La strategia di Sinwar Commento di Francesca Caferri
Testata: La Repubblica Data: 16 gennaio 2024 Pagina: 3 Autore: Francesca Caferri Titolo: «La strategia di Sinwar per spaccare Israele e scampare alla guerra»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 16/01/2024, a pag.3 con il titolo "La strategia di Sinwar per spaccare Israele e scampare alla guerra". L'analisi di Francesca Caferri.
GERUSALEMME — Nessun media lo ha diffuso, ma tutti lo hanno visto. E anche questo Yahya Sinwar, che nei suoi 22 anni di carcere ha studiato a fondo la psicologia israeliana, probabilmente se lo aspettava: così come sapeva bene che i video delle atrocità commesse il 7 ottobre sarebbero stati visualizzati da decine di migliaia di persone su Internet, israeliane in primis. Amplificando il messaggio, terrorizzandole, trasportandole nelle case e nelle basi militari dove i suoi uomini facevano strage. Non è dunque un caso che i tre video che hanno mostrato - lentamente, in una maniera studiata per amplificare l’angoscia – il destino di tre ostaggi israeliani a Gaza siano stati diffusi a partire da domenica, mentre Israele si riuniva per ricordare i 100 giorni dalla strage del 7 ottobre. Gettando ulteriore angoscia su un Paese che si interroga e si divide su quale sia la strada da prendere per riportare a casa le persone catturate da Hamas. Nessuna televisione li ha trasmessi, nessun giornale ha messo on line i fotogrammi più cruenti. Ma tutti ieri sera in Israele sapevano cosa raccontavano i video: che a uccidere Yossi Sharabi e Itai Svirsky dopo che avevano accusato il governo di averli abbandonati erano state le azioni dell’esercito di Israele: e a che a narrare la loro fine c’era una terrorizzata Noa Argamani. I portavoce militari hanno immediatamente smentito ogni responsabilità dell’Idf, accusando Hamas. Ma, a chiunque vadano attribuite, queste morti e l’angoscia trasmessa da Noa vanno a toccare un nervo scoperto della società israeliana. «Adesso, adesso», hanno gridato all’unisono domenica sera decine di migliaia di persone a Isaac Herzog, il presidente della Repubblica, che ha avuto il coraggio di chiudere la 24 ore in ricordo dei cento giorni dalla strage a Tel Aviv. E che è diventato, in quanto unico rappresentante delle istituzioni in carica, il bersaglio del rabbia e del dolore delle famiglie e di chi – e sono molti - è pronto a fare concessioni ad Hamas per riportare a casa le 136 persone che (vive o morte) sono ancora a Gaza. Tutto questo Sinwar lo sa bene. Come sa bene che la pressione internazionale, le manifestazioni in mezzo mondo, il conteggio delle vittime civili a Gaza da parte del ministero della Sanità (che dipende da Hamas) e le richieste della Casa Bianca non sono bastate a convincere Israele a fermare la guerra, come lui vorrebbe. E così ora spinge sulla dimensione interna allo Stato ebraico. Sinwar conosce la psicologia di Israele e conosce le immagini della piazza e del dolore delle famiglie. Probabilmente anche per questo il capo politico di Hamas nella Striscia ha deciso di rendere pubblico proprio domenica il primo dei tre video, approfittando della debolezza di Israele. Così come aveva fatto a ottobre, andando a colpire una società ritenuta debole perché da mesi spaccata dal conflitto sulla riforma giudiziaria, con buona parte dei riservisti (colonna portante delle Forze armate) che minacciavano di non presentarsi di fronte a una eventuale chiamata alle armi. Domenica sera la mamma di Noa, la signora Liora, malata terminale di cancro, era da poco scesa dal palco con la sua sedia a rotelle quando la prima immagine della figlia è apparsa in rete dopo cento giorni di silenzio. «È una guerra psicologica vera e propria », commenta Michael Koubi, l’ex agente dello Shin Bet che ha interrogato Sinwar per più di 150 ore nel 1989. «Gli israeliani sono divisi sul cosa fare: ed è comprensibile, perché ogni decisione sul conflitto e sugli ostaggi è difficilissima. Lui lo sa e cerca di trarne il massimo vantaggio». Secondo la stampa israeliana, le divisioni su cui punta Sinwar per mettere fine ai combattimenti e presentarsi vittorioso agli occhi del mondo arrivano fin dentro il gabinetto di guerra: per Canale 12, una delle principali televisioni, Benny Gantz e Gadi Eisenkot, (entrambi ex Capi di Stato maggiore, entrambi passati dall’opposizione al governo per gestire l’emergenza) spingono per un accordo “significativo” pur di riportare a casa gli ostaggi. Mentre il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant insistono sulla campagna militare. Una posizione che Gallant ha ribadito anche ieri sera: l’unico modo per negoziare il rilascio, ha detto, è con una continua «pressione militare». Il ministro ha poi denunciato gli «abusi psicologici» inflitti alle famiglie. Su questo punto tutti in Israele sono d’accordo. Su come uscire da questa situazione molto meno: «Non sappiamo se queste persone sono state uccise da Hamas o dai bombardamenti: probabilmente non lo sapremo mai. Sappiamo che ogni giorno in più a Gaza è un rischio per la loro vita. La priorità deve essere portarli a casa: quando saranno in salvo penseremo ad Hamas», commenta Gershon Baskin, l’uomo che mediò con la liberazione del soldato Gilat Shalit nel 2011.
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