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Torino, 23 gennaio 2002 Al Segretario della CGIL Sig. Sergio COFFERATI ROMA Caro segretario, oggi, con una decisione non facile ho deciso che per un minimo di coerenza con me stesso dovevo restituire la tessera della CGIL e desidero che tu sappia perché l'ho fatto. Ti chiedo pertanto di avere la cortesia di leggere questa lettera e spero che comprenderai i motivi della mia decisione. Mi sento da sempre progressista, una volta avrei detto semplicemente di sinistra; questo sentimento e' scritto nella mia storia personale e in quella della mia famiglia. Sono ebreo. Sono un cittadino italiano laico ed ebreo e così come penso che siano davvero importanti i valori della giustizia, dell'uguaglianza, della libertà, della difesa dei diritti dei più deboli ai quali profondamente credo e in funzione dei quali oriento la mia vita e il mio comportamento quotidiano anche nel mondo del lavoro, altrettanto sono convinto di appartenere ad un popolo che da secoli e' odiato e perseguitato a causa di irrazionali pregiudizi. I giornali di oggi hanno dato notizia del primo atto di un congresso della Funzione Pubblica che e' servito in sostanza a ribadire l'appoggio convinto della Cgil alla causa del popolo palestinese. Ho letto quello che La Stampa e l'Unita' hanno riportato del tuo intervento e del fatto che Arafat, invitato ed atteso perché potesse esprimere liberamente il suo pensiero, non e' potuto intervenire in quanto costretto agli "arresti" domiciliari da parte di quel losco figuro che è il primo ministro israeliano Sharon, guarda caso liberamente e democraticamente eletto dai cittadini israeliani. Alla lettura del messaggio di Arafat i presenti si sono alzati ed hanno ritmicamente applaudito. Ebbene io non mi sento partecipe, bensì offeso da quell'applauso e non posso quindi piu' far parte di un movimento politicamente schierato su posizioni politiche che non condivido. Nel tuo intervento hai detto delle cose delle quali ovviamente non mi stupisco più così come non mi stupisco di leggere come il tuo sindacato interpreta il tragico conflitto israelo-palestinese. Oggi però leggendo la cronaca di quella manifestazione, del tuo intervento e di quello di altri ospiti e delegati ho sentito rabbia e delusione perché si è persa una nuova occasione per dire qualcosa di diverso e forse di più costruttivo. Questa voce diversa della sinistra che non arriva, che ho aspettato, ma che continua a non arrivare dovrebbe, almeno così io penso, come minimo riconoscere senza possibilità di fraintendimenti che le vittime di quel conflitto non sono solo palestinesi, che i torti non sono solo israeliani, che per risolvere il problema non basta la buona volontà degli israeliani o l'invio di osservatori internazionali. Io credo che la vita di un palestinese valga quanto quella di qualsiasi altro essere umano, ma credo anche che l'esistenza dello stato di Israele, il suo diritto alla difesa ed alla sicurezza non possano essere minimamente messi in discussione e che i kamikaze palestinesi non siano dei martiri e dei disperati, ma dei fanatici e dei pazzi e peggio di loro ci sia solo chi li convince a compiere atti che e' poco definire assurdi e disumani. Io probabilmente ai tuoi occhi oggi sono solo il compagno che sbaglia, che non vuole capire. Oggi mi sento dire da più parti che sono in errore, ma io non riesco a vedere il mio errore; e allora cosa dovrei fare? Se non riesco a capire quanto torto hanno gli israeliani e quanta ragione hanno i palestinesi vuol forse dire che sono il solito ebreo testardo ed ostinato? O non e' forse sbagliato il modo nel quale la maggioranza di coloro che si riconoscono nei movimenti di sinistra, voglio pensare in buona fede, pensano di contribuire al processo di pace o cercano quantomeno di comprendere il problema? Allora, nell'attesa di una mia "redenzione" che non arriva così come non arriva un pensiero diverso da quella parte della sinistra a cui credevo di appartenere, ho pensato intanto di fare un poco di chiarezza e per un minimo di coerenza con i miei sentimenti ho deciso di manifestare con un simbolico gesto, la restituzione della tessera al sindacato, la mia non condivisione della politica che quel sindacato sta portando avanti nella valutazione dei fatti mediorientali. Troppo spesso quando mi viene chiesto di schierarmi, di dare un mio giudizio sulla politica israeliana si attende da me, uomo di sinistra, un allineamento sulle posizioni sempre più radicali, sempre più antiisraeliane e filopalestinesi espresse quasi all'unisono dalla sinistra italiana e sento profondamente che questo atteggiamento non è giusto e non e' rispettoso dei sentimenti di quegli israeliani, e sono la maggioranza, che desiderano davvero vivere in pace e sicurezza. L'insistenza con la quale mi si chiede come la penso e' simile a quella con la quale i miei compagni di scuola mi chiedevano cosa pensassi di Gesu' Cristo, pronti molti a biasimarmi se dicevo che non ci credevo e ben pochi a rispettare invece il vicino di banco che non la pensava come lui. Io non ne posso più di dover spiegare e giustificare , e proprio a quelli che si dichiarano i miei più sinceri amici, perché io sia vicino ad Israele o perché, pur avendo tante ragioni, i palestinesi non abbiano sempre e solo ragione. Non ne posso più di trovarmi insieme a persone che, ben che vada evitano, conoscendomi, di parlare del problema ma che sento di avere contro. Non ne posso più di sentirmi accettato come ebreo solo quando si parla di olocausto e di persecuzioni perché diversamente come ebreo sono solo un rompiscatole. In questo ambiente io non mi riconosco più e, credimi, tutto questo mi amareggia profondamente. Io non mi sento di condividere le certezze di chi crede che Arafat e il popolo palestinese siano le vittime e gli israeliani e gli ebrei che non si schierano con i palestinesi, gli aggressori. Da quando è nato lo stato di Israele, si sono succeduti governi democratici di ogni tipo e i tentativi di dialogo, i processi di pace, le aperture ci sono state. Io non ho certezze su chi in questo momento abbia più ragione o più torto, non sono piu' sicuro di nulla, non so se per arrivare alla pace sia meglio la politica certamente decisa e dura di Sharon o quella più morbida di Barak. Ho la sola certezza che i cittadini israeliani desiderano vivere in pace e in sicurezza e non so se in vista di questo risultato l'appoggio incondizionato ad Arafat da molti auspicato sia la strada migliore. Sono molto deluso e mi sento molto solo. Questa è la cosa che mi amareggia di più. Sento ancora una volta crescere l'odio per gli ebrei e lo sento venire soprattutto dalla parte nella quale mi sono sempre identificato. Tutto questo è molto triste. Bruno Carmi |
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