Dopo Hamas, i suoi alleati Analisi di Gianluca Di Feo
Testata: La Repubblica Data: 09 gennaio 2024 Pagina: 10 Autore: Gianluca Di Feo Titolo: «Dopo Hamas, i suoi alleati La dottrina Gallant per proteggere i confini»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 09/01/2024, a pag. 10, con il titolo "Dopo Hamas, i suoi alleati La dottrina Gallant per proteggere i confini" l'analisi di Gianluca Di Feo.
«Dovremmo permettere a Hamas, a Hezbollah e all’Iran di decidere come dobbiamo vivere in Israele? Non lo accettiamo. Noi stiamo combattendo contro un’alleanza, non contro un singolo nemico. L’Iran sta costruendo una potenza militare intorno a noi, preparandosi a utilizzarla». In un colloquio con il Wall Street Journal , il ministro della Difesa Yoav Gallant chiarisce la visione strategica di Israele: il 7 ottobre ha trascinato il suo Paese in una lunga guerra, composta da tanti conflitti che saranno affrontati in tempi e modi diversi fino a rendere completamente sicuri i confini. Con un avvertimento feroce diretto agli Hezbollah libanesi: «Hanno visto cosa sta accadendo a Gaza, sanno che possiamo fare la stessa cosa a Beirut».
Gallant ribadisce che nella Striscia l’offensiva sta per cambiare passo, ma soltanto nelle zone dove Hamas è già stata colpita duramente. La «fase delle manovre intense» si trasformerà in «differenti tipi di operazioni speciali». In pratica, gli attacchi massicci condotti con tank, artiglieria e bombardamenti che spianano ogni ostacolo per aprire la strada ai rastrellamenti della fanteria saranno sostituiti da raid mirati contro le postazioni jihadiste, cercandodi limitare i danni ai civili palestinesi. «Siamo vicini a questa nuova fase nel Nord della Striscia, inclusa Gaza City dove le nostre truppe hanno largamente preso il controllo, almeno sulla superficie», conferma il ministro.
A Sud però si sono accatastate oltre due milioni di persone e gli scontri possono provocare un numero di vittime addirittura più grande dei 23 mila morti contati finora dalle autorità di Hamas: «Dobbiamo tenere conto dell’enorme quantità di civili e stiamo mettendo a punto le tattiche militari – sostiene Gallant - . Ci vorrà un certo periodo di tempo».
La battaglia più difficile si annuncia a Rafah, il centro vicino al confine egiziano dove si ipotizzache i guerriglieri ricevano ancora rifornimenti dai tunnel, spesso gestiti da bande di criminali. Il vertice delle Israeli Defence Forces ritiene che il flusso di cibo, carburante e medicinali per la popolazione vada aumentato: «Consideriamo gli aiuti umanitari una necessità strategica. Ci permettono di andare alla caccia dei terroristi e dividerli dagli abitanti». Migliorare la situazione dei residenti palestinesi è infatti la condizione per proseguire le incursioni, che probabilmente andranno avanti per mesi. Il futuro della Striscia invece resta vago. Secondo Gallant, la supervisione della ricostruzione dovrebbe essere affidata a una forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti, con partner europei e mediorientali.
Le pressioni internazionali non sembrano pesare su Israele. «Il 7 ottobre è stato il giorno più sanguinoso per gli ebrei dal 1945. Il mondo deve capirlo: siamo in una situazione differente rispetto al passato. Una minaccia così grave è alla base della violenza della risposta di Israele e della sua determinazione non solo nel distruggere Hamas ma anche nell’agire con la forza necessaria per fermare altri potenziali avversari alleati con l’Iran, incluso Hezbollah. La priorità non è entrare in guerra contro Hezbollah, ma nel Nord 80 mila persone hanno bisogno di tornare nelle loro case in sicurezza. Se non ci sarà un accordo per renderlo possibile, non rinunceremo a un’azione militare».
Dopo il crollo delle difese che ha permesso il massacro del Sabato Nero, l’esercito israeliano vuole ricostruire la fiducia nella sua potenza, all’interno e all’esterno del Paese: «Neppure i leader di Hamas credevano che avremmo reagito con un’offensiva su larga scala – ha riconosciuto Gallant –. Non l’hanno preso in considerazione nemmeno quando abbiamo cominciato l’attacco. Il nostro obiettivo finale adesso è convincere i nemici che ogni futura aggressioneprovocherà conseguenze disastrose». È un impegno di lunghissimo periodo, che vedrà la tensione salire su tutti i fronti con il rischio di scatenare veri conflitti. Oltre al crescendo di raid sul confine libanese, vengono segnalate incursioni sempre più frequenti in Siria dei caccia con la Stella di Davide per colpire i convogli che trasportano gli armamenti iraniani. Ci sono poi le milizie irachene che anche ieri hanno rivendicato il lancio di missili verso Haifa. E c’è la morsa degli Houthi, che continuano a ostacolare la navigazione nel Mar Rosso. Non sono gruppi di jihadisti, ma eserciti terroristici sostenuti da forme di governo e dotati di vasti arsenali. Tutti fanno capo all’Iran, che li ha equipaggiati ed addestrati, coordinandone le azioni. Insomma, sarà una grande guerra, combattuta con strumenti diversi, che a Gaza come altrove «si concluderà solo – ha detto Gallant a inizio anno – con una vittoria netta e il ripristino della deterrenza. Altrimenti non potremo vivere nel Medio Oriente». C’è un’unica alternativa: che, a partire dal Libano, la diplomazia trovi la forza di fermare le armi offrendo garanzie per la sicurezza di Israele.
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