Netanyahu: nessuno ci fermerà Commento di Francesca Caferri
Testata: La Repubblica Data: 14 gennaio 2024 Pagina: 8 Autore: Francesca Caferri Titolo: «Gli Usa continuano i raid anti-Houti. Netanyahu promette “Nessuno ci fermerà”»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 14/01/2024, a pag.8 con il titolo "Gli Usa continuano i raid anti-Houti. Netanyahu promette: nessuno ci fermerà". L'analisi di Francesca Caferri.
Netanyahu: "Combatteremo fino alla vittoria totale su Hamas. Nessuno ci fermerà, né l’Aja né l’Asse del male"
TEL AVIV — I cento giorni dall’inizio della crisi in Medio Oriente sono stati segnati ieri mattina da un secondo attacco americano contro obiettivi degli Houti in Yemen. Il segno che la strage compiuta da Hamas il 7 ottobre e la conseguente offensiva israeliana su Gaza hanno precipitato nel caos non soltanto Israele e la Striscia, ma l’intera regione. Le forze armate Usa hanno colpito un numero di obiettivi ridotto rispetto alla notte fra giovedì e venerdì, quando in 28 località erano finite nel mirino 60 fra installazioni militari e centri di comando dei ribelli che controllano lo Yemen. Ma il fatto che gli Stati Uniti siano intervenuti per due giorni di seguito è la dimostrazione della determinazione con cui l’amministrazione Biden intende perseguire chi minaccia il traffico commerciale che lungo la rotta del Mar Rosso e attraverso il canale di Suez rifornisce di merci e materie prime una fetta importante dell’economia globale: le navi sono state avvisate di tenersi alla larga dalla zona per i prossimi giorni. Il segno che l’offensiva militare potrebbe non essere conclusa. A una fase successiva parteciperà anche l’Italia, come il ministro della Difesa Guido Crosetto ha detto alTg1 :«L’Italia parteciperà alla missione europea per la sicurezza mercantile nel Mar Rosso. Abbiamo già una nave nell’area che protegge le nostre navi. Ci auguriamo che l’Europa si muova». Per bocca del loro portavoce militare Yahya Saree gli Houti hanno risposto che l’attacco sarà vendicato: ma Joe Biden ha replicato spiegando ai giornalisti che l’America è «ben preparata» per ogni possibile risposta, e che un «messaggio è stato consegnato in maniera riservata» all’Iran, che del gruppo yemenita è il principale sostenitore e fornitore di armi. Lo scambio di battute dimostra come, nonostante tutti i tentativi di limitare il dilagare della guerra nella regione, la scintilla accesa da Hamas con l’assassinio di 1200 persone, per la maggior parte israeliani, per la maggior parte civili, il 7 ottobre abbia ormai contagiato l’intera regione e portato anche gli Stati Uniti, che di Israele sono il maggiore sostenitore, a un coinvolgimento diretto in una crisi che non sembra destinata a finire presto. Negli ultimi 100 giorni, nonostante gli sforzi della diplomazia di arginare la crisi, oltre ai combattimenti diretti a Gaza (23.800 le vittime secondo il bilancio del ministero della Salute controllato da Hamas), al confine fra Israele e Libano ci sono stati gli scontri più violenti dal 2006, l’anno dell’ultima guerra aperta fra i due Paesi. Lo Stato ebraico ha colpito in Siria con un’intensità mai registrata prima. Ci sono stati attacchi contro obiettivi americani in Iraq: e ora anche il Mar Rosso è diventato zona calda. Ieri Netanyahu in una conferenza stampa ha promesso che il Paese combatterà «fino alla vittoria totale su Hamas»: «Nessuno ci fermerà, né l’Aia né l’Asse del male», ha detto il primo ministro facendo riferimento all’accusa di genocidio presentata dal Sudafrica contro Israele davanti ai giudici della Corte di Giustizia internazionale Onu. A poche centinaia di metri dal luogo dove parlava migliaia di persone erano riunite per ricordare i 100 giorni dalla strage del 7 ottobre e sostenere le famiglie dei 136 ostaggi ancora a Gaza che chiedevano il loro immediato ritorno. Ma le trattative per uno stop ai combattimenti e per un nuovo scambio di prigionieri sembrano bloccate, nonostante l’accordo raggiunto dal Qatar per consegnare agli ostaggi i medicinali di cui hanno bisogno. A mancare è anche un piano chiaro per il “dopo”, ovvero chi e come controllerà la Striscia una volta terminata l’offensiva militare: ieri il Wall Street Journal ha scritto che Israele avrebbe in mente di stabilire un controllo militare lungo il “corridoio Filadelfia” ovvero la striscia di terra fra Gaza e l’Egitto per impedire il passaggio di armi. Il piano sarebbe stato sottoposto alle autorità egiziane, (che però già hanno rifiutato la proposta di un controllo congiunto sul confine insieme agli israeliani) e rientrerebbe nel piano di aumento delle capacità della Difesa dello Stato ebraico annunciato ieri sera dallo stesso Netanyahu. Il premier ha parlato di un «enorme potenziamento della Difesa per garantire la nostra sicurezza nei prossimi anni». Il finanziamento andrebbe a coprire anche le attività all’estero che Israele considera essenziali per la sua sicurezza: ieri i servizi segreti hanno diffuso alla stampa una mappa dei responsabili delle operazioni estere di Hamas e denunciato un attentato sventato in Svezia. Fra loro, due dei dirigenti del gruppo islamista uccisi in attacchi mirati in Libano nei giorni scorsi.
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