Gaza, non è Israele a bloccare il cibo Commento di Francesca Caferri
Testata: La Repubblica Data: 11 gennaio 2024 Pagina: 15 Autore: Francesca Caferri Titolo: «Una finestra sulla Striscia. Israele si difende dalle accuse con i camion degli aiuti»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 11/01/2024, a pag.15 con il titolo "Una finestra sulla Striscia. Israele si difende dalle accuse con i camion degli aiuti”. L'analisi di Francesca Caferri.
Israele è felice degli aiuti per i palestinesi. il problema è Hamas che li ruba. Ma tutti contestano Israele: ennesima follia collettiva
KEREM SHALOM (ISRAELE) — I camion carichi di cibo, acqua e medicine stanno fermi sotto il sole: hanno appena passato il vaglio delle autorità israeliane e aspettano solo l’ultimo via libera. Quando arriva, passano un valico nel muro di cemento armato e si dirigono in uno dei luoghi al mondo dove in questo momento sono più necessari: la Striscia di Gaza.
Kerem Shalom è il luogo dove si incontrano i confini di Israele, Egitto e Striscia di Gaza: un triangolo di terra e sabbia del deserto da cui è partita ieri la controffensiva israeliana in risposta all’accusa di genocidio che il Sudafrica ha mosso contro allo Stato ebraico presso la Corte di Giustizia internazionale delle Nazioni Unite e che sarà discussa a partire da oggi all’Aia.
Per essere provata, l’accusa ha bisogno di poggiare su due gambe: dimostrare che Israele ha l’intento di commettere genocidio. E dimostrare che ci sono azioni genocidarie in corso. Se sul primo punto il Sudafrica potrebbe far leva sulle parole più incendiarie pronunciate dai rappresentanti dell’estrema destra israeliana in queste settimane, sul secondo Israele intende difendersi dimostrando due cose: che l’alto numero di vittime – 23.500 secondo i dati del ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas – è frutto della strategia del gruppo di nascondere armi e basi in strutture civili. E che lo Stato ebraico lavora per far arrivare alla popolazione civile il cibo e i medicinali che proprio da qui, a Kerem Shalom - oltre che dal valico egiziano di Rafah - ogni giorno entrano nella Striscia di Gaza.
Anche per questo ieri, alla vigilia dell’inizio del procedimento all’Aia, l’esercito israeliano ha consentito a un ristretto gruppo di giornalisti internazionali di visitare il valico per la prima volta dall’inizio dell’offensiva. «Siamo impegnati al 100% a far arrivare aiuti umanitari nella Striscia – ha spiegato in un briefing il colonnello Moshe Tetro –. A nostro giudizio le riserve di cibo a Gaza in questo momento sono sufficienti, ma se qualcuno volesse portare più aiuti saremmo felici di assistere. Il collo di bottiglia che blocca le operazioni non dipende da noi ma dalle organizzazioni internazionali che devono scaricare i camion e distribuire gli aiuti una volta entrati nel territorio della Striscia. E poi c’è naturalmente la questione di Hamas, che ruba gli aiuti destinati alla popolazione per distribuirli ai suoi uomini».
Un’affermazione che almeno in parte cozza con quanto sostengono le Nazioni Unite e ripeteranno oggi all’Aia i rappresentanti del Sudafrica: tre giorni fa il responsabile delle Emergenze dell’Organizzazione mondiale della SanitàSean Casey ha parlato di un «disperato bisogno» di assistenza umanitaria e in particolare di cibo nella Striscia. Sei giorni fa il capo della Risposta umanitaria Onu Martin Griffiths ha definito la zona «inabitabile», mettendo in guardia da una possibile carestia e da un disastro sanitario senza precedenti. E anche il segretario di Stato americano Antony Blinken due giorni fa ha chiesto alle autorità israeliane di far passare più aiuti, come impone una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite votata il 22 dicembre.
In attesa che all’Aia inizino le udienze – dureranno due giorni, al termine dei quali il tribunale Onu potrà emettere una procedura di emergenza per chiedere a Israele di sospendere le operazioni militari, in quanto firmatario della Convenzione sul Genocidio del 1948: ma per chiudere il caso e arrivare a una sentenza ci vorranno anni – il fatto stesso che il procedimento sia stato aperto ha acceso il dibattito in Israele, riuscendo nell’impresa di penetrare nella bolla di shock in cui è rinchiuso dal 7 ottobre e che impedisce al Paese (sono le parole della rabbina americana Sharon Brous) di «uscire dal suo periodo di lutto e vedere che c’è un mondo di sofferenza umana appena al di là del confine».
«È in corso un tentativo di delegittimare Israele: il mondo non capisce che stiamo affrontando una minaccia esistenziale. Se la retorica del Sudafrica passerà il nostro Paese sarà indebolito e più isolato », ha detto ieri Pnina Sharvit Baruch, responsabile del programma sulla Legge all’Istituto di studi per la Sicurezza, vicina alle posizioni del governo. Un’opinione non condivisa dal fronte che per anni si è battuto per il rispetto dei diritti da entrambi i lati, come Tamar Megiddo, che insegna Diritto internazionale all’Università ebraica di Gerusalemme: «Con questo procedimento Israele ha definitivamente capito che non può agire senza pensare alle conseguenze, che è sotto la lente di osservazione internazionale. Il fatto stesso che da giorni le Forze armate si sentano in dovere di spiegare che la guerra non è contro la popolazione di Gaza ma contro Hamas ne è la dimostrazione». La sfida è aperta: oggi, in aula all’Aia, il primo round.
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