidiranno agli ordini. Anche io».
Agli ordini di chi?
«C’è uno e uno solo, fra i palestinesi, che può dare gli ordini, Arafat, il nostro unico comandante».
E Abu Mazen?
«Una brava persona che non può fare niente di positivo».
Come mai ha deciso di uscire dal suo nascondiglio? Si sente sicuro oggi che l’esercito se ne va?
«Mi sento liberato. E sono stanco, molto provato, so che altre persone nella mia condizione hanno fatto la stessa scelta: tornare nella società, con la fiducia di essere salvi...Da due anni stavo nascosto, in completo isolamento, ogni momento poteva accadere qualcosa».
Poteva essere eliminato? Arrestato? L’accusa è di omicidio plurimo?
«Questo mi guarderò bene dal dirglielo. Posso dirle che sono stato in isolamento completo dentro una struttura fatta di mura, non lontano da gente che non sapeva del nascondiglio, perché abbiamo deciso che ciò l’avrebbe messa in pericolo. Ho visto in questi anni sempre e soltanto una sola persona, quella che mi dava il cibo».
Era in contatto con la sua famiglia e i suoi amici?
«Sì, ma è da quando sono in latitanza che non ho più visto mia moglie e i miei figli. Ci ho parlato però con un telefonino».
Radio, tv, giornali, vedeva le notizie?
«Non avevo un’informazione regolare, radio e televisione sono problematiche per chi sia nascosto, perché sprigionano onde che possono essere intercettate. Era un nascondiglio molto severo, non abbiamo preso rischi, ogni elicottero, ogni auto, ogni movimento sospetto era sorvegliato».
Bene, capisco che lei deve essere considerato una persona seriamente pericolosa. Qui questo non susciterà nessuna preoccupazione, adesso che c’e’ una tregua? In una parola si aspetta comunque una rapida reintegrazione?
«Guardi, sono venuto qui prima di andare dalla mia famiglia..».
Signor Abu Ammad, lei vuole rientrare nella polizia, che intende combattere il terrorismo secondo gli accordi con Israele. Come la mette, visto che è stato un organizzatore se capisco bene, di attacchi di quel genere?
«Per noi la lotta di liberazione è legittima in ogni mezzo prescelto, purché porti alla liberazione della Palestina».
Abu Jihad non sembra pensarla così. Forse dovrà cambiare idea.
«Io seguo gli ordini, che oggi sono quelli di rispettare una tregua».
Lei è pronto in prospettiva a accettare la pace? Intendo: uno stato palestinese accanto a uno stato ebraico?
«Per il momento è stato deciso che questa linea in questa fase è la migliore. Quanto alla pace, se gli israeliani non violano le norme, noi non agiremo».
Un minuto dopo che la tregua veniva proclamata, il suo gruppo, le Brigate di Al Aqsa, ha compiuto un attentato.
«E’ stato un fraintendimento. Credo che sia l’ultimo».
Sa che negli accordi è prevista la consegna delle armi?
«Questo non avverrà mai»
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