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La Stampa Rassegna Stampa
28.06.2003 Tre ritratti
che aiutano a capire

Testata: La Stampa
Data: 28 giugno 2003
Pagina: 5
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Sceicco dei Kamikaze & Quella strana coppia»
Fiamma Nirenstein pubblica sulla Stampa del 28.6.2003 due articoli molto utili per mettere a fuoco le varie posizioni israeliane e palestinesi.
Il primo è un ritratto dello sceicco paralitico Ahmed Yassin, uno dei massimi responsabili del terrorismo che ha insanguinato Israele nella seconda intifada. Nel secondo articolo ci racconta l'iniziativa di Amy Ayalon e Sari Nusseibeh, che su due fronti diversi si pongono un obiettivo comune.

Ecco il primo:

CHI E’ IL MALATISSIMO ASCETA DA SEMPRE NEL MIRINO DI GERUSALEMME

Sceicco dei kamikaze, ora della pace


Ha gestito il passaggio dall’Intifada al terrorismo suicida

GERUSALEMME
DUNQUE per primo, con la sua vocina che dice in genere cose terribili e commina condanne a morte per ebrei e americani, lo sceicco Ahmed Yassin si è preso, certo in seguito a complicatissime trattative con le varie parti di Hamas, l'onore e l'onere di far balenare se non proprio la Hudna, ovvero la tregua di cui ormai si parla da settimane, una temporanea interruzione degli attentati terroristici. Yassin si è preso la parte informale perché lo ha dichiarato in un'intervista, ma anche basilare, perché la sua è la prima uscita pubblica della leadership integralista islamica.
Seguiranno probabilmente le dichiarazioni provenienti dal Cairo, e anche da Damasco, che è stata trascinata nel gioco dagli egiziani, spaventati dall'idea che le organizzazioni terroriste palestinesi dicessero no alla tregua, facendo infuriare Bush e eccitando gli animi di tutti gli integralisti della zona. Al Cairo aspettano il momento di parlare, probabilmente domani quando Condoleezza Rice sarà in zona (arriva già oggi) Khaled Meshal, il capo esterno più importante, e Ramadan Abdullah Shallah, leader della Jihad islamica. Il fatto che Yassin, che è per così dire un uomo di fede e di dottrina, abbia dato per primo l'annuncio, significa anche che Hamas e la Jihad intendono evitare quella che è la maggiore contestazione della loro base alla tregua, ovvero l'obiezione religiosa che ha un contenuto ben pratico: la carta di Hamas all'articolo 27 stabilisce la non identità degli obiettivi di Fatah e di Hamas; e la base infatti, anche per bocca di Rantisi, dice che a Hamas le strategie dell'Olp risulteranno confacenti quando Fatah decida di seguire ufficialmente il sentiero dell'Islam, che vuole la Terra Santa all'Islam.
Ma il discorso di Bush, per cui Hamas nel suo insieme è un'organizzazione terroristica, senza il cui disarmo non è possible nessuna pace, ha preoccupato la leadership dei gruppi integralisti. Yassin è l'uomo cui i militanti di Hamas non si ribelleranno, o almeno si ribelleranno meno che ad altri, anche se li invita a fermarsi da uno stillicidio di vite israeliane che dura da tre anni: il 67enne sceicco biancovestito, malatissimo alle gambe, agli occhi, alla trachea, che vive quasi in miseria in una stradina di Gaza, circondato dai suoi uomini che lo proteggono dalla folla adorante, è diventato un simbolo per tutto il popolo palestinese negli anni in cui l'Intifada è diventata l’Intifada di Al Aqsa, gli anni nei quali si sono fusi scontro territoriale e guerra di religione.
Lo sceicco ha benedetto mille volte i terroristi suicidi, prima ancora di Arafat ha fatto degli shahid il simbolo della nuova guerra palestinese, ha condotto sulle sue orme l'epica palestinese, che era costituita di una ideologia completamente diversa, misto di progressismo e terzomondismo, sapore della lotta di liberazione nazionale che ha costituito il cemento dell'Olp di Arafat e dell'Intifada degli anni '80. Solo più avanti, sotto la forte influenza di Yassin, l’ideologia si è traformata in immagini di martiri suicidi in volo verso il paradiso fra le rovine fumanti del mondo ebraico. Lo sceicco, arrestato varie volte e condannato all'ergastolo nel 1989 per rapimenti e omicidi di soldati israliani, uscì di carcere al tempo della gestione di Netanyahu nel settembre del ‘97, in pieno processo di pace, con i buoni uffici del re Hussein di Giordania. Israele pensò allora che il paraplegico uscito dalla detenzione non avrebbe rappresentato un terribile pericolo, e comunque che la pace fosse avviata: l'errore fu letale. Immediatamente lo sceicco si avventurò in un energetico viaggio in tutto il mondo arabo, raccogliendo fondi e consensi deliranti, osannato da una folla che gli dette, e dette ad Arafat, il segno di quanto il mondo arabo tenesse poco al processo di pace, e molto all'identità islamica.
Al ritorno di Yassin, dopo che negli anni precedenti Arafat aveva tentato di indebolire Hamas fino a farlo morire, mettendone anche molti militanti in prigione, il raíss ricostruì con Yassin un'amicizia testimoniata da molte prese di posizioni pubbliche. Il risultato fu la legittimazione dell'organizzazione, che aumentò le sue risorse economiche e incrementò la sua strategia terroristica, e la progressiva saldatura dei suoi legami con l'Autonomia palestinese con autentici patti di unità nazionale. Adesso questa unità nazionale è stata ancora una volta offerta a Hamas nel corso delle complesse trattative di cessate il fuoco: di nuovo l’Autorità, attravero il primo ministro Abu Mazen, ma con l'appoggio consistente di Arafat, ha offerto a Hamas potere e protezione, facendole anche intravedere il rischio che gli americani diano mano completamente libera a Israele. E Israele, che nella Hudna crede poco e nello sceicco Yassin ancora meno, da tempo aveva a sua volta fatto sapere che l'eliminazione di Yassin dipende solo dai suoi progetti.
Se progetta di mandare altre schiere di terroristi suicidi, Israele potrebbe colpirlo. Ma Yassin è colui che adesso per primo illustra l'interruzione degli attacchi. Se non è una finta per armarsi ancor meglio e in fretta, come potrebbe risultare in breve, può restare tranquillo nella sua casa di Gaza coi suoi dieci figli e preparare l'unità nazionale.


Ecco il secondo
Quella strana coppia per «un accordo ragionevole»

Un palestinese e un israeliano insieme per una raccolta di firme nei loro Paesi


GERUSALEMME
Sari Nusseibeh e Amy Ayalon hanno in comune qualcosa di molto importante: sono due celebrità nazionali e godono di alta credibilità presso le loro rispettive popolazioni e reciprocamente. L’uno un accademico di grande famiglia palestinese, patriota e leader della prima Intifada, è anche un raro aperto sostenitore della democrazia anche nel regime di Arafat, e questo ha significato per lui guai personali di ogni genere, anche botte e esilio. Il secondo, uno spigoloso soldato di mezza età che fra i molti incarichi ha avuto anche quello specialissimo di capo dello Shin Beth, o Shabbach, ovvero i servizi segreti in prima linea nella lotta al terrorismo. Questa coppia è da oggi in giro per le strade della sua parte alla raccolta di firme per un’iniziativa molto ambiziosa: mettere insieme un incontrovertibile supporto popolare sui due fronti facendo firmare un documento che mette in chiaro alcuni principi sui quali risolvere il conflitto.
«L'iniziativa - ci dice Amy Ayalon mentre Sari Nusseibah siede accanto a lui - si chiamerà "La voce del popolo" e viene varata un anno dopo che insieme abbiamo firmato una dichiarazione di intenti, perché per arrivare a una qualche conclusione occorre sapere bene dove si va, occorre che l’obiettivo non sia una nebulosa, ma brilli davanti agli occhi della gente, e che non consenta sogni inutili. Quali sono i sogni inutili? Sari Nusseibah su questo è molto coraggioso: «E’ inutile che dalla nostra parte ci sia chi seguita a immaginarsi la sparizione dello Stato d’Israele, e anche chi si immagina che il ritorno in massa dei profughi e dei loro discendenti possa buttate gli ebrei in mare. E’anche inutile che i settler continuino a sognare la Giudea e la Samaria, perché la Cisgiordania è la parte basilare dello Stato Palestinese».
E dunque il documento cui i due cercano firme include i seguenti punti: due stati per due popoli; confini permanenti sulla base del 1967 con la possibilità di operare scambi per tratti di terra che per vari motivi risultino particolarmente problematici (come i quartieri arabi sotto sovranità ebraica e ebraici sotto sovranità israeliana); i rifugiati potranno ritornare solo nei territori palestinesi e gli ebrei solo in territori ebraici; sarà stabilito un fondo internazionale per compensare e riabilitare i rifugiati palestinesi; si attuerà la demilitarizzazione dello Stato Palestinese salvo che per le necessità interne; è prevista la rinuncia da tutte e due le parti a ogni altra richiesta dopo la firma di questo accordo.
Naturalmente l’aspetto più rivoluzionario del piano che parte oggi, è quello palestinese. Come verrà accolto nei campi profughi un documento di pace che non solo accetta Israele ma cancella il diritto al ritorno, su cui anche Abu Mazen non ha osato fare nessun passo indietro rispetto al massimalismo degli atteggiamenti correnti? E’ un punto delicatissimo, un ostacolo definitivo a qualsiasi piano di pace e l’affermazione di fatto del desiderio di veder sparire lo stato degli ebrei per far posto a una grande Palestina.
E la sicurezza personale di Sari Nusseibeh non verrà messa in serio pericolo dall’iniziativa? E’ stato minacciato di morte? Il professore risponde con un mezzo sorriso che sì, è già stato minacciato, che molti sono quelli che non gradiscono affatto il suo operato, ma che questa è una delle tante difficoltà che il processo di pace incontrerà, pazienza: «Vede, se non ci affrettiamo adesso, mentre è aperta una finestra di opportunità, a condurre negoziati fra di noi, la situazione sarà tale per cui ogni negoziato diverrà, nel futuro,impossibile. Anche la parte israeliana incontrerà le sue difficoltà, ma siamo decisi a andare avanti, e io andrò di villaggio in villaggio a spiegare che è l’ora che la voce del popolo si faccia sentire e influenzi i politici e i movimenti organizzati. Sono molto ottimista. Dalla settimana scorsa, ho raccolto milleduecento firme, già pubblicate col nostro documento sui giornali palestinesi. Adesso vogliamo arrivare a centomila».
In Israele la raccolta è cominciata da pochi giorni, ma poiché la popolazione è di 6 milioni abitanti, Amy Ayalon cerca almeno 200 mila firme. Sarà un altro «pace adesso», un altro partito laburista? «Niente affatto - spiega Ayalon - noi andremo a cercare le firme da tutte le parti, non dubito affatto che le troveremo anche fra la gente che vota per partiti non di sinistra. La convinzione mia e di Sari è che il desiderio di arrivare a una soluzione ragionevole sia in questo momento fortissima, e che l’errore di tutti i precedenti processi di pace è stato quello di non aver dietro un’onda variegata di consenso popolare».





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