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La Stampa Rassegna Stampa
01.07.2003 Ex direttore dell'Unità
Peppino Caldarola non nasconde la verità

Testata: La Stampa
Data: 01 luglio 2003
Pagina: 6
Autore: Fabio Martini
Titolo: «La Sinistra ? da sempre anti-israeliana»
Ogni tanto qualcuno a sinistra rompe un tabù e fa notizia. Sarà che capita così di rado. Merito dunque a Peppino Caldarola, che la conta giusta su un passato che,purtoppo, è una realtà più che presente.
Un saggio-provocazione dell’ex direttore dell’Unità


Fabio Martini
ROMA
Cari compagni, diciamocelo senza ipocrisie: la sinistra italiana ha sempre discriminato Israele. E questo sentimento qualche volta si è alimentato di pulsioni pericolose. Ai confini dell’antisemitismo. Il provocatorio «j’accuse» contro la sinistra nel suo rapporto con Israele è contenuto nel saggio scritto da Peppino Caldarola, già direttore dell’Unità, che sarà pubblicato assieme ad altri contributi all’interno del volume «Perché Israele» (Guastalla Editore), in libreria fra qualche giorno.
Una provocazione destinata a far discutere ma anche a dar fastidio. Il doppio pathos che da decenni pervade la sinistra - i palestinesi hanno sempre ragione, Israele ha sempre torto - è diventato una forma mentis, un riflesso pavloviano e si è alla fine trasformato in un autentico tabù, uno dei più coriacei per uno schieramento che di miti ne ha sbriciolati tanti. Certo, in Italia i simpatizzanti di Israele sono sempre stati pochi e nel saggio si ricorda come nella prima Repubblica «solo il Pri, il Pli e i radicali di Pannella abbiano avuto un atteggiamento filo-israeliano».
La sinistra, invece, non ha avuto quasi mai dubbi. Grazie anche alla rigida «educazione» ricevuta dai progenitori. Caldarola ricorda gli eloquenti pensieri espressi sul tema da Marx («L’emancipazione dal denaro, dunque dal giudaismo pratico, sarebbe l’autoemancipazione del nostro tempo»), da Lenin (che respinse l’idea di una «nazionalità ebraica»), da Stalin («lo sviluppo storico porta all’assimilazione degli ebrei»), fino ad arrivare al Pci, per quarant’anni il partito politicamente egemone a sinistra.
Come archetipo di un certo modo di pensare, Caldarola fa riaffiorare l’illuminante «rapporto» tenuto al Comitato Centrale del Pci nel febbraio 1970 da Giancarlo Pajetta, «un comunista di grande personalità e indipendenza intellettuale». Per Pajetta non ci possono essere dubbi «sul carattere coloniale di Israele» e persino la travagliatissima nascita di uno Stato per quel popolo martoriato non deriverebbe dal diritto di un popolo, ma anche «da una sorta di cattiva coscienza degli europei» per la Shoah. Qualche anno prima, quando l’Urss aveva riconosciuto per prima il neonato Israele, naturalmente anche il Pci si era allineato.
Ma con la successiva rottura dello schieramento antinazista, i sovietici diventano filo-arabi e nel Pci, a parte «la generosa e isolata posizione di Umberto Terracini», per trovare qualche scarto significativo bisogna arrivare agli exploit isolati di Achille Occhetto («il movimento sionista è una costola del socialismo»), di Walter Veltroni e «soprattutto di due dirigenti di scuola riformista come Giorgio Napolitano e Piero Fassino». Il sentimento anti-israeliano della sinistra italiana si è spesso «travestito» da filoarabismo, assumendo una connotazione talvolta ambigua: «Le varie correnti culturali della sinistra, nello schierarsi a favore dei palestinesi - scrive Caldarola - trovano alla fine il medesimo obiettivo»: mettere in discussione «costantemente e non sempre pubblicamente la ragione storica dell’esistenza di Israele. E’ questo il male oscuro della polemica, condivisibile, contro l’occupazione dei Territori».
Una simpatia unilaterale che nel corso degli anni ha costretto gli ebrei italiani con simpatie di sinistra ad un faticoso travaglio interiore, come dimostrano le parole pronunciate da Amos Luzzatto ad un convegno organizzato a Milano dal Pci nel 1987: «L’ebreo di sinistra dovrebbe passare gran parte del suo tempo, e impegnare gran parte delle sue energie, a giustificare la propria esistenza sia sul versante della collettività ebraica che sul versante del suo partito politico».
Ma c’è un personaggio che opportunamente Caldarola individua come simbolo dell’ambivalenza della sinistra israeliana verso Israele: Yitzhak Rabin. E’ proprio lui la figura che in una certa fase sembra riconciliare la sinistra italiana con Israele, eppure «l’idea che la sinistra trasmette ai militanti corrisponde sempre più ad un’immagine retorica, lontana dalla realtà del personaggio. Infatti a mano a mano che cresceva il mito del Premio Nobel per la Pace, si perdeva la memoria del soldato d’Israele». Ma Rabin è un uomo di pace «che sapeva fare la guerra e la fece, quando gli toccò, con grande determinazione e capacità» e dunque «la sua figura può indicare un molteplice modello di relazione fra sinistra e Israele. Ad una condizione: che la sinistra accetti tutto Rabin».





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